Ricordo di aver pensato che il sentierino che portava al nostro bungalow era piuttosto maltenuto. Mucchi di terra, cespugli piegati, un albero scorticato. “E’ stato un elefante la notte scorsa” – dice il nostro accompagnatore mentre ci consegna una pila e una trombetta, tipo quelle da stadio. “Questa è da usare solo ed esclusivamente per le emergenze più serie: di notte naturalmente vi chiediamo di non uscire”. E fu così che mi innamorai di quell’eco-lodge che, una volta calato il sole, diventava una specie di parco giochi per elefanti insonni.
Del resto, la prima impressione che si ha del Parco Chobe è proprio quella di un campo di battaglia. Le tracce del passaggio degli elefanti sono visibili un po’ ovunque e sfido io: sono oltre 70.000 gli esemplari presenti (Giusto per dare un’idea, in Sudafrica, il Kruger ne ospita circa 13.000 e l’Addo Elephant Park… appena 600)!
Arrivando dalle Cascate Vittoria in Zimbabwe, abbiamo visitato la sezione del parco ad esse più vicina: Serondela. Si tratta di un’area molto gettonata perché offre la possibilità di fare un boat safari, ossia di navigare sul fiume Chobe, unica risorsa d’acqua durante la stagione secca, presso cui, di conseguenza, si radunano gli animali ad abbeverarsi. E’ qui che vediamo coccodrilli, varani, ippopotami e, naturalmente, gli elefanti. Che non si limitano a bere: due di essi si gettano nel fiume inscenando un finto combattimento, una prova di forza a suon di proboscidi. In una parola, giocano.
Calcando le strade sterrate del parco invece, ci è capitato più e più volte di imbatterci in gruppi di femmine con i piccoli o in maschi solitari intenti a strappare rami e foglie dagli alberi. Abbiamo sorpreso alcuni elefanti rovesciare la proboscide all’indietro e gettarsi un po’ di terra sul dorso per proteggersi dal sole e siamo stati costretti a fermare la jeep per consentire loro di attraversare la strada. Operazione che, tra l’altro, svolgono in modo impeccabile, in perfetta fila indiana, mai in un gruppo disordinato.
Gli elefanti del Chobe sono così numerosi anche grazie al decreto che, nel 1989, ha vietato il commercio dell’avorio, riducendo il bracconaggio. Tuttavia, oggi, nel nord del Botswana, l’eccessivo proliferare di pachidermi sta facendo emergere una nuova problematica: la distruzione dell’habitat. Gli elefanti mangiano infatti fino a 14 ore al giorno! Per questo, i luoghi al mondo capaci di sfamarli si contano sulle dita di una mano: basta immaginare quante tonnellate di vegetazione (erba, foglie, frutti) sono necessarie per soddisfare l’appetito quotidiano di ciascun pachiderma.
Il Chobe, però, non è solo il paradiso degli elefanti: in quanto a fauna è tra i parchi più ricchi e variegati di tutta l’Africa. Dai babbuini agli sciacalli, dai facoceri ai felini (con i quali siamo stati però decisamente più fortunati nei giorni successivi, nella Moremi Reserve sul Delta dell’Okavango). Può capitare di vedere proprio di tutto, dall’alto della jeep.
Ecco tre giraffe! Spingono il muso a strappare qualche foglia sulla cima di un albero: ci sembrano altissime. Solo che poi arriviamo di fronte a un baobab e ci rendiamo conto che è tutta questione di prospettive: anche la giraffa si ridimensiona di fronte a quest’albero tanto nobile quanto immenso, che assolve una particolare funzione nell’immaginario africano. Lascio parlare a questo proposito uno dei miei autori preferiti, Moravia, in un passaggio tratto dal suo bellissimo Passeggiate Africane:
“Non sono gli animali, i leoni, i rinoceronti, le giraffe, i leopardi, i protagonisti dell’Africa, ma gli alberi e, tra gli alberi, il baobab. Il baobab in effetti non è un albero “utile”, dai suoi legni non se ne può ricavare nulla, perchè la sua sostanza è troppo fragile e spugnosa. La sua caratteristica è una ‘combinazione sconcertante del gigantesco con l’inutile’. Eppure, anche il baobab a ben guardare ha una sua necessità ed è di tipo spirituale. Fra i suoi rami infatti, che sembrano radici e che sono rivolti verso il cielo quasi fosse un albero capovolto, si nascondono di preferenza gli spiriti, gli spettri, i fantasmi di ogni dimensione”.
Dall’elegante giraffa passiamo agli sgraziati bufali, bovini aggressivi, rozzi, imprevedibili. Con il loro sguardo vacuo, a differenza di ogni altro animale non danno segni di attacco imminente: non allargano le orecchie come gli elefanti, non tendono l’agguato come i leoni. Attaccano e basta. Non amo passare accanto alle mandrie. Perché i bufali sono sempre in tanti, tantissimi. Unica eccezione i maschi più vecchi, che vengono progressivamente allontanati dal gruppo e lasciati a vagare solitari (o tutt’al più in coppia), per il bush fino a che la morte – o un leone – non li coglierà di sorpresa.
E’ un parco perfetto il Chobe, silenzioso, armonico. Una sorta di eden, dalle savane sconfinate, dai tramonti dipinti. Come spesso accade in Africa, si ha la sensazione di vivere in un luogo idilliaco, meraviglioso nella sua semplicità. Ma il risveglio è brusco: il silenzio d’un tratto diventa assordante, l’antilope drizza le orecchie, una tacchinella selvatica lancia un grido d’allerta per avvertire le compagne. Posiamo gli occhi su di una carcassa ancora sanguinolenta di una zebra: le iene, probabilmente non sono lontane.
Armonia con la natura non è necessariamente sinonimo di pace e mai come nel bush africano essa è insidiosa, traditrice. Così può succedere di fermarsi un attimo ad abbracciare con lo sguardo la vastità del paesaggio, senza accorgersi di avere sopra la testa un’aquila o due avvoltoi, rapaci brutali che monitorano il territorio. O ancora, può capitare che la guida spenga l’auto, nei pressi di un gruppetto di impala. “Perché ci fermiamo?” – chiediamo. “Ma come, non l’avete vista?” E ci indica una leonessa acquattata tra gli arbusti, pronta a scattare. Noi non l’abbiamo vista e, soprattutto, nemmeno gli impala. Almeno questa volta, però, andrà tutto bene: il sole è ormai alto e la leonessa non ha voglia di stancarsi. Poco dopo farà dietro front, mentre gli impala continuano ignari il loro brucare.
La natura africana. Un idillio che può essere infranto con un semplice balzo.
Info utili per visitare il Parco Chobe
- Quando andare? Come sempre, il periodo ottimale per affrontare un safari è la stagione secca, ossia la nostra estate, tra giugno e agosto. Questo perché la vegetazione non è così fitta da impedire la visuale degli animali e perché gli animali tendono ad affollarsi intorno alle uniche pozze d’acqua rimaste. Localizzarli è dunque sicuramente più semplice che non in altre stagioni, quando invece si disperdono nelle savane.
- Dove pernottare? Le opzioni sono diverse, si va da semplici lodge a lussuosi campi tendati. Qualunque sia la tua scelta, fai caso al lato green del Botswana: come dicevo qui, questa nazione cerca di ridurre al massimo l’impatto ambientale abbracciando soluzioni eco-friendly. Ad esempio, sfrutta l’energia solare per limitare il consumo di elettricità o utilizza la sabbia del Kalahari come isolante all’interno dei muri al posto di mattoni e cemento (quest’ultimo un materiale altamente inquinante).
- Servono vaccinazioni specifiche? No, in Botswana non sono necessarie vaccinazioni specifiche, ma è consigliabile seguire una profilassi antimalarica o, in alternativa, mettere in valigia un bel repellente le per aree tropicali.
- Parco Chobe e cos’altro? La visita del Parco Chobe può essere abbinata a quella alle Cascate Vittoria, in Zimbabwe, che si trovano a meno di un centinaio di chilometri di distanza oppure, e soprattutto, a un soggiorno sul Delta dell’Okavango, altra esperienza di safari straordinaria e unica al mondo!
Mi hai ricordato uno dei luoghi che ho amato di più… Grazie del tuo racconto e complimenti per le splendide foto! 🙂
C’è stato un periodo non molto lontano in cui ero in fissa con l’Africa, ed il Chobe era uno di quei posti che tanto mi affascinava, e a dire il vero continua ad affascinarmi ma che al momento mi sembra tanto irragiungibile! Con questo racconto e grazie alle foto stupende per un po’ mi sono persa anche io tra i suoi sterrati e la sua natura magnifica! Grazie!!!
Spero allora un giorno tu possa andarci sul serio!! Ho amato moltissimo il Kruger in Sudafrica, ma il Chobe è tutto un altro livello: come avevo scritto nel mio post precedente sul Botswana, questo stato pratica un turismo a numero chiuso, di conseguenza le esperienze che regala sono molto molto diverse. Hai la possibilità di fare safari molto più ‘privati’, nel senso che le jeep che circolano sono davvero poche rispetto a Paesi con turismo di massa, quindi l’avvistamento degli animali… non so, assume un altro sapore. 🙂
Articolo MERAVIGLIOSO, soprattutto per le foto che ti trasportano (quasi :D) lì in un attimo!
Grazie mille! Ho sempre un sacco di foto quando torno da un safari, che non so mai quali scegliere: sono contenta che queste abbiano creato il giusto effetto! 😀
Rischio di essere ripetitiva Cris, ma ogni volta che scrivi di Africa è poesia.
<3
Sto sognando ad occhi aperti cara Cris… Spero presto di vedere coi miei occhi questa natura spettacolare ed ancora incontaminata che descrivi nei tuoi magici posts!!!
Lo spero anch’io per te! E poi sei quasi guida no?
Eh me ne manca ancora di strada per potermi definire tale…per adesso i miei saperi si limitano ai libri😁😁😁
Scusami ma sto facendo dei pasticci tremendi. E’ partito un inizio di commento, ti prego di cancellarlo. Volevo dire che hai scritto un articolo affascinante e con fotografie veramente spettacolari. Complimenti Cris.
Grazie, però l’Africa ci mette sempre del suo! 🙂