“Davanti a me si stendeva un immenso panorama tipicamente africano, ossia preistorico; uno di quei panorami, cioè, che evocano come d’incanto la presenza dei mostri scomparsi delle età geologiche, i dinosauri, i mammuth, i draghi volanti.”
– da A quale tribù appartieni?, Alberto Moravia
A questo angolo di preistoria, ci arriviamo salendo una serie di tornanti, che si arrampicano nel mezzo di una foresta tropicale e lustra, quasi nera. Sbuchiamo su di un altopiano e, come sempre in Africa, ci aspettiamo di affacciarci su quella distesa infinita che è la savana. Solo che, stavolta, il paesaggio non è quello solito, una variante inaspettata lo muta: all’orizzonte c’è un confine, ci sono pareti vere e proprie.
Siamo a 2200 metri sopra il livello del mare e, quello che stiamo osservando dall’alto, è il cratere dello Ngorongoro, ciò che resta di un vulcano collassato quasi tre milioni di anni fa. Largo 23 km ed esteso su di un’area di 250km2, è oggi la più grande caldera intatta al mondo.
La prospettiva migliore è quella che ho dal balcone della mia camera: di fronte a me, al centro del cratere, vedo una piana erbosa di un bel verde brillante e qualche macchia più scura, forse delle acacie; tutto intorno, sulle pendici dell’ex-vulcano, una foresta scura. E poi un lago azzurro, il Magadi, dove si specchia una nube di passaggio.
L’indomani, scendiamo all’interno. Noto con piacere che, anche una volta raggiunto il fondo del cratere, permane quella sensazione di primordialità che, anzi, diventa ancor più palpabile: merito della fauna, numerosa e variegata. Il cratere dello Ngorongoro è infatti una delle zone con la maggiore concentrazione di wildlife di tutta l’Africa: ogni specie, qui, sembra trovare il suo posto.
Basta spaziare con lo sguardo per distinguere nettamente ciascun gruppo: qui le zebre, laggiù i bufali gonfi e nervosi, poco distanti le antilopi saltellanti, poi gli gnu, gli elefanti, i babbuini, i facoceri e persino un gruppo di struzzi che corre, chissà, nell’atavico tentativo di spiccare un giorno il volo. Unica grande assente, la giraffa: il suo lungo collo non le consente nè di brucare le basse erbe della piana nè di muoversi liberamente nel fitto della foresta.
E ancora, le iene che, irrequiete, sembrano imprecare tra sé e sé come vecchi scorbutici. Una cucciolata di leoncini neri di fango (ha piovuto da poco!) si fa ripulire dalla lingua della mamma e un maschio dalla folta criniera si stiracchia più in là, lontano da queste cose da donne. Una coppia di sciacalli annusa l’aria. Ci sono anche i leopardi, naturalmente, ma non li vediamo: di tutti i felini, si sa, il leopardo è il più difficile da scorgere, data la sua natura solitaria.
Rarissimi e ahimè sull’orlo dell’estinzione, due rinoceronti neri. Li troviamo seduti nel verde; spuntano come grossi massi spigolosi, completamente immobili. Febbraio è uno dei periodi migliori per avvistarli perchè l’erba nel cuore del cratere è lustra e tenera; in estate, quando tutto è bruciato dal sole, il rinoceronte se ne sta ben nascosto all’ombra della foresta.
Ci dirigiamo verso un terreno più paludoso: in un ampio acquitrino una ventina di ippopotami si sollazza in acqua aprendo le fauci in un largo sbadiglio mentre, poco lontano, stormi di fenicotteri rosa si posano sul lago.
Una natura perfetta insomma, che esula dall’uomo e… e invece no. Perché il cratere si trova nella Ngorongoro Conservation Area, la stessa in cui è presente anche la bellissima zona di Ndutu, dove abbiamo assistito alla Grande Migrazione. La NCA è un esperimento: si tratta di un progetto che prevede la libera coabitazione di uomini e animali; mentre in un parco nazionale gli insediamenti umani non sono ammessi, qui invece lo sono.
Infatti, è proprio nei pressi del cratere – non all’interno, ovviamente – che vivono le tribù Masai: arrivati qui oltre 200 anni fa, attualmente sono oltre 40.000 individui. Marciano appoggiandosi a lunghi bastoni i guerrieri Masai, le tuniche rosse drappeggiate su di una spalla, come gli antichi romani. E dell’antico romano hanno il portamento, fiero e composto anche quando si tratta di pascolare capre e zebù. Vivono nei boma, rudimentali capanne fatte di fango, sterco secco e rami, accuratamente circondate da rovi spinosi per tenere alla larga fiere e altri animali selvatici.
Perché, in Africa, l’idillio non dura mai a lungo. Anche se prede e predatori sembrano convivere pacificamente. Sei, sette leonesse siedono nell’erba a poche centinaia di metri da un gruppo di zebre che non battono ciglio, non si muovono, continuano a mangiare l’erba. Solo, sollevano di tanto in tanto la testa, a guardare i loro potenziali carnefici. Perché non scappano? Chi lo sa. Evidentemente c’è un equilibrio a noi sconosciuto, un sesto senso che fa capire alla preda quando è il momento di fuggire e quando no.
O forse perchè in Africa la morte è parte integrante della vita e non un tabù; è natura, accettazione. Ce lo ricorda un grosso teschio di bufalo, le orbite vuote degli occhi, le grossa corna di ebano ancora intatte. Poco più in là, la sua spina dorsale: spunta tra l’erba lucida come una grossa scolopendra bianca.
Usciamo dal cratere dopo una lunga, intensa giornata. E’ la nostra ultima notte in Tanzania e, come sempre accade in Africa, il giorno prima della partenza ci prende un’insolita malinconia che, però, in qualche modo, ci è fin troppo nota. La sensazione è quella di lasciarsi alle spalle qualcosa di miracoloso, da cui noi super civilizzati primo-mondisti siamo, ormai, irrimediabilmente esclusi. Davanti al balcone della nostra camera, c’è un grosso bufalo che rumina. Ci guarda seccato, con il suo occhio liquido e bovino.
Ma che ne sa, lui, della nostra malinconia.
Il cratere è meraviglioso. Ho provato la sensazione di entrare in un mondo diverso, parallelo, come nella letteratura per ragazzi. Sono scesa nel cratere tra la nebbia della mattina e ciò che ho visto appena dissipata la nebbia mi ha allargato il cuore.
Esatto, quasi ti aspetti di veder sbucare un brontosauro! 🙂
Stupenda questa riserva! La Tanzania è da tempo nella mia lista anche se abbiamo deciso che questa’nno ci fermiamo un po’ con l’Africa e cominciamo l’Asia, da me tanto amata quanto sconosciuta. Per caso sei stata al Parco Kruger?
Buona giornata.
Io chissà quando comincerò con l’Asia… non è che non mi attragga ma, non so come, alla fine prevalgono sempre altre destinazioni! Al Kruger ci sono stata e lo ricordo con piacere dato che è stato il mio primo safari. Dopo l’esperienza in Botswana e appunto in Tanzania però… ora come ora non lo ripeterei. Ne avevo scritto qui: https://drive-mycar.com/2016/11/30/parco-kruger-cosa-sapere/ e qui il mio itinerario: https://drive-mycar.com/2016/09/10/itinerario-sudafrica/
Buona giornata a te!