“Una città romana conservata nella sua interezza, come se gli abitanti fossero andati via un quarto d’ora prima”, disse, nell’800, Chateaubriand. E, naturalmente, oggi, è ancora così. Passeggiando tra cardo e decumano ti trovi ad indovinare la vita quotidiana, politica e religiosa prima di quel tragico 24 agosto del 79 d.C. E il bello è che, per farlo, non servono guide o cartelli, basta interpretare i dettagli: la vita di Pompei si vede ancora nei profondi solchi marcati dai carri lungo le strade, nei segni di usura lasciati da porte aperte troppe volte, sugli scalini calpestati da migliaia di piedi, nei numerosi graffiti che imbrattavano i muri, come quelli del lupanare, ad esempio, ricoperti di nomi di prostitute e clienti.
Pompei è morta, ma la vita è ovunque.
Con un po’ di fantasia – e qualche buona nozione di storia – non è difficile immaginare la routine dell’antica Pompei. La gente che attraversa le strade saltellando sui grossi pietroni che portano da un marciapiede all’altro, così alti per proteggere i piedi dalle acque di superficie, non certo pulite a causa della mancanza di fogne. I fornai che si affaccendavano intorno a macine di pietra (ancora visibili) per pestare il grano e poi cuocere il pane. I venditori di carne e pesce, che offrivano le loro merci nel macellum.
Osti curiosi, padroni di quei thermopolia, dove era possibile acquistare bevande e cibi, mantenuti caldi perché stipati nei dolia (giare) incassati in un bancone. E poi tintori e lavandai, quei fullones che al tempo non conoscevano il sapone, e allora pestavano i panni in miscele di acqua e soda oppure di orina. Sì, proprio orina, perché ricca di ammoniaca e dunque sgrassante: la andavano a raccogliere nelle latrine pubbliche o nelle grandi giare poste agli angoli delle vie.
E naturalmente c’era il mestiere più antico del mondo, quello della lupa, la prostituta. Non ha bisogno di presentazioni il lupanare pompeiano, che con le sue pitture erotiche viene – ancora – spesso escluso dagli itinerari delle gite scolastiche (!). Era il bordello meglio organizzato della città: non una semplice stanzetta al piano superiore di una bottega, ma una vera casa chiusa, con ben 10 stanze ripartite su due piani. In ciascun cubicolo, c’era un letto in muratura, coperto da un materasso. Alle pareti, una serie di dipinti per chi cercava… l’ispirazione. Quanto costava una prestazione sessuale? Dai 2 agli 8 assi: una porzione di vino ne valeva 1.
Vita vera, vita che di sicuro traboccava nel Foro, centro nevralgico di Pompei, circondato da edifici politici, economici e anche religiosi: il tempio di Vespasiano, quello di Apollo e quello di Giove, quest’ultimo un alto podio che custodiva la statua di un Padre degli Dei di cui oggi rimane solo un testone barbuto (ma qui non c’è che una riproduzione: l’originale si trova al Museo Archeologico di Napoli).
Ed è sempre vicino al Foro che si trovavano le terme pubbliche: poco costose, molto frequentate sia dagli uomini sia dalle donne. Frigidarium, tepidarium o calidarium? Tre ambienti tra cui scegliere.
E ancora le case, quelle più modeste, del popolo, e quelle più ricche, le Domus. Un ‘cave canem’ per allontanare ladri e postulanti. La Casa del Fauno è la più grande di Pompei, con i suoi quasi 3000 mq. E’ stata chiamata così per via del fauno di bronzo posto nell’impluvium, il bacino in cui confluiva l’acqua piovana direttamente dal tetto, attraverso un’apertura detta compluvium. All’ingresso ci dà il benvenuto un mosaico con la scritta Have: perché sia stato scritto con l’H non si sa. Le stanze si susseguono una dopo l’altra, così come i capitelli, le colonne corinzie e i quadri a mosaico sui pavimenti. Fantastico quello che raffigura la vittoria di Alessandro Magno sul re di Persia (ancora una copia, l’originale sempre a Napoli). Chissà chi era il ricco proprietario che, forse, aveva avuto un legame con il Grande Alessandro?
I più ricchi, poi, avevano anche una seconda abitazione poco fuori città, una casa di villeggiatura, come la magnifica Villa dei Misteri. Trascorrevano le loro giornate nell’ampio quartiere residenziale, affacciato al mare, mentre la servitù stava nei locali a loro dedicati, come la torcularia – dove si produceva il vino. Lungo le pareti del triclinio, la sala da pranzo, trionfa l’enorme affresco che rappresenta un rito misterico, ossia di iniziazione femminile al matrimonio. Domina il Rosso Pompei. Figure imponenti e talvolta minacciose scorrono lungo la parete, una tiene in mano una testa mozzata. Un’unica donna, strategicamente dipinta in un angolo della stanza, è la sola che riesce a guardare in faccia tutti gli altri personaggi dell’affresco. Tutti, però, hanno osservato i commensali della casa mangiare distesi sui loro lettini.
Cosa manca in questo scenario così vivo? Loro naturalmente, gli abitanti. Li ho ‘visti’ per la prima volta nei granai del foro, oggi utilizzati come deposito di materiali archeologici rinvenuti nel corso degli scavi (anfore, arredi etc.) e dei calchi delle vittime.
Eccoli i famosi calchi, simbolo dello strazio. Bambini, adulti, persino un cane. Accovacciati, terrorizzati, irrigiditi per sempre in pose che raccontano la paura, l’angoscia, il vano tentativo di proteggersi da quella pioggia di cenere e lapilli che li ha sommersi. Figure di gesso, ricavate dall’impronta dei corpi nel manto di cenere.
“Una nube si levava in alto, ed era di tale forma ed aspetto da non poter essere paragonata a nessun albero meglio che a un pino. Infatti, drizzandosi come su un tronco altissimo, si allargava poi in una specie di ramificazione [..]
Mentre altrove faceva giorno, colà era notte, più oscura e più fitta di tutte le altre notti, sebbene fosse rischiarata da fiamme e bagliori. Un nembo nero e orrendo, squarciato da guizzi sinuosi e balenanti di vapore infuocato, si apriva in lunghe figure di fiamme: queste fiamme erano simili a folgori, anzi maggiori delle folgori. […] Alla fine quella tenebra diventò quasi fumo o nebbia e subito ritornò la luce del giorno, rifulse anche il sole: un sole livido come suole essere quando si eclissa. Dinanzi ai miei occhi spauriti tutto appariva mutato: c’era un manto di cenere alta come di neve”
– Plinio il Giovane
Ad oggi, solo i due terzi di Pompei sono stati scavati. Nuove domus sono state riaperte al pubblico proprio in questi giorni, ma numerosi sono i misteri ancora da scoprire, i quesiti che ancora non hanno trovato risposta. Il mio unico consiglio? Quello di girare questo sito stupendo insieme ad una guida almeno la prima volta, perché, altrimenti, tante, troppe cose sfuggirebbero ad occhi ‘profani’. E sarebbe un peccato dato che, forse, si tratta dell’unico vero viaggio nel tempo che abbiamo occasione di fare su questa terra.
Sei stata veramente brava in questa descrizione e anche molto dettagliata 🙂
Complimenti!
Grazie! Tu chissà quante volte ci sarai stato: io ne ho vista solo una piccola parte!
Guarda, non credere, ci sono tornato la scorsa primavera – dopo tantissimi anni – perché dei miei amici spagnoli mi hanno pregato di accompagnarli.
Ciò premesso, devo ammettere che in Campania i siti archeologici di una certa rilevanza non mancano.
Fai bene a tornare per visitare Ercolano ( più piccola, ma più ricercata), ma ti consiglio di abbinarla con la villa di Poppea ad Oplontis.
Un saluto 🙂
Sì, ho sentito molto parlare di Oplontis (e della sua cassata!) per cui è sulla lista!
Grazie per questo bellissimo post su Pompei. Sarà che io sono curiosa di natura, che bello essere donna, ma è stato molto interessante.
Grazie a te!
Come rimediare al fatto di non essere ancora mai stati a Pompei? E’ una vita che vorrei andarci e in un paio d’ore di treno potrei essere lì. spero di farlo al più presto perché è una delle bellezze d’italia da vedere per forza almeno una volta nella vita. intanto con il tuo racconto è come se ci fossi stata.
Grazie Cris! 🙂
Grazie a te! (e cmq io ci ho messo più di trent’anni ad arrivarci, ma si può?!?)
Diciamo che l’importante è arrivarci dai! 😀
Pompei ce l’ho vicina, ma in 30 anni di vita l’ho visitata solo una volta. Da tempo desidero rivederla, prima che la lascino cascare!
Idem, la scorsa estate è stata la mia prima e unica volta! E naturalmente ne ho visto solo un pezzettino. Vorrei tornare anch’io e magari abbinarla ad Ercolano.
Ad Ercolano non sono mai stata *_* (momento di vergogna)
Pompei mi manca.. Spero di visitarla un giorno
Ne vale la pena!
“…pestavano i panni in miscele di acqua e soda oppure di orina.” Schhh, non diteglielo a mio marito che è sempre alla ricerca di “rimedi naturali”. Dopo la fissa di aceto e bicarbonato (stile Titti&Flavia) con cui mi riempie casa, non vorrei ci facesse un pensierino! Che ridere!
Aspettavo questo tuo post da quando ci sei andata. E ora non vedo l’ora di poterci andare anche io a Pompei. Kiss
hahaha ma chi sono Titti e Flavia? In ogni caso no, l’odore dell’aceto proprio non lo sopporto, quindi… bocciate! 😀