Moremi Reserve, fiore all’occhiello del Delta dell’Okavango

Tramonto nella Moremi Reserve, Botswana
Licaoni, elefanti in fuga, ippopotami e felini: incontri tra paludi e boschi di mopane in un angolo d'Africa meraviglioso

Ci arriviamo a bordo di un aereo piccolissimo, forse il più piccolo su cui sia mai salita. Ha appena 12 posti e, da dove sono seduta, vedo distintamente i monitor della cabina di pilotaggio. Ma non mi lascio distrarre: quel che c’è fuori dal finestrino è ben più interessante.

Lasciato il Parco Chobe, regno degli elefanti, stiamo per raggiungere uno degli ecosistemi più particolari non solo d’Africa ma del mondo: il Delta dell’Okavango, una zona immensamente ricca di vegetazione, di mammiferi, di uccelli soprattutto. E’ proprio dall’alto che si coglie al meglio la singolarità del paesaggio. Il fiume Okavango si frantuma in una miriade di serpentine d’acqua, di affluenti, di rivoli, che creano a loro volta paludi, laghetti e isole e un insolito panorama verde-blu proprio in mezzo al deserto. Perché l’Okavango, il mare, non lo raggiunge mai: muore prima, consumandosi tra le sabbie del Kalahari.

La nostra destinazione finale è la Moremi Reserve, un’area verde straordinaria che occupa buona parte del lato est del delta del fiume. Perché è così eccezionale? Perché, in appena 5000 km², presenta un’enorme varietà di paesaggio e, conseguentemente, di fauna: ci sono boschi di mopane, dove con un po’ di fortuna si trovano i rari leopardi, lagune, isolotti e canneti, ideali per il bird watching e per avvistare gli ippopotami, e ancora, foreste di acacia, canali navigabili, praterie.

Cominciamo il nostro safari decisamente bene: incontriamo infatti i miei due animali preferiti, le iene (con tanto di cuccioli!) e i licaoni. “Neri, con un ciuffo bianco in cima alla coda e le orecchie a punta, con quel loro pelo ruvido e ineguale che sa di cattivo”: così ne parla Karen Blixen ne ‘La mia Africa’. E in effetti sono esseri sanguinari, crudeli, che uccidono le prede per sfinimento, rincorrendole finchè queste capiscono di non avere più via di scampo. Ma, come del resto tutti i canidi, sono anche animali giocherelloni. Io li adoro, forse anche perché, come ho spiegato qui, sono una specie rarissima, preziosa, ahimè sulla via dell’estinzione. E vederli è un grande, grandissimo regalo che non a tutti è concesso. Li incontreremo per ben due giorni consecutivi, un intero branco… con la pancia piena.

Dopo cena ci viene proposta un’uscita in notturna. Pur non essendo grandi amanti dei safari al buio, acconsentiamo: non avvistiamo nulla di che, ma accade qualcosa che non dimenticherò. Lontano, ma non abbastanza da impedirci di distinguerli nettamente, scorgiamo un nutrito branco di elefanti in fuga, forse perché disturbato dalle luci della jeep. I barriti rabbiosi, il polverone sollevato ben visibile… forse era solo suggestione ma mi pareva che anche la terra tremasse al loro passaggio. Gli elefanti li ho già visti tantissime volte e mi hanno sempre trasmesso un’idea di pace, di lentezza, di saggezza. Irati e in corsa non mi era mai successo. E non so se vorrei capitasse una seconda volta.

La notte, al campo, vengo svegliata da suoni gutturali. No, non sono gli elefanti. Sono i muggiti degli ippopotami, forse quelli che abbiamo visto giocare nel pomeriggio, che brontolano senza sosta in uno dei tanti acquitrini circostanti. Mi riaddormento. Sperando comunque che non escano dalle loro pozze.

L’indomani, come sempre in savana, usciamo molto presto. Le levatacce sono spesso premiate con avvistamenti sensazionali e anche la Moremi Reserve non fa eccezione: un branco di leonesse di ritorno dalla caccia notturna si sta avvicinando. Fermiamo la jeep per lasciarle passare; sfilano praticamente sotto al nostro naso. Sono così vicine che riusciamo a vedere che una di loro ha l’orecchio mozzato, un’altra ha una ferita sul dorso. Sono sei, sette e camminano placide tra l’erba alta e verde e, quasi sicuramente, stanno andando a cercare un po’ d’ombra, per riposarsi dopo ore e ore di agguati e inseguimenti.

Nel pomeriggio arriva anche un leopardo, tra i Big5 il più difficile da incontrare data la sua natura solitaria e le sue abitudini notturne. Eppure eccolo. Dove andrà? Lo seguiamo per un po’ prima che scompaia nella radura.

Una tacchinella selvatica lancia il suo caratteristico grido d’allerta. Forse, lo ha già sentito avvicinarsi.

 

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2 Comments

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  1. says: paola

    E’ stato uno dei viaggi più belli della mia vita. Perchè pensare all’Africa è così bello ma anche così doloroso? E’ la nostalgia o la voglia di tornarci il prima possibile?

    1. says: Cris

      🙂 Per alcune persone l’Africa è un magnete! Spero che i tuoi viaggi ti riportino presto sotto l’Equatore!