Mi sono innamorata della Lapponia praticamente subito, quando ho visto le renne stampate sulla carta d’imbarco.
Il fatto è che quasi quattro anni d’Africa cominciano a pesare. Pesa il sole 365 giorni l’anno, pesa l’afa, l’umidità, pesano i colori saturati dal filtro di una luce troppo forte. E pesa vivere nel terzo mondo, pesano le disavventure burocratiche dell’ultimo anno, pesano le continue richieste. Basta. Non ne voglio più sapere. Anche solo per un po’.
Ho bisogno di freddo, di quiete, ho bisogno che l’ovatta della neve attutisca suoni, colori, cadute. Anche psicologiche. Perché, per star bene – ‘per staccare’ – cerchiamo sempre il sole, il mare, il caldo? Chi l’ha detto?
Quella quiete, io l’ho trovata in Lapponia. Quella finlandese.
Siamo atterrati al piccolo aeroporto di Ivalo, circa 250km oltre il Circolo Polare Artico. Fuori era già buio, ma avrei presto imparato che una delle tante, bellissime cose che ci sono in Lapponia è proprio la luce. Quando c’è, ovvio. Mentre in pieno inverno imperversa il kaamos, la notte polare, che non regala che una manciata di ore di chiarore (non si può parlare di sole), febbraio è invece un ottimo mese: 8 ore di luce sono garantite.
Ed è stupendo l’effetto del sole sulla neve, su così tanta neve. Sapevo dell’esistenza dell’ora blu: quella luce crepuscolare che tinge il cielo, la neve, i pini di un blu intenso (foto di copertina). Ma non sapevo che c’è anche un’ora rosa. O almeno, questo è il nome che le ho dato io. Ce ne siamo resi conto sulle piste da sci di Levi: anche in Lapponia il tramonto è rosa, ma a colorarsi non è il cielo. E’ la neve.
E a ben guardare, nemmeno le notti sono poi così buie. Almeno quelle limpide. Perchè sono illuminate dalle danze dell’aurora boreale. E perché la Lapponia ha una bassissima percentuale di inquinamento luminoso e, dunque, le stelle si vedono brillare tutte. Anche le più piccole.
Al cuore di tutto, naturalmente, c’è lei: la neve. Che qui è presente 7, 8 mesi l’anno e viene chiamata in 58 modi diversi: se lumi è la neve nel suo senso più lato, hyhmä è la neve che galleggia sull’acqua, pyry quella mista a pioggia, tykkylumi è la neve più spessa, quella che si accumula tra i rami degli alberi, jää è il ghiaccio e ahto è il ghiaccio sciolto e ri-ghiacciato.
Certo, caldo non fa. Lascia perdere la Lapponia se, in Italia, gridi al malanno al primo spiffero del vento di novembre: passeresti una brutta vacanza, te lo assicuro. Cresciuta nella tagliente umidità invernale della pianura padana e ulteriormente temprata dagli anni trascorsi a Londra, io per fortuna il freddo non l’ho mai sofferto troppo: fervente hater delle canottiere da che ho memoria, uno dei regali più inutili che potete farmi è una sciarpa di lana. L’ultimo giorno mi sono ritrovata in giro per l’Artic Resort a -15° con indosso il mio fido (corto) Moncler e, sotto, appena una felpetta (ancor più corta). Del tipo che appena sollevavo le braccia o mi chinavo ad aggiustare i lacci dei Moonboot avevo pancia o schiena scoperta. In ogni caso, per tutte le attività che prevedono più ore all’aperto (sci escluso), le varie agenzie forniscono un abbigliamento adeguato, ossia un tutone termico da indossare sopra giacca e pantaloni da sci.
L’unica cosa da temere è il vento: l’aria in seggiovia era così gelida che le sopracciglia ti si ghiacciavano e la gocciolina al naso non faceva in tempo a cadere (non è una bella immagine, lo so). E quella volta che ha nevicato un po’, i fiocchi non riuscivano a sciogliersi che si cristallizzavano subito e allora, splendenti sul guanto nero, riuscivi a vederne la forma. E sì, sono proprio fatti ad asterisco, come quelli che disegnavamo da bambini.
Un po’ bambino torni, effettivamente, in Lapponia. Sarà che qui ci vive Babbo Natale, con gli elfi, Rudolph e tutta la crew. O sarà per via di quelle esperienze da libro di fiabe, racconti che parlano di un lontano nord, di bimbi con le gote rosse e di mani calde nelle moffole, di richiami della foresta e camini scoppiettanti, di luci nel cielo da inseguire e laghi ghiacciati da attraversare.
E qui, con le moffole ci sei tu. E la tua storia parla dell’emozione di quel giorno sulla slitta trainata da una muta di husky, del succo di mirtillo caldo bevuto davanti al fuoco del kota, il teepee del popolo Sami. Della visita alla fattoria di renne, della passeggiata nella foresta su quel cavallo dal manto morbido, con gli zoccoli che affondano nella neve. Parla di bacche rosse e di boschi bianchi, della notte nell’igloo di vetro e delle corse in motoslitta, a cercare l’aurora boreale a -27°.
E ora provo a rifarti la stessa domanda che ti ho posto poco fa: perché, per stare bene cerchiamo sempre il sole, il mare, il caldo? Non lo so. Ma so che se dovessi scegliere in questo preciso istante tra tornare alle Seychelles o in Lapponia… non avrei dubbi. E tu?
…e infatti, quattro anni dopo questo post, in Lapponia ci sono tornata, stavolta in quella svedese. E’ stato il mio primo viaggio fuori dall’Italia dopo la pandemia, un viaggio magico, reso splendente dalle luci dell’Aurora.
Questo viaggio l’ho mancato per un soffio. A gennaio ero proprio tentato di compierlo. Poi è svanito. Ma è solo rimandato! Voglio assolutamente fare la tua esperienza. Vivere le emozioni che solo questo angolo di Terra può offrirti.
Uh che peccato!! Allora spero tu possa concretizzare l’anno prossimo! A noi è piaciuto così tanto che ci vorremmo tornare, magari in Lapponia svedese la prossima volta!
Il sole, il caldo bleah! 😛 Lo dico sempre anch’io che notoriamente non sono una tipa da spiaggia! Ma che meraviglia Cris! *_*
Ah, ti seguo a ruota con l’abbigliamento striminzito 😛
Un saluto 🙂
hahahah altro che bruciare i reggiseni, noi bruciamo le canottiere! 😉
Cmq tipo 10 anni fa mai avrei pensato di fare vacanze del genere… sono sempre meno una tipa da spiaggia, mi ci annoio!