L’eredità newari di Bhaktapur

Taumadhi Tole, dal Tempio di Nyatapola
Patrimonio dell’UNESCO, Bhaktapur è il museo a cielo aperto del Nepal, un mosaico di pezzi aggiunti un secolo dopo l'altro...

E’ una delle tre località principali della Valle di Kathmandu. E’ patrimonio dell’UNESCO. E’ la città delle piazze antiche, delle pagode dai tetti spioventi, dei templi buddisti e induisti. E’ un museo a cielo aperto, pregna di un passato evidente che, però, non ti opprime con il suo peso. Ma soprattutto è una città viva, ospite di almeno 100.000 anime.

Bhaktapur è un luogo accogliente, dove dominano i toni caldi del rosso e tutto si fonde in un caleidoscopio di rame, legno, pietra, metallo e mattoni. Proprio come Kathmandu, è una città ridondante, confusionaria, chiassosa. Per visitarla si paga l’ingresso, solo così il Nepal può permettersi di finanziarne la conservazione. Entriamo in una via polverosa: ai muri, finestre dalle persiane sbilenche e una variopinta tappezzeria, i sari dei venditori ambulanti. In un attimo siamo a Durbar Square, una piazza così movimentata che quasi sembra essere lei a venirci incontro e non viceversa.

Per fortuna, diversamente dalla Durbar Square di Kathmandu, quella di Bhaktapur non è stata danneggiata dal terremoto del 2015 in modo troppo grave. Subito colpisce la disposizione degli edifici: sembrano buttati un po’ a casaccio, un tempio qui, una grossa campana là, un altro tempio laggiù, un obelisco a intralciare il passaggio. Insieme creano una specie di labirinto dove girare e girare per poi trovarsi al punto di partenza. Ma, soprattutto, creano un mosaico di pezzi, aggiunti un secolo dopo l’altro da sovrani più o meno capricciosi, magnanimi, devoti o avidi.

La storia di Bhaktapur comincia nell’ottavo secolo ma è solo tra il 12esimo e il 15esimo che la città raggiunge il suo massimo splendore, diventando capitale del Nepal. La sua posizione fortunata, proprio sulla rotta tra India e Tibet, ne determinerà comunque l’importanza commerciale fino al 18esimo secolo.

Tra i simboli della Bhaktapur più antica, qui a Durbar Square, spiccano il Palazzo delle Cinquantacinque Finestre, un largo edifico rosso dalla balconata in legno, residenza reale nel 1700. La statua del re Malla, appollaiato su di una colonna. La Lu Dhowa, la Porta d’Oro, sormontata da Kali e Garufa, mitico grifone. Naga Pokhari, una fontana custodita da un intreccio di grassi cobra di pietra. Il Tempio di Pashupati, dedicato a Shiva, eretto nel 1400 e, oggi, il più antico della piazza. E ancora, la porta dei leoni, che era (ed è) così bella che il sovrano che la commissionò fece mozzare le mani agli artigiani che la forgiarono affinchè non potessero mai più costruirne una simile.

Dopo Durbar Square proseguiamo verso Taumadhi Tole, la seconda piazza più nota di Bhaktapur. Qui, il Tempio di Nyatapola – eretto nel 1700 in onore di Siddhi Lakshmi, una delle incarnazioni di Parvati – si innalza su cinque piani per oltre 30 metri; è l’edificio religioso più alto della valle di Kathmandu.

Ai bordi della scalinata che conduce alla sommità, si ergono giganteschi leoni, elefanti e altre figure mitologiche: sono i guardiani del tempio, per sempre congelati nelle loro smorfie di pietra. Mentre saliamo, incrociamo una bimba che, col quel vestito, i capelli corvini e gli stivaletti rossi, sembra una piccola principessa d’altri tempi.

Una volta in cima, alzo il naso. Non posso fare a meno di ammirare la ricchissima e complessa architettura newari: anche il più piccolo pezzo di legno è intagliato quanto più finemente possibile. Accanto alla porta del tempio vedo scolpiti i simboli del buddismo, ennesimo esempio del sincretismo religioso che caratterizza il Nepal. Da quassù, la visuale sulla piazza di Taumadhi è splendida nella sua semplicità: un mercato di frutta e verdura si va lentamente riempiendo, mentre guesthouse e ristoranti da poche rupie e dai nomi superturistici si stagliano davanti alle vette dell’Himalaya.

E poi, sulla sinistra, un tempio più basso, altri due leoni di pietra all’ingresso. E’ il Tempio di Bhairabnath che, con la sua collana di teschi, è la più terribile delle manifestazioni del dio Shiva. Una bandiera del Nepal in metallo e numerose puja: pigmenti variopinti, fiori, ma anche frutta, uova e chicchi di riso.

Su alti gradoni, una bimba hindu siede imbronciata insieme alla sua ancor più imbronciata mamma, in attesa che il papà/marito trovi l’angolazione migliore per scattare una foto. Io, nel frattempo, ho scelto questa.

Ci fermiamo a mangiare un boccone in uno dei ristoranti che si affacciano sulla piazza: i classici momo, carne, verdura, riso e poi uno yogurt che no, purtroppo non è il juju dhau, il denso e – dicono –  delizioso dessert che ha reso Bhaktapur famosa anche in cucina. E’ semplicemente una massa esageratamente zuccherata e acquosa, servita a cucchiaiate gettate distrattamente in un piatto. Io e mio marito ci scherzeremo su più volte durante i giorni seguenti: forse non è stato proprio saggio mangiare un piatto simile il primo giorno di vacanza… ma tant’è; ormai è andata, e senza conseguenze.

Appena dietro Taumadhi Square, ecco la piazza dei vasai. Oggi però è un giorno festivo e tutte le terrecotte sono ben riposte: piatti, anfore e salvadanai giacciono abbandonati insieme agli strumenti di lavoro, il tornio, i sacchi di argilla. In questa parte della città i vicoli diventano più fitti e la gente sgorga da ogni dove; solo tre anziani siedono a chiacchierare su di un gradino, il topi sbilenco sulla testa, con quella forma che ricorda il sacro Machhapuchhare, uno degli ottomila.

Vorrei girare ancora un po’ per queste vie, guardare più da vicino quell’elefantino di coccio, osservare quel banchetto che vende foglie di un verde brillante cariche di spezie, prendere quella stradetta che porta chissà dove, ma il tempo stringe. Kathmandu non è la nostra meta finale, è solo una piccola comparsa all’interno un viaggio più grande, quello in Bhutan. Non posso dedicarle il tempo che vorrei e così, a malincuore, lascio Bhaktapur. Ma tornerò prima o poi perchè, come ho già detto qui, col Nepal è scattato un colpo di fulmine.

E tu, hai mai visitato città che si possono considerare musei a cielo aperto?

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