Vivere del fiume: i figli del Congo

Viaggio in Congo
I figli del fiume, Congo
Storie di bambini che l'Africa farà crescere in fretta.

Della mia avventura in mokoro sul fiume, ho già parlato qui. In questo post continuo il mio viaggio in Congo e ti parlo invece dei villaggi che ho visitato, dei bambini a cui ho sorriso, dei pescatori che ho incontrato: della gente del fiume. Sulle sponde e sulle isolette che affiorano nel bel mezzo del Congo, sorgono infatti parecchi villaggi, che cambiano drasticamente via via che ci si allontana dalla capitale congolese, Brazzaville. Nel primo che visitiamo, il più vicino, non mancano nè l’agricoltura (spinaci, patate, carote e manioca) nè il commercio: buona parte del pescato viene infatti caricato sulle canoe (alcune anche a motore) e venduto a Brazzaville. La comunità è piuttosto numerosa: c’è una piccola chiesa, gremita perché è domenica, e c’è un punto di ritrovo sotto le fronde di un grande albero, l’unica zona a regalare un po’ d’ombra.

Viaggio in CongoVillaggi Fiume Congo

Ma non è di questi villaggi che voglio parlare. Preferisco raccontarti dell’ultimo che abbiamo visitato, il più lontano da Brazzaville e, di conseguenza, il più semplice, il più rudimentale. Non ci sono mokoro a motore: la comunità, costituita qui da poche decine di persone, si limita agli scambi con villaggi vicini, senza mai arrivare alla capitale, troppo lontana. La maggior parte della gente che vive qui probabilmente non vedrà mai Brazzaville, non vedrà mai un’auto, né un palazzo: trascorrerà tutta la sua vita sul fiume.
Quando attracchiamo, i primi ad accoglierci sono i bambini: hanno gli occhi che brillano, saltano, ridono, ballano senza musica. Appena ci avviciniamo corrono via. Solo il più piccolo mi tende una manina tutta sporca. La stringo, e lui lancia un gridolino prima di scappare divertito. Pur mantenendosi a distanza, i bambini ci scortano durante tutta la nostra breve visita: chiassosi, fanno rotolare un grosso copertone finito lì chissà come e, agilissimi, si arrampicano sugli alberi di mango per lanciarci qualche frutto zuccherino da assaggiare. Appena scesi si mettono a rincorrere un paio di maialini fuggiti dal recinto. Ma, forse, un recinto nemmeno c’è.

Villaggi Fiume Congo

Le baracche intorno a noi sono sghembe, costruite con canne e paglia: ma i panni stesi ad asciugare al sole sono bianchissimi, non una macchia. Eppure, per lavarli, si usa l’acqua del fiume che, a me, pare tutt’altro che pulita. E, all’occorrenza, se le piogge non sono state abbondanti, quella stessa acqua servirà persino per dissetarsi.
Anche gli adulti ci guardano incuriositi, soprattutto le donne. Alcune chiedono alla nostra guida quanti anni ho e vedo il nostro accompagnatore rispondere ridendo. Credono abbia 16 anni, quando in realtà ne ho poco più del doppio. Ma c’è ben poco da ridere: si diventa donne in fretta sulla riva del fiume, i figli nascono presto e le aspettative di vita media – non solo qui ma in tutto il Congo – non sono alte: sono in pochi a superare i 60 anni. Inoltre, pare non siano molti i bianchi che si spingono fin quaggiù, le donne in particolare: non capita quasi mai di vederne.

Quando risaliamo in barca, i bimbi si sbracciano per salutarci, tutti tranne uno che, durante la nostra visita, è sempre stato composto: lo vedi qui sotto, con la maglietta rosa. Mi piace immaginarlo come il saggio del gruppo, quello che prima di tutti gli altri comincerà a rendersi utile alla comunità, ad armeggiare con la pesca, ad accudire i bambini più piccoli, sebbene sia lui stesso ancora da accudire. Quello che, nella più tenera delle età, ha già l’aria di saperla lunga sull’Africa.

Join the Conversation

5 Comments

Leave a comment

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.

    1. says: Cris

      Eh già, ‘forte’ è la parola giusta per posti come questi, per le emozioni che ti suscitano e i ricordi che ti lasciano. Il Congo è un Paese difficile e non ancora aperto al turismo un po’ per via dei numerosi vaccini che servono (es. febbre gialla) e per la mancanza di strutture e infrastrutture… chissà però che nei prossimi anni si apra un po’ di più. Un po’ di entrate non farebbero male all’economia locale, anche se ho forti dubbi che vadano a beneficio dei più poveri..

  1. Ecco chi e cosa riempie il cuore in queste terre; la semplicità, i sorrisi e gli occhi gioiosi! A volte vorrei scoprire anche io posti così lontani, dimenticati e assaporare la natura e la bellezza nella semplicità! Bellissime foto per un post che tocca il cuore. Monica

    1. says: Cris

      …vorrei poter dire che l’Africa è ‘anche’ questo ma, vivendo qui, ci si rende conto che, purtroppo, l’Africa è ancora e ‘soprattutto’ questo. E chissà se cambierà mai…. Ciau cara 🙂