Pointe Noire: storie di taxi e di avventura

Per le strade di Pointe Noire, Congo
Di quella volta che ho quasi condiviso il taxi con una capretta. E di quella che ho viaggiato con un sacchetto di bruchi vivi. Perchè ogni corsa è un'avventura.

Tanto per cambiare piove. Quest’anno la stagione delle grandes pluies sembra non finire mai. Il cielo si oscura di colpo e giù secchiate, nemmeno il tempo di aprire l’ombrello. Acquazzoni che mangiano le strade e che creano pozze così grandi che ad attraversarle hai un po’ di paura, perché non sai quanto sono profonde. Per questo, in alcuni punti della città, ci sono energumeni pronti a caricarsi donne e bimbi sulle spalle per trasportarli in punti asciutti.

Ma mentre Pointe Noire si allaga, c’è chi viaggia imperterrito fregandosene di quest’apocalisse d’acqua. Il taxi congolese non c’è niente che lo ferma. Vecchie Toyota Corolla dall’animo anfibio si giocano motore e carrozzeria affrontando qualunque percorso senza indugio: cambiare strada? Rallentare? Giammai.
E così può succedere che di punto in bianco – sbam! – sprofondi in una buca e ti trovi con il finestrino completamente schizzato di fango e l’acqua che arriva quasi a metà portiera. Una portiera che spesso sta chiusa per miracolo e dunque la tua mente ripete in automatico scongiuri del tipo ‘tipregotipregotiprego fa che non si apra!’. A raccontarla è una situazione quasi comica. Quando ti rendi conto di quanto sia concreta la prospettiva di essere inondato di melma… lo è un po’ meno.
Del resto però, con o senza pioggia, prendere un taxi è sempre – o quasi – un’avventura: blu e bianchi, segno inconfondibile di Pointe Noire, di taxi ce ne sono talmente tanti che, in fase d’atterraggio, sono già visibili dall’aereo. Formano quella caratteristica macchia di colore che vuole ricordare il blu dell’oceano che però, paradossalmente, blu proprio non lo è.

Tanta gente storce un po’ il naso quando dico che mi sposto in taxi. E non hanno tutti i torti dato che, innanzitutto, non sono di certo un esempio di pulizia. Ma è comprensibile: la maggior parte delle strade di Pointe Noire non è asfaltata e, di conseguenza, è molto polverosa, fangosa: è normale trovare terra sul tappetino delle auto. In compenso, forse per ovviare a questo inconveniente, ogni tassista cerca di personalizzare la propria vettura per renderla quanto più gradevole possibile. O almeno ci prova. Sedili in pelle, in stoffa, ricoperti di pelliccia di dubbio gusto e igiene (sorvoliamo la quantità di germi che presumibilmente si annidano al suo interno), ma anche Led colorati sul cruscotto, in una perenne atmosfera natalizia, foto di famiglia sparse un po’ ovunque – e le famiglie congolesi sono molto, molto numerose –, gadget e gagliardetti di squadre improbabili, sticker di dimensioni gigantesche che recitano sentenze del tipo ‘le conducteur de ce taxi ne boit pas’. Che ok che non beve, ma come faccia a guidare in sicurezza dato che l’adesivo occupa tutto – e dico tutto – il vetro posteriore dell’auto….

L’aria condizionata poi, sui taxi non è un optional. Nel senso che proprio non c’è, manca sempre. Ora, dato che l’Africa non è propriamente un continente freddo, le auto girano sempre con due o più finestrini abbassati, spesso irrimediabilmente bloccati. Di conseguenza, pare di viaggiare nella galleria del vento e temo fortemente il giorno in cui tutta quest’aria gratuita si tramuterà in otite o paresi facciale. Comunque. Oggi pomeriggio, ad esempio, viaggio di gran lusso: signori, il cabriolet. 4 finestrini giù non bastano? Apriamone uno direttamente sul tettuccio, checcevò! E così, salii su questa Toyota malamente divelta ma decisamente, lo giuro, ben ventilata.

A parte tutto ciò, il viaggio in taxi può risultare addirittura piacevole, se non altro perché ti permette di scoprire qualche aspetto in più della vita congolese. Con la rumba in sottofondo, il tassista cerca spesso di intrattenerti raccontandoti della sua famiglia e del suo Paese prima di interpellarti sugli stessi argomenti e sfoderare con orgoglio le parole che conosce non appena riveli di essere italiana. Una volta un tassista particolarmente gourmand mi ha dato consigli di cucina. Non hai mai assaggiato il serpent congolais? E nemmeno la larve congolaise (un grosso vermone ricco di proteine)? Aaaah, mais vous ne connaissez rien, madame! – sospira con disappunto.
Dal canto mio, credo che me ne farò una ragione.

A questo proposito mi viene in mente un’altra corsa, fatta appena pochi mesi dopo il nostro arrivo. L’autista ferma l’auto e dice che scende un secondo a comprare la cena. Sul lato della strada c’erano dei bambini che vendevano robe verdi in un canestro: piselli, forse fagiolini. Una verdura di qui, insomma – penso. Poco dopo risale in auto tutto gagliardo e poggia il sacchetto sul sedile di fianco a me. ‘Chenilles!’ – fa con evidente acquolina in bocca. Io sbianco. Bruchi. Nel cartoccio a due spanne da me. Vivi. Balbettando gli ho chiesto come si cucinano (?): si fa una bella frittata, sorride.

Sui taxi si carica un po’ di tutto. Ho il sospetto, ad oggi non confermato, che molti trasportino pesce. Talvolta, sali in auto e hai l’impressione di entrare nella peggio pescheria del mondo. E ti va di lusso se si tratta del taxi che ti riporta a casa, così vai subito dentro la doccia senza nemmeno fermarti prima a fare pipì. Più complicato è quando il taxi-pescheria lo becchi a inizio giornata.

E poi c’è la questione delle condivisioni. Prima di Natale ho rischiato di fare il viaggio in compagnia di una capra. Mi spiego: ero fuori da scuola in attesa appunto di un taxi e, a un certo punto, da una viuzza laterale spunta una capretta che decide di attraversare la strada principale, dove le macchine sfrecciano ad elevata velocità. Con terrore osservo la bestiola che avanza per nulla titubante, dicendomi che no, non posso reggere un’eventuale visione dell’ovino sfracellato. Si ferma un taxi e grazie a Dio salgo, ancora preoccupata per la sorte della capretta. Evidentemente la guardavo con così tanta partecipazione che all’autista è venuto il dubbio che fosse mia: ‘le mouton est à vous?’. Mi giro e lo guardo in faccia per vedere se scherza. No, non scherza, è serio e se gli avessi detto di sì, probabilmente mi avrebbe aiutata ad acchiappare la capra e a ficcarla in macchina.

Niente capretta? Non disperare, se proprio non vuoi viaggiare da solo, puoi condividere la corsa con altri passeggeri: i taxi di Pointe Noire possono servire più persone contemporaneamente. Se il primo passeggero è d’accordo, strada facendo, il taxi può far montare anche una seconda, una terza e persino una quarta persona con cui percorrere la tratta. Se te lo stai chiedendo, no, non sono ancora a questo punto, mantengo una certa privacy. Una volta però, devo dire che ne ho avuto quasi la tentazione: è successo che, per motivi ancora oggi nebulosi, l’intera città è rimasta senza benzina per circa 10 giorni. Dieci lunghissimi giorni durante i quali le sempre meno numerose vetture che circolavano ti proponevano tariffe allucinanti e si limitavano a fare tratte brevissime in centro città.

Addirittura, i tassisti parcheggiavano le macchine a secco non nelle loro rimesse ma direttamente in coda dai benzinai, davanti ai quali si erano intanto formati lunghissimi serpenti di auto stazionate. Poi tutto è tornato alla normalità. O quasi: il primo taxi che ho preso dopo la crisi faceva un rumore metallico ad ogni minimo sobbalzo – Clang! Clang!
Cos’è’? – chiedo all’autista. ‘No niente, ho giusto qualche barilotto di benzina nel bagagliaio. Sai mai per la prossima volta’. Ora, capisco essere previdenti, ma giuro che quando sono scesa da quell’auto carica di litri e litri di materiale infiammabile… bhè, ho tirato un sospiro di sollievo.

Join the Conversation

10 Comments

Leave a comment

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.

        1. says: Cris

          Bhè, sarebbe una novità da queste parti! A proposito di cose bizzarre, gira voce di un tempo in cui si era visto un gruppo di persone solcare le acque di Pointe Noire a bordo di un frigorifero, naturalmente muniti di pagaia… ma sarà la solita leggenda metropolitana. O forse no.

  1. Ciao Cris, devo dire che mi hai fatto tornare a Pointe Noire con il pensiero. Sicuramente anche tu dall’Europa sei arrivata prima a Brazzaville e avrai apprezzato anche quegli angoli. Effettivamente i taxi lì sono una gran bella esperienza, e poi con 1000 cfa ti portano dove vuoi!!! Mi ritrovo pienamente in questo racconto, abbiamo vissuto le stesse cose e sto sorridendo piacevolmente da quando ho iniziato a leggere! Spero di poter tornare, la frutta a colazione era favolosa! A presto!

    1. says: Cris

      Ciao Luigi! A Brazza ci sono stata solo un giorno in visita… mi sembra però che i taxi verdi raccontino le stesse storie dei blu! 🙂 felice di averti riportato per un attimo indietro nel tempo!

  2. Come sempre mi perdo nei tuoi racconti. Come sempre quando scrivi, e quando scrivi del Congo in modo particolare, ci metti l’anima. E’ meraviglioso quanto tu sia tanto capace di raccontare con tanta bravura anche solo un aspetto della vita di un angolo di pianeta. Ti stimo troppo Cristina. Il video, poi, con quella canzoncina? Come è vario il mondo. Mentre me ne sto nella mia stanzetta ecco cosa accade molti, moltissimi chilometri in giù. Ti abbraccio forte!

  3. says: Stefano

    Che spettacolo! O meglio: per te che ci sali sopra magari non proprio, ma per me che ho letto devo dire che è stato meglio di un film comico!
    E io che pensavo che i tassisti cinesi fossero i più pazzi del mondo, probabilmente deve essere una casta globale! Non si diventa tassisti, si nasce!

    1. says: Cris

      Esatto! Ovunque vada mi piace sempre un sacco prendere il taxi *va bhe in Congo non così tanto*. .. a volte poi, capitano di quei personaggi: conversazioni surreali! 🙂

      1. says: Stefano

        Uno degli aspetti più divertenti per me era farsi capire. Conoscevo poche parole di cinese e i tassisti cinesi non conoscono l’inglese. Per cui spesso mi riducevo ad indicargli le strade del tipo “gira a sinistra ora” “vai dritto”. In pratica io facevo da navigatore. Ma la tariffa era sempre la stessa.
        L’unica volta che ho trovato un tassista che parlava cinese era appena arrivato a Suzhou, per cui non conosceva la città e mi ha detto che non sapeva dove portarmi! Ho dovuto cambiare taxi…