E’ quasi un anno che sono in Congo e ancora non ho parlato del primo parco nazionale che ho visitato, quello che ha segnato il mio incontro con i primati. I gorilla di Brazzaville sono venuti dopo: in questo post conosceremo gli scimpanzè!
Partiamo al mattino presto con una comitiva di 4 auto: dalla nostra città, Pointe Noire, in un paio d’ore dovremmo arrivare al Parco Nazionale di Conkouati-Douli, praticamente al confine con il Gabon. Dovremmo perché siamo in Congo e tutto può succedere. E infatti.
Delle 4 vetture, ben 3 rimangono impantanate in un misto di terra e sabbia. Le strade sono quelle che sono: “almeno non piove” – dice qualcuno, “altrimenti vedresti che roba”. Mi viene in mente Igor. Con gli acquazzoni, lo sterrato si trasforma in un reticolo di torrenti fangosi e buche normalissime si trasformano in profonde voragini. Comunque sia, siamo fermi: le ruote girano a vuoto, oppure non girano proprio. I cellulari? Già in città prendono male, figuriamoci alle porte della giungla. Ci affidiamo dunque al fattore C: passa un pick-up. Dietro lauto compenso, convinciamo il proprietario ad andare a chiedere aiuto al villaggio più vicino (NB: in Congo, il concetto di ‘vicino’ è discutibile). Il nostro uomo non ci delude e torna con delle vanghe e un cavo. Riprendiamo la guida, ma non per molto: la seconda volta che ci impantaniamo, siamo – fortunatamente – nei pressi di una piccola comunità. I bambini, palesemente divertiti da questo gruppo di bianchi scemi, si buttano sotto l’auto e cominciano a scavare con mani e piedi per liberarci dalla sabbia. Ci è andata bene anche stavolta.
Finalmente, con appena 3-4 ore di ritardo sulla tabella di marcia, arriviamo al Parco di Conkouati, una delle quattro riserve naturali del Congo Brazzaville. E’ la giungla, quella vera, che si estende su una superficie di oltre 5.000 km2. Per non perdere altro tempo, saliamo in tutta fretta su una bagnarola (poco rassicurante) e ci avventuriamo su di un fiumiciattolo alla ricerca degli scimpanzè.
In un attimo siamo nel folto della foresta: intorno a noi la vegetazione è rigogliosissima, ma ha un che di sinistro. Sarà perchè al tempo, la mia esperienza di safari era limitata al Sudafrica: un approccio soft dunque, seduta in jeep, in giro per gli spazi aperti della savana. Ma questa è la foresta, e di comodo e ospitale c’è ben poco: gli alberi, un fitto groviglio di rami e fogliame, ergono una specie di muro impenetrabile davanti a noi. Delle urla mi distolgono dai miei pensieri: gli scimpanzè non devono essere troppo lontani. Eccoli sulle mangrovie!
Sono un bel gruppo, una dozzina almeno. Sebbene in misura minore rispetto ai gorilla, anche gli scimpanzè sono una specie minacciata. Vivono in branchi più o meno numerosi e pesano tra i 30 e i 60 kg. Notizia bizzarra: lo scimpanzè si costruisce un ‘nido’! Ogni giorno, con pazienza, il nostro amico si prepara una sorta di giaciglio di rami intrecciati, in cui poi trascorrerà la notte. Spesso, di giorno, è possibile scorgere questi grossi ‘nidi’ di legno sospesi fra i rami degli alberi.
Osservo meglio gli scimpanzè. L’ho già detto riguardo ai gorilla: i primati sono paurosamente ‘umani’. Non solo nelle espressioni, anche nei modi di fare. Ad esempio, c’è una scimmia anziana, con qualche ciuffo di pelo bianco, che si smangiucchia la sua banana, sorniona.
C’è quella che si gratta l’ascella, anche se non sta bene. C’è un gruppetto di guardoni, i pettegoli della situazione, che si scambiano qualche commento gesticolando. C’è un grosso scimmione privo di una gamba, persa a seguito di uno scontro con un bracconiere. E ce n’è uno impassibile, che ti fissa senza muovere un muscolo, facendoti sentire a disagio.
Ci sono due cuccioli che si strappano di mano un ramo di foglie, perchè vogliono giocarci entrambi. C’è uno scimpanzè che acchiappa un figlioletto troppo avventuroso che, liberatosi dalla stretta materna, vuole buttarsi in acqua. Una volta riportato all’ordine, mette su il broncio. Ci sono dei giovani maschi che fanno i burloni e si gettano nel fiume per poi risalire tutti insieme sollevando schizzi ovunque. E ci sono quelli che si fanno belli, spulciandosi a vicenda. Starei ore a guardarli – non scherzo – ma è ora di tornare alla base. Il cielo promette pioggia.
Tralascio di descrivere come ho passato la notte. Ribadisco solo per l’ennesima volta che i congolesi e il turismo sono due cose (per ora) molto distanti e quindi evito di raccontare il mio sonno in una casupola, con insetti, blatte e quant’altro. Comunque, nessuno ha camminato sul mio corpo mentre dormivo. O almeno è quello che voglio credere.
Il giorno seguente, prima di ripartire, ci aspetta ancora un giro in canoa: vogliamo trovare L’Elefante. Ora, dovete sapere che ‘L’elefante di Conkouati’ è quasi una leggenda, nel senso che tutti dicono che sì, nella foresta ce ne sono, ma quasi nessuno li ha mai visti. Bhè, la leggenda non è più tale! Sugli argini del fiume notiamo evidenti segni di impronte, impronte enormi: l’elefante si è appena abbeverato.
Poco dopo, incredibilmente, eccolo, seminascosto tra gli alberi. In lui non riconosco i tratti dei pachidermi sudafricani, quelli che mi hanno ispirato un senso di pace e tranquillità. Al contrario – in linea con l’ambiente circostante – questo elefante mi sembra minaccioso e quelle orecchie spalancate, quelle zanne troppo gialle… mi sanno di ostile. Non ci fermiamo troppo tempo a guardarlo: gli elefanti nuotano bene e non vorremmo farlo irritare.
Purtroppo le foto non sono granchè dato che piovigginava e l’obbiettivo mi si è appannato. Tuttavia, quella qui sotto, pur non essendo niente di particolare, è quella che preferisco: secondo me dà davvero l’idea di giungla, quella un po’ stereotipata delle favole che, da bambina, leggevo avidamente e poi traducevo in disegni. Ci sono gli alberi che coloravo frenetica con i pastelli verde chiaro e verde scuro – che arruffavo in modo da farli sembrare un’unica macchia – e c’è un elefante grigio, proprio in mezzo, alto quanto gli alberi. Al di sotto, l’immancabile fiume.
A volte, le fantasie di bambina diventano realtà quando meno te lo aspetti.