Non era nemmeno troppo male, quel motel di Bishop, California. Dopo un caffè (americano, va da sé), raccolgo quattro cose sparse per la stanza e le butto in fretta nel borsone. Forse è qui che ho dimenticato lo spazzolino da denti, non ricordo. Ricordo però il fervore che accompagnava la nostra partenza: fino a ieri eravamo allo Yosemite e, oggi, saremmo dovuti arrivare fino a Las Vegas. Ma non era la meta finale a scatenare entusiasmo. Era come ci saremmo arrivati e, cioè, attraversando uno dei parchi nazionali più singolari d’America: la Death Valley.
La chiamano God-forsaken land, la terra abbandonata da Dio. Si trova nel cuore nel deserto del Mojave ed è, in effetti, la quintessenza delle badlands: canyon di arenaria, distese di sale, dune sabbiose, laghi prosciugati, deserti di pietra. Precipitazioni che, in media, arrivano a 5 cm l’anno. Non manca nulla. La Death Valley è tanto inospitale e desolata quanto affascinante, magica.
E’ la seconda volta che la percorro ma, proprio come la prima, ho un po’ di agitazione. Sono tantissimi gli avvertimenti che vengono dati al viaggiatore che si immette sulla Hwy 190, la strada che, nella Valle della Morte, ci passa proprio in mezzo. Tanto per cominciare, anche se all’esterno la temperatura non fatica a raggiungere e superare i 40°, meglio evitare di mettere l’aria condizionata a palla, che se no si fonde il motore (mah!). Seconda cosa, inutile fare affidamento sui cellulari perchè qui non c’è quasi mai campo e lo smartphone al massimo lo puoi usare per fare foto.
E poi è meglio se ti porti tanta acqua, non tanto per il viaggio in sé ma perchè se l’auto si rompe sono guai. Ecco appunto: e se si rompe, che si fa? Assolutamente niente: non ti muovere da dove sei, fermo lì finchè non passa qualcuno. Addirittura, nel 2005, nemmeno c’era la stazione di servizio che invece, oggi, per fortuna è stata messa al Visitor Centre di Furnace Creek. E io che ho il terrore di rimanere a secco, almeno su questo ho potutto tirare un sospiro di sollievo.
Queste sono alcune delle raccomandazioni che quasi sicuramente ti troverai a leggere prima di partire. Ma ti assicuro che dopo un’ora d’auto le avrai già dimenticate, quindi… vai tranquillo! Se come me arrivi da Bishop, la prima area che incontrerai sarà quella di StovePipe Wells. Siccome il sole non è ancora altissimo, vale la pena vedere da vicino il piccolo Mosaic Canyon. Camminiamo tra i suoi stretti corridoi, accarezzando le lisce pareti di marmo e ammirandone i colori ai quali il canyon deve il suo nome. Al termine del percorso, nei pressi di quello che fu il letto di una vecchia cascata, ci accorgiamo che comincia a fare caldo seriamente. Ma in auto ci rimarremo poco: la prossima tappa è Mesquite Flat e usciamo subito per affondare i piedi nelle pallide dune di sabbia bianca.
Alcune di esse sfiorano i 30 metri di altezza. Ce ne sono di ancor più alte nella Death Valley – le Eureka Dunes, a nord del parco, superano i 1000 metri – ma sono raggiungibili solo con un fuoristrada. Ci accontentiamo quindi di queste più piccine; non riusciamo a fare due passi che il vento già cancella le nostre orme nella sabbia. Qua e là, un cespuglio dove, forse, di notte un roditore cerca riparo da un serpente a sonagli.
Arriviamo poi a Salt Creek che, migliaia di anni fa, era un gigantesco lago d’acqua dolce. Oggi, Salt Creek è forse la zona più ‘rigogliosa’ della Death Valley: una vegetazione costituita da bassi arbusti non manca e, specialmente in inverno, si allargano pozze d’acqua salatissima dove, però, non è raro vedere dei pesciolini. Si tratta dei pupfish, l’unica razza che ha seguito l’evoluzione del lago, adattandosi non solo a temperature elevatissime ma, soprattutto, alla trasformazione delle sue acque che, da dolci, sono divenute quattro volte più salate del mare! In estate, le pozze sono ovviamente molto molto ridotte, per non dire inesistenti, ma è comunque possibile vedere l’asprezza di questo territorio da vicino seguendo un percorso su passerelle.
Ci avviciniamo a Furnace Creek, il centro più popolato del parco, data la presenza del Visitor Centre. Qui la strada si biforca, offrendoci due diverse opzioni. Quale prendiamo? Ma entrambe! Lo facciamo in questo modo: prima seguiamo la Hwy 190, che ci porta in pochi minuti allo Zabriskie Point, il punto secondo me più suggestivo del parco. Decisamente surreale, il panorama abbraccia alti calanchi dorati, all’apparenza dolci distese di sabbia, ma in realtà dure rocce argillose lavorate dall’acqua. Il momento migliore per osservarlo è il tramonto, quando le dune, dall’oro, passano all’arancio. Nel 2005 avevo fatto il percorso inverso rispetto al 2013 ed ero riuscita, al tramonto, ad essere proprio qui. Indimenticabile.
Dopo lo Zabriskie Point, percorriamo il bel loop conosciuto come Twenty Mule Team Canyon e, infine, arriviamo a Dante’s View, un fantastico belvedere a ben 1500m d’altezza. Finalmente un po’ di ‘fresco’ ma, soprattutto, un panorama da non perdere. Perchè Dante’s View? Perchè è da qui che si vede bruciare l’inferno della Death Valley proprio sotto di noi, come un’immensa fornace ardente. Da quassù, inoltre, si vede bene la lingua bianca di sale di Badwater Basin, il punto più basso di tutto il Nord America, che raggiungeremo tra poco quando, lasciata la sottile brezza di questo picco, scenderemo nuovamente nel caldo rovente della valle.
Ricordi che, poco fa, avevo parlato di un bivio e di due direzioni da prendere? Ecco, dopo Dante’s View non c’è più nulla, non è possibile andare avanti. Ora, se hai fretta di arrivare a Las Vegas, puoi tornare indietro di pochi km e ricongiungerti con la Hwy 190 che, in un paio d’ore, ti porterà in città. Però – e te lo consiglio – se hai ancora del tempo a disposizione, torna al bivio di Furnace Creek e inforca la strada 178, la nota Badwater Rd. Anche questa ti porterà a Las Vegas: allungherai il tragitto di altre 2-3 ore ma scoprirai altre meraviglie della Death Valley.
Tanto per cominciare, troverai l’Artist’s Drive: si tratta di un loop super scenografico di una quindicina di km, che ti consente di vedere da vicino i tanti colori delle colline dell’Amargosa Range, disposti come sulla tavolozza di un pittore. I vari metalli presenti all’interno della roccia, le conferiscono le tonalità più diverse, dal giallo al lilla, dal celeste al verde acqua.
Il bacino di Badwater è ormai prossimo: l’enorme distesa di sale è abbagliante e comincia a vedersi in lontananza. Per raggiungerlo, passiamo accanto al Devil’s Golf Course, un campo di salgemma praticamente purissima (95%), immenso (oltre 500km2) e dentellato in cui, se giocasse a golf, probabilmente soltanto il diavolo sarebbe in grado di ritrovare le palline lanciate!
E poi, eccoci: scesi ormai a 86 metri sotto il livello del mare, arriviamo a Badwater Basin. Il suolo è ricoperto da crepe e formazioni saline, mentre una lunga lingua di cristalli di sale pronti ad evaporare scricchiola sotto i nostri piedi. Ci sono anche alcune pozze salmastre, resti di un lago che milioni di anni fa toccava quasi i 200 metri di profondità. Sebbene le ore più torride della giornata siano già trascorse, il sole è ancora caldo, caldissimo e l’aria asciutta crea una cappa d’afa che appanna il cielo; è qui che la temperatura nella Death Valley ha raggiunto i suoi massimi storici: ben 57°, all’inizio del 1900.
Continuiamo a guidare. Perchè, nonostante le stranezze che caratterizzano l’ecosistema della Valle della Morte e che lo rendono un paesaggio lunare unico nel suo genere, l’emozione più grande è, come sempre negli USA, il semplice fatto di percorrere queste strade. Strade lunghe e vuote, desolate ma avventurose, come in nessun altra parte del mondo. Dopo circa 1.30h, arriviamo a Shoshone, la prima cittadina fuori dal Death Valley National Park. Proseguiamo verso Parhump e la silhouette della strip di Las Vegas non tarda a svettare all’orizzonte.
Il deserto alle spalle, ritorniamo alla civiltà, circa 600 km e 10 ore dopo la partenza da Bishop.
Una sorpresa ogni due righi. Cose da vedere anche nel mezzo del nulla e quella sensazione di pericolo che già il nome è tutto un programma! Devono averci fatto una serie di film dell’horror vero? Si, perchè le foto, la tua descrizione… devo averla vista in qualche racconto dalla trama spaventosa. L’America… ne sa più di una.
Ma sai che mi hai incuriosita e sono andata a vedere cosa ci han girato! Oltre a un sacco di cose sconosciute, ci sono un po’ di Star Wars, Zabriskie Point di Antonioni (che non ho mai visto ma vorrei!) e persino… un Tarzan negli anni ’50! :DD