Unghie perfettamente smaltate, uno stiletto. Magari anche di Jimmy Choo, non sono appassionata di scarpe e non ne ho idea. Non vedo altro di quella ragazza, il lungo abaya nero l’avvolge completamente e non lascia scoperti nemmeno gli occhi. Dietro di lei uno spesso donnone occidentale beve rumorosamente un milkshake, fasciata in un top troppo corto per la sua pancia ridondante e costretta in pantaloncini che nulla lasciano a indovinare in quanto alla sua cellulite. Un gruppo di uomini in lunghi abiti bianchi passa vicino ad entrambe, non le degna di uno sguardo. Fuori dal Dubai Mall è appena cominciato lo spettacolo delle fontane danzanti e una musica arabeggiante fa da sottofondo a una sensuale danza del ventre fatta d’acqua.
Chiamiamo un taxi che ci porta sulla via principale di Dubai. Via. Bhè, si fa per dire. Dubai è in realtà tagliata da una specie di autostrada a più corsie – la vedete nella prima foto, illuminata, dall’alto del Burj Khalifa – dove le auto sfrecciano veloci, ma non quanto vorrebbero. Perché quella Bugatti, quella Rolls e quella Ferrari gialla potrebbero andare molto più forte di così. Solo una Lamborghini supera le altre altre. Un pazzo alla guida? No, probabilmente un agente in borghese. Pare che la Lamborghini sia l’auto della polizia. “Così vanno più veloci” – dicono. Sarà per questo che Dubai è una della città più sicure al mondo?
Dal finestrino, guardo in su. Sono talmente alti quei grattacieli che, dal taxi, non riesco mai a vederne la punta. E pensare che si ergono su fondamenta di sabbia, su quelle che appena pochi decenni fa erano dune. In pochi minuti mi rendo conto che Dubai ha risvegliato il mio amore per le megalopoli, per la confusione, per i luoghi affollati, dove a volte devi sgomitare per passare, dove devi attendere il tuo turno per salire sulla scala mobile. Un amore sopito da quasi due anni di Congo, dall’Africa dei grandi spazi, della natura prepotente. Ma poi… ah, la città.
Il taxi ci lascia alla spiaggia di Umm Suqeim. In costume, ci sdraiamo sull’asciugamano, con il Burj Khalifa alle spalle e il Burj Al Arab di fronte. Stretto tra due primati – il grattacielo più alto del mondo e uno dei pochissimi hotel 7 stelle del pianeta – il mare è inaspettatamente cristallino. Un luogo che ha del surreale e che lo diventa ancor di più con il canto non troppo lontano di un muezzin che invita alla preghiera. Due giovani indiani si divertono in acqua come ragazzini. Più in là un gruppo di donne in nero cerca refrigerio presso un chiosco. Un sorso d’acqua. Acqua che costa più del petrolio: viene presa direttamente dall’oceano e resa potabile attraverso un costosissimo processo di desalinizzazione.
Questa è Dubai. Questo è lo stralcio di una mattina, nella “città finta”, appellativo con cui amano definirla con malcelata indignazione i tanti che da qui sono passati. Ma finta Dubai non lo è proprio; artificiale forse, questo sì, ma tra i due termini c’è una bella differenza. Dubai non ha nulla da fingere perché si è costruita, in pochissimo tempo, un’identità ben definita, sia pur a suon di specchi ed estremi. E l’ha fatto per un motivo ben preciso.
Non può contare sulle stesse riserve di petrolio degli altri Emirati, ed è per questo che, in maniera oltremodo lungimirante, si è creata poco per volta una nuova fonte di reddito. E’ una città che ha puntato – e sta puntando – tutto sul turismo, perché sono quegli stessi specchi e quegli stessi estremi che, in un futuro non troppo lontano, non la faranno sprofondare nuovamente nella sabbia.
Ospite dell’Expo 2020, la città è costantemente in evoluzione. Ogni settimana le guide locali vengono aggiornate, ogni weekend c’è un festival, una fiera o una kermesse a cui prendere parte, ogni giorno lo skyline muta. E’ così che Dubai si garantisce il suo futuro: attraverso un continuo divenire, un incessante cambiar pelle per continuare a vivere. Viene dunque da chiedersi cosa cerchi questo turista – pardon, viaggiatore – che di Dubai tanto si lamenta. Che tipo di autenticità ci si aspetta da un centro esploso recentissimamente (negli anni 90) e nel bel mezzo del deserto arabico?
Un passato deve pur avercelo Dubai, no? In effetti, l’ho cercato anch’io. Mi sono spinta sul Creek e a Deira, ho camminato tra le torri del vento nel quartiere di Al Fahidi, ho curiosato tra i souk delle spezie, dell’oro, dei tessuti. Ma questa Dubai, quella che si sforza di essere in qualche modo tradizionale, non mi ha fatto impazzire. Perchè Al Fahidi è ricostruito, i souk sono sporchi, le spezie stantie, i tessuti robaccia e l’oro pacchiano. E c’è tanto ciarpame, narghilè polverosi, cuscini dai ricami sfilacciati, finte lampade di Aladino incapaci di soddisfare il desiderio di come vorremmo che fosse la “vera” Dubai.
Tutto suona forzato, (ri)creato per il turista a caccia dell’autentico a tutti i costi, all’ostinata ricerca di quel marciapiede che gli permetta finalmente di girarsi la città a piedi come si aspetta di fare ovunque nel mondo. Qualche spunto per una foto, l’immancabile corsa su di un abra scolorito dal sole, uno sguardo allo skyline nettamente ridimensionato e un pensiero:
Era proprio questa la Dubai di una volta (e una volta quando)? O è piuttosto l’altra faccia della Dubai odierna, quella senza grattacieli, quella dei venditori ambulanti? La città pre-petrolifera è certamente esistita ma, nonostante gli attuali progetti di riqualificazione del Creek, è il futuro ad incombere.
E’ quel grosso castello di sabbia che, per attirare su di sé gli occhi del mondo ha scelto la via dell’eccezionalità, fregandosene dello snobismo e delle noiose ovvietà con cui lo si dipinge. Perché sì, lo sappiamo tutti che una pista da sci nel deserto non può esistere in natura e bla bla bla… Ma a Dubai c’è ed è anche una pazzia come questa che, insieme a molte altre, contribuisce a rendere la città così unica e, sì, così imperdibile. Dubai è bella e vera se viene presa per com’è, giudicata non a priori ma con un minimo di logica: date le circostanze in cui è sorta poteva forse essere diversa?
E come spesso accade, siamo sulla stessa lunghezza d’onda.
Dubai può piacere o non piacere, ci mancherebbe, ma la condanna a morte dopo 2 giorni mi sembra un giudizio affrettato e, soprattutto, superficiale.
Dubai non è Las Vegas e se ci aspetta qualcosa di simile, probabilmente non si ha ben chiaro dove ci si trovi.
Esatto. Che poi, dovendo scegliere tra le due – che cmq non hanno niente in comune a parte il fatto di essere sorte in mezzo al deserto – alla fine sceglierei Dubai…
Ti leggo e mi chiedo quando è che scriverai un libro… ma quanto sei brava a scrivere Cris? Con quanto spessore e quanta minuziosità nel descrivere istanti e luoghi? Mi sono praticamente tuffata tra le righe e non mi ci sono persa…ero in fase di esplorazione!
Maddaiiiiiii!! Che divento non rossa, bordeaux!! 🙂 Nessuna bravura, davvero. Solo l’occhio di una che scrive con l’intento di raccontare cosa vede, punto e basta. Non ho secondi fini, non me ne frega nulla della SEO, non do mai giudizi assoluti perchè non sono nessuno per farlo. Viaggio per viaggiare, scrivo per scrivere. Tutto lì! Un bacio Tizzi!
E pensare che noi di Cocco on the road ci abbiamo vissuto 3 anni qui nella città dei balocchi, con molti compromessi e al risveglio ti rendi conto che non e’ oro tutto ciò che luccica, ma guai dirlo a voce alta, qui dove dicono che tutto e’ concesso vige una severa legge dettata dalla sharia. Complimenti per l’articolo, hai svelato alcuni dei segreti di questa città.
Immagino: questa è una cosa che ho percepito ma che non ho potuto approfondire. Parlando con alcune persone, sia locali che expat che vivono lì da anni, la prima cosa che viene fuori è che tutto funziona, tutti hanno un lavoro ed è facilissimo trovarlo e tante altre belle cose. Parlandoci più a lungo, pian piano vine fuori altro e… si cambia discorso. Un po’ come nascondere la polvere sotto un tappeto. Dubai mi affascina tantissimo anche per questo in fondo: secondo me nasconde molto, molto di più di quello che il turista interessato solo a trovare il marciapiede riesce a vedere.
Ci andrei molto volentieri in auto.
Sono convinto che la mia polo bianca farebbe la sua porca figura.
hahaha ma vuoi mettere? Di sicuro, in un mondo di SuperCar, attireresti l’attenzione! Come si suol dire, ‘l’importante è che se ne parli’, quindi ben venga la Polo! 😀
Amo molto il tuo modo di scrivere e abbiamo diverse esperienze in comune…concordo con te sul fatto che Dubai non è assolutamente una città finta, è di sicuro il termine più sbagliato che le si possa attribuire.
Tuttavia non mi è piaciuta, e non per i suoi grattacieli e per i suoi centri commerciali (che ho trovato essere grandissime opere di architettura), ma per l’accoglienza, il modo di vivere, il clima e per il suo essere città “in lungo”.
Ci ritornerei? Forse sì, per curiosità, per ammirarne i cambiamenti.
Un bacio! :*
Ciao! Capisco cosa vuoi dire con città in lungo: non è l’ideale di certo per girarla! Ne abbiamo fatto un ‘tratto’ al giorno per evitare di muoverci su e giù come trottole e spendere un sacco in taxi… E concordo assolutamente sul clima: ci credo che le fermate dei bus sono cabine chiuse con l’aria condizionata!
Un bacio a te! 🙂
Interessante, noi non siamo ancora convinti dell’identità di Dubai – come dici tu c’è tantissima gente che la definisce una città finta e altra che invece l’ha davvero apprezzata. potremmo deciderlo solo visitandola, per ora il tuo articolo ci ha permesso di viverla secondo i tuoi occhi e non è affatto male!
Un bacio 🙂
Grazie! Per me è la seconda volta a Dubai e, pur non essendo una delle mie città preferite, ci tornerei volentieri una terza. Non so da dove nasca questa ‘antipatia profusa’ per Dubai: secondo me è bene che ognuno pensi con la propria testa. Può non essere una priorità, certo, ma è una città unica al mondo e, in quanto tale, credo meriti di essere vista.
Un bacio a te!
Meraviglia!