A Lusaka, Zambia, non c’è niente da vedere. No Google, ti sbagli.

cosa vedere a lusaka
Il mio primo impatto con l'Africa non è stato esattamente soft. Ma ho fatto una scoperta.

Quando mi hanno detto che la nostra prossima trasferta sarebbe stata a Lusaka, io nemmeno sapevo dov’era questa città. Prima del 2010, non ero mai stata in Africa, continente che identificavo con Egitto, Marocco e tutt’al più Kenya (Paesi in cui invece, ad oggi, non sono ancora riuscita a mettere piede). Quando ho scoperto che Lusaka era in Zambia – Zambia?!? – ho praticamente supplicato il mio capo di mandare qualcun altro al mio posto. Mi ha risposto di no, categorico, che per 5 giorni ce la potevo fare. Ero seccata, seccatissima, anche perchè in quel periodo era previsto un progetto a Montecarlo a cui avrei dovuto rinunciare, per forza di cose.

Ma mi rassegno. Metto in valigia ogni sorta di medicinale, da fare invidia a un rappresentante farmaceutico. Ficco dentro anche le scarpe da ginnastica – a Lusaka c’è tanta polvere, dicono. Sbatto le ante dell’armadio, facendo calare il buio sui tacchi e sul tubino che avrei indossato a Montecarlo. Chiudo la valigia senza smettere di brontolare tra me e me. Guarda in che c**** di posto mi tocca andare. Decido di non prendere nemmeno la macchina fotografica che, tanto, quando ho digitato ‘Cosa vedere a Lusaka’ Google mi ha detto che a parte qualche museo, non c’è niente di particolare in città.

Insomma, parto.

Dopo 5 giorni, sono sull’aereo diretto a casa, di ritorno a Londra. E ho scoperto una cosa. Google è un contaballe. Le spara proprio grosse, perché non è vero che da vedere c’erano solo musei (in cui, tra l’altro, non sono neanche entrata). C’erano un’infinità di cose a Lusaka, ma Google non lo sa, perchè non ci ha mai fatto caso.

C’era un’aria calda e umida che ti stringeva in una morsa bagnata mentre ancora eri sulla scaletta dell’aereo. C’era una nazione che questo caldo non lo sentiva: a fine maggio l’ ‘inverno’ è ormai alle porte e, mentre noi giravamo in maniche di camicia, tanti zambiani già portavano il berretto di lana.

C’era gente che camminava. Che faceva chilometri e chilometri al giorno per recarsi sul posto di lavoro.  Quasi nessuno usa le bici e l’auto è un privilegio di pochi. Così tutti camminano: operai con i ferri del mestiere, donne con le borse della spesa, studenti in divisa e venditori di frutta. Ciascuna di queste persone, prima di essere quello che è, è un marciatore instancabile.

C’era la polvere, come mi avevano detto, e ce n’era tanta. Polvere e terra, soprattutto ai margini delle strade, spesso prive di marciapiedi. C’erano chiese. C’erano grattacieli e c’erano baracche. C’erano palme e immondizia. Ma anche fiori.

C’era un mercato coperto, con tanta confusione, tanti colori, tanti odori e non tutti buoni. C’erano numerosi occhi che ti guardavano con curiosità e almeno altrettanti che ti osservavano con diffidenza. C’erano tanti frutti, tante stoffe. Tanta carne – diventata grigia per essere stata lì delle ore – e tante mosche. Tante bocche sorridenti, forse affamate, tante mani che compravano e altre che, probabilmente, rubavano. E c’era un bambino seduto su uno scalino, che non avrà avuto più di 5 anni. Cuciva non ricordo cosa: aveva un grosso ago in mano e la punta della lingua che sfuggiva da un angolo della bocca, tesa in quello sforzo di concentrazione che gli avrebbe permesso di portare meglio a termine il suo lavoro.

C’era gente sorniona e gente sospettosa. Gente ospitale e gente che ci ha mandato via a male parole perché avevamo una telecamera sulla spalla. C’era gente che ha detto che in Zambia non si sta poi così male, che ci sono posti peggiori. Ma a me venivano in mente solo quelli migliori. C’erano echi di risate africane, di quelle che mettono allegria. C’erano bambini che non ho potuto fotografare perché non avevo preso la macchina (quelli nella foto sopra sono bimbi congolesi).

C’erano tutte queste cose e c’ero io. Che mi sono vergognata delle scene patetiche che ho fatto prima di partire. C’ero io che, in quei 5 giorni, Montecarlo non mi è mai passato per la testa. C’ero io che sul volo di ritorno, sorridevo pensando alle cose che Google non sa e non potrà mai sapere, perchè Google non viaggia, io sì. C’ero io che mai e poi mai avrei immaginato che, 4 anni dopo, avrei vissuto in una città che Lusaka me la ricorda molto. Ci sono io che quando mi lamento di quanto sia pesante vivere in Congo, dovrei cercare di ricordarmi le emozioni che mi ha suscitato il mio primo incontro con l’Africa. Ci sono io che, lo so, continuerò a lamentarmi – sono fatta così – ma proverò a farlo di meno, almeno un pochino.

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15 Comments

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  1. says: dueingiro.blogspot.it

    L’ Africa regala delle emozioni uniche ed anche indescrivibili. Siamo stati in Etiopia qualche mese fa e certi emozioni, odori, sensazioni non le riusciamo a dimenticare. Ciao 🙂 dueingiro.blogspot.it

    1. says: Cris

      Verissimo! Sapete che non so proprio nulla di nulla sull’Etiopia? Vengo a sbirciare il vostro blog così mi informo e chissà che non diventi una delle mie prossime mete! Ciao e grazie per essere passati di qua!

  2. E c’era quel mondo che ti cambia la percezione delle cose di tutti i giorni… ecco perché parlano di mal d’Africa! Ho il nodo in gola! Troppa emozione!

  3. says: Francesca

    Mi ha fatto venire voglia di Africa più che mai. Mi manca la polvere, la terra rossa, quel cielo stellato. L’Africa sconvolge e ridimensiona tutto, rapisce o spaventa ed è evidente che a te ha rapito completamente.

    1. says: Cris

      E’ vero, conosco gente (bravissime persone eh!) che non riuscirebbero a stare in Africa più di due giorni. Nessun altro continente fa un effetto così netto: la si odia o la si ama. Punto 🙂

  4. says: eugenioobber

    L’africa è un mondo che purtroppo abbiamo relegato ad un ruolo troppo marginale, che tutti pensano essere solo povero, pericoloso e inadatto ad un viaggio.
    E’ vero, è povero, caldo, e a volte pericoloso.
    Ma è assolutamente adatto ad un viaggio, alla scoperta di un mondo veramente diverso e affascinante, come hai bene espresso in questo post!
    Mai più senza macchina fotografica, vero? :- )

    Brava Cris!

    1. says: Cris

      Sì, è assolutamente adatta a un viaggio, anche se, credo, non tutti siano ‘adatti’, o meglio, pronti ad un viaggio in Africa (in questa Africa almeno). E comunque, certo, mai più senza macchina fotografica! 🙂

  5. says: Michela

    Ecco perché non vedo l’ora di leggere qualcosa anche del Congo…mi hai davvero emozionato con questo post, e son sicura che ci saprai raccontare anche un Congo che Google non conosce!

    1. says: Cris

      Grazie, ci proverò! Di solito riesco a rielaborare meglio le cose a distanza… scriverne mentre le vivo tutti i giorni mi riesce più difficile, perchè tendo a darvi poco peso e a capire solo più tardi quanto valgono invece certe esperienze. Ma, come ho detto, ci proverò! Grazie per essere passata!

  6. says: Giramondina

    Complimenti per l’articolo!!! Hai espresso benissimo i tuoi sentimenti e le tue sensazioni nei confronti di quel mondo così lontano e assurdo per noi abituati ormai al lusso e a tutte le comodità possibili! Chiudendo gli occhi ho ripercorso i tuoi passi e nonostante la tua macchina fotografica non abbia potuto intrappolare questi istanti di vita sono certa che nel tuo cuore e nella tua mente queste istantanee rimarranno vivide e chiare per moltissimo tempo! Complimenti

    1. says: Cris

      Grazie Alice. Sai, hai ragione, non ci avevo pensato: mi sono rimaste così tante istantanee di quei pochi giorni che, anche se non avevo con me la macchina fotografica, alla fine è come se l’avessi avuta! 🙂

    1. says: Cris

      Io non ho visto nulla della natura dello Zambia purtroppo… alle cascate vittoria ci andrò proprio la prossima settimana, ma lato Zimbabwe!