Pregi e difetti della Skeleton Coast

relitti della Skeleton Coast
Ugab Gate, Skeleton Coast, Namibia
Una pista di sale, il fascino di uno scenario post-apocalittico e... poco di più.

Alla tua sinistra, la costa atlantica battuta dal vento, un mare furioso che racconta di bucanieri e di naufragi, di relitti intrappolati per sempre nella rena costiera e divorati a poco a poco dal sale. Alla tua destra, un mondo fatto di sabbia, ora gialla, ora rossa poi quasi nera. Le orme di uno sciacallo solitario. Tra questi due mondi, una compatta pista di sale, resa scivolosa da frequenti banchi di nebbia. Quella pista va avanti per centinaia e centinaia di chilometri: si tratta della Skeleton Coast, in Namibia.

Spoglia e inospitale, la Skeleton Coast – C34 sulla cartina – si srotola parallela all’oceano in tutta la sua desolante bellezza. Molti si limitano a percorrerne un breve tratto perché in fin dei conti… da vedere non c’è nulla. Ed è vero: un nulla più nulla di così, sfido a trovarlo in giro per il mondo. Non immaginarti una strada alla Death Valley che, pur correndo in mezzo del deserto, regala un’infinità di tappe splendide. La Skeleton Coast è un paesaggio molto monotono che, per di più, implica un certo rischio. Metti che ti scoppi una gomma: potesti attendere – letteralmente – ore e ore prima che qualcuno venga in tuo soccorso. Noi, in tutta la giornata, avremo visto sì e no una decina di auto. E naturalmente non puoi fare affidamento sul telefono: mica c’è campo nel deserto. Ah, e devi assicurarti di partire col pieno di benzina, perché non troverai alcun distributore lungo il percorso.

E allora, cos’ha di speciale? La Skeleton Coast è una strada che attraversa un paesaggio lunare e, come tale, la sua bellezza sta semplicemente nel percorrerla. Perchè ti consente di provare quella sensazione eccitante e inquietante al tempo stesso, la sensazione di essere un ‘sopravvissuto’, unico viaggiatore in transito in uno scenario distopico, post-apocalittico. Dove i soli, silenziosi testimoni del tuo passaggio saranno tronchi di legno marcio, cerchioni arrugginiti, dune scure.

O almeno questo era quello che pensavo. O meglio – la sensazione è effettivamente stata questa. Ma solo in parte. Perchè… proprio come tutta la Namibia in generale, la Skeleton Coast non è stata entusiasmante quanto credevo, ecco.

Secondo alcuni, questo angolo di mondo deve il suo nome alle numerose ossa di balena trascinate a riva dal mare che, in passato, non hanno mancato di soprendere i numerosi marinai che in esse si imbattevano; secondo altri il nome è da attribuire ai vari relitti – navi e pescherecci – disseminati lungo la costa. Wow! Già. Peccato che, nonostante siano naufragate migliaia (!) di imbarcazioni, i relitti effettivamente visibili siano solo un paio. Certo, sul web, troverai foto drammatiche e bellissime. Ma la realtà è ben diversa. Molte di queste foto sono datate e, ad oggi, i resti hanno sembianze completamente differenti, vuoi perchè consunti dall’azione del tempo e del mare, vuoi perchè inghiottiti quasi in toto dalla sabbia e dunque praticamente invisibili. Senza contare il fatto che, la maggior parte di essi, è inaccessibile in auto.

Questo è stato un aspetto che, inutile dirlo, mi ha delusa parecchio. I relitti marini visibili sono essenzialmente due: proprio all’inizio della C34, vicino a Hentie’s Bay, affiora lo Zelia, un peschereccio molto ben conservato perchè naufragato pochi anni fa. Spettrale soprattutto se immerso nelle nebbie costiere, oggi lo Zelia si sta trasformando in un ammasso di ruggine, su cui cercano riposo sinistri cormorani neri.
Parecchi km più a nord, troverai invece il South West Seal, di cui è però ormai difficile distinguere la sagoma. Resti dello scafo, parti metalliche: questo relitto si trova nei pressi dell’Ugab Gate ed è qui dagli anni 70, ormai quasi completamente inglobato nella rena costiera.

relitti della Skeleton Coastrelitti della Skeleton Coast

Niente di che vero? Passiamo oltre, allora.
Inaspettatamente, nel bel mezzo del deserto, una boccata di vita: a circa 130km da Swakopmund si trova Cape Cross, sede di una delle colonie di otarie più grandi al mondo. Qui, ogni giorno, oltre 100.000 esemplari giocano, si riproducono, pescano, si scaldano al sole, muoiono. Una serie di passerelle di legno costeggia i margini della colonia: la spiaggia e il tratto di mare davanti a te saranno completamente zeppi di otarie! Mai ne avevo viste così tante, nemmeno in Australia. Forti, fortissime le loro grida – un baccano infernale – così come fortissimo è l’odore che emana questo posto così affollato, eccessivo. Un contrasto curioso con il tetro silenzio che regna sulla Skeleton Coast!

Chiusa questa brulicante parentesi di vita, torniamo on the road. Ci spingiamo sempre più a nord, superiamo il Gate di Ugab – quello con i teschi sul portone – ed arriviamo a un relitto di tutt’altro genere rispetto ai precedenti. Si tratta del vecchio oil rig, un’antica torre di perforazione crollata decine di anni fa, oggi un affascinante castello di ruggine: a mio parere decisamente più suggestiva delle imbarcazioni. Siamo ormai nei pressi di Torra Bay: fino a questo punto, la Skeleton Coast è percorribile liberamente; se invece vuoi proseguire, devi esserti procurato in precedenza un permesso speciale ed avere prenotato un pernottamento appunto a Torra Bay o, ancor più su, a Terrace Bay.

Per noi è sufficiente: giunti a Torra Bay imbocchiamo la C39 che ci farà uscire dal Gate di Springbokwasser. Siamo sempre in una zona semidesertica – l’intera Namibia lo è – ma il paesaggio comincia a mutare sensibimemente. Appaiono nuove forme di vita ed è qui che troviamo la welwitschia, pianta nazionale nonchè una delle specie vegetali più sorprendenti della Terra. Sembra una sorta di grosso fiore verde; gli esemplari più grandi – quelli con le foglie sfilacciate dall’azione degli animali e degli agenti atmosferici – sono anche i più antichi e alcuni di essi si dice abbiano più di 1500 anni: ecco perché vengono definiti fossili viventi.

relitti della Skeleton Coast

Alla fine della giornata, il contachilometri sta per sfiorare i 450km. All’orizzonte si stagliano delle mesa viola, elemento davvero insolito per il contesto africano: sono i monti del Damaraland, prossima tappa del nostro viaggio che ci regalerà emozioni – questa volta per davvero – indimenticabili. Varcato il Gate di Springbokwasser, un ultimo sguardo alla Skeleton Coast. Mi è piaciuta? Sì, certo, soprattutto per le sensazioni che ho descritto all’inizio di questo post. Ma, come il resto della Namibia, l’ho trovata anche troppo monotona per i miei gusti: se la Death Valley sarei pronta a rifarla ogni anno, con la Skeleton Coast sono a posto così, grazie.

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