Visitare l’Antelope Canyon, la cattedrale dell’Arizona

visitare l'Antelope Canyon
Antelope Canyon, Arizona
Prima di diventare lo slot canyon più visitato degli USA, l’Antelope Canyon era - ed è - un luogo sacro per i Navajo. Cosa resta di questa sacralità?

Prima di diventare lo slot canyon più visitato degli USA, l’Antelope Canyon era – ed è tuttora – un luogo sacro per gli indiani Navajo. Entrare a Tse’ bighanilini – in lingua Navajo “il luogo dove l’acqua scorre tra le rocce” –  era (è) un’esperienza spirituale: mi piace immaginare gli anziani inginocchiarsi con rispetto, chiudere gli occhi e svuotare la mente, sentirsi parte del cerchio, quella forma così ricca di significato per questo popolo, in quanto rappresenta il flusso della vita, l’armonia con il tutto. Li immagino poi riaprire gli occhi, guardare dritto davanti a sé e pensare che, sì, è arrivato il momento di entrare.

Tse’ bighanilini si erge maestoso come una cattedrale: ha pareti altissime, fino a 60 metri.  Al suo interno, però, non ci sono icone sacre, non servono: la dea madre, la Natura, la si percepisce ovunque. La si sente nel ticchettio delle gocce d’acqua che scivolano tra le pietre; la si sfiora con la punta delle dita, che corrono con un po’ di timore su quelle pareti lisce, sinuose, quasi morbide; la si avverte sulla pelle, in bocca: un sapore umido, salato. Ma soprattutto la si vede in una delle sue manifestazioni più belle e più potenti.

Vento e acqua hanno tormentato per secoli l’arenaria del canyon, con carezze, graffi, abbracci, schiaffi: dai loro giochi sono nati turbini, vortici, volute dai colori più splendidi, dall’arancione al viola. Vento e acqua hanno creato qualcosa di così bello da volerlo tenere nascosto persino al sole che, irriducibile, cerca però di penetrare da ogni spiraglio. Alla fine gli elementi hanno raggiunto un tacito accordo: al sole viene permesso di entrare con un unico raggio, una sola volta al giorno, intorno alle 12. Quando è dentro, estasiato, il sole fa brillare quel suo unico raggio ancora di più.

Oggi i Navajo hanno aperto le porte della loro cattedrale anche a noi. Poichè l’Antelope Canyon si trova nella Navajo Nation, lo si può visitare solo accompagnati da una guida indiana. Il tour dura circa 2 ore, un tempo che, per un canyon di appena 400 metri pare piuttosto lungo in effetti, ma una volta terminato il giro, senti che avresti voluto restarci di più, per cercare di goderti la sacralità del luogo.

Ma ci rinunci.

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Ci rinunci perché il fotografo della domenica si incazza se gli passi davanti mentre sta per scattare la foto del secolo; il suo compare ti chiede di spostarti più in là che se no il suo treppiede non ci sta; un altro ancora chiede alla moglie di lanciare in aria un po’ di sabbia che così il fascio di luce si vede meglio. E poi ci sono ciurme impazzite che blaterano a voce alta, troppo alta; gente di ogni età e nazionalità che si scatta selfie che tanto verranno di merda perché in parecchi punti non c’è luce.

Per questo, a te, non resta che immaginare cosa voleva dire, una volta, entrare a Tse’ bighanilini. Non resta che chiederti se gli indiani di oggi, almeno i più anziani, prima di varcare la soglia della loro cattedrale – nei momenti in cui non c’è pericolo di imbattersi in visitatori stranieri – si chiudono un attimo in sé stessi, se riflettono sulla spiritualità del posto e se e come hanno insegnato tutto questo ai loro figli, ai loro nipoti.

E poi pensi che basterebbe stare un po’ più in silenzio, basterebbe bisbigliare, basterebbe fare foto con maggiore discrezione per non infastidire gli altri.… del resto, se la gente si comportasse così dentro San Pietro o al Duomo di Milano, un po’ di fastidio ce lo darebbe, no ?

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10 Comments

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  1. Quanta ragione hai?? E’ un po’ che ho in mente di scriverne anche io ma non l’ho ancora fatto…
    E’ un luogo unico, camminare lì dentro mi ha dato emozioni fantastiche però era veramente PIENO di gente… la tua parte finale mi ha fatto “sorridere” perchè mi ci sono rivista, ho pensato le stesse cose quando ero là, anche se da sorridere c’è ben poco purtroppo

  2. says: Max510

    Hai troppo ragione !
    Mi ricordo bene che delirio sia…
    Tanto che cercavo di restare in fondo tra il mio gruppo e quello successivo, poche decine metri, un paio di minuti e poi ti erano già addosso…
    Peccato….
    Ma resta un luogo comunque affascinante
    Max

    1. says: Cris

      Ecco, esatto, è un vero delirio. Anche se i gruppi entrano ad orari prestabiliti c’è comunque troppo affollamento… ma non è tanto la folla che dà fastidio, è proprio il modo di comportarsi: sembrano tutti pazzi con quei cavolo di treppiedi, obbiettivi lunghi 3 metri, zaini che pare che dentro c’hanno un cammello. Ma per cosa poi?? A chi le devono mostrare quelle foto? Agli amici su facebook? Di fotografi professionisti ce ne sarà uno su mille…

      1. says: Max510

        Infatti io mi sono fatto le mie belle fotine a mano libera e con una macchina da 300 euro… boh…

  3. says: enricogarrou

    Cris, hai scritto un articolo bellissimo, pieno di spiritualità, toccando anche lati oscuri dell’uomo, la loro stupidità. Si è diventati così superficiali da non cogliere più gli aspetti sacrali di un popolo che viveva in stretta armonia con la natura. Bellissimo, un caro abbraccio Cris e complimenti ancora

    1. says: Cris

      Grazie Enrico, davvero. Concordo con il tuo pensiero e mi chiedo perchè di un popolo così interessante e ricco di spiritualità come gli indiani d’America, si parli troppo poco, per non dire mai…