Riomaggiore, Manarola, Corniglia, Vernazza, Monterosso: sono le Cinque Terre, cinque splendidi borghi arroccati sulla costa spezzina tra Punta Mesco e Punta di Montenero. Così belle da essere divenute Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, le Cinque Terre hanno affascinato musicisti, poeti e scrittori e rappresentano quell’Italia pittoresca e colorata che il mondo intero ci invidia. Un’Italia a misura d’uomo, dove la sua mano non sciupa il paesaggio ma lo rende ancora più suggestivo, integrandosi perfettamente ad esso.
Sulle Cinque Terre è già stato detto tutto, per cui lasciamo perdere i vari come arrivare, dove dormire etc. Di dritte è pieno il web e di siti dedicati ce ne sono a bizzeffe (ad esempio vedi qui e qui).
Io, questi piccoli borghi, provo a raccontarteli così: come un viaggio nei sensi, intervallato, qua e là, da qualche consiglio.
Toccare con mano la bellezza delle Cinque Terre
Il modo migliore per farlo è… a piedi. Puoi optare per una passeggiata romantica a picco sul Mediterraneo – lungo la famosa Via dell’Amore – che collega Riomaggiore (foto sopra) a Manarola, oppure per il fitto reticolo di sentieri panoramici sospesi tra il mare e i borghi, primo fra tutti il Sentiero Azzurro che, seguendo il profilo costiero per 12km, unisce tutte le Cinque Terre (ma che, attualmente, è agibile solo in parte!).
Non esattamente un trail escursionistico ma comunque abbastanza impegnativa è la Lardarina, la famosa (e faticosa) scalinata di mattoni che conduce al borgo di Corniglia: preparati a salire ben 377 gradini che, però, ti offrono una vista privilegiata sul comune di Manarola aggrappato al suo sperone di roccia. I gradini non ti spaventano? Bene! Vernazza fa al caso tuo allora: tagliata a metà da un’unica via, su di essa confluiscono le arpaie, scalinate piuttosto ripide tutte da scendere e salire!
Camere con vista
Il porticciolo di Riomaggiore, i palazzi pastello di Manarola, i verdi terrazzamenti di Corniglia, le fortificazioni medievali di Vernazza, il gigantesco Nettuno mutilato che troneggia sulla spiaggia di Monterosso. Non va cercata la bellezza alle Cinque Terre, ti piomba addosso ovunque. E lo fa con un tripudio di colori.
Una porta verde che spicca su di uno stretto edificio arancione, un agave in fiore, la luce di un tramonto a Corniglia, unico dei cinque borghi a vedere il mare solo dall’alto, un balcone piccino, con la ringhiera bianca e due sedie sdraio vuote, un soffione bianco e pieno come un ciuffo di cotone contro il blu del Mediterraneo, un gatto rosso e grasso, una focaccia bella gialla, unta di olio buono, una barchetta blu pronta a salpare, la pietra grigia di chilometri e chilometri di muretti a secco, l’oro e la ghiaia di piccole spiagge.
La voce del passato, il richiamo del mare
Si sente la voce della storia alle Cinque Terre, un passato fatto di reti colme di pesci tirate in barca, di olive schiacciate nei frantoi, del chiacchiericcio della vendemmia. Di Americani che cercano l’Italia più bella, dei versi che Montale declamava nella sua villa liberty di Monterosso.
Ma c’è poco o nulla della dolce vita di Portofino, meno ancora di quella di Capri. Le Cinque Terre parlano di adattamento, di insediamenti costruiti adeguandosi al profilo ora dolce ora aspro delle colline. Parlano della volontà di mantenere quanto c’è di bello, perché il cemento che ha invaso la Liguria negli anni del boom ha già fatto abbastanza danni. E parlano di resistenza alla furia del mare, alle alluvioni, a litorali sempre più erosi. Il mare ha determinato il carattere di questi borghi e la sua voce la si sente ovunque. Se sei a Vernazza, sali sulla torre del Castello Doria e, lontano dai turisti, lo sentirai ruggire tutto intorno, abbinato a una veduta davvero drammatica.
Profumo mediterraneo
Lavanda, alloro, origano, cappero, maggiorana, timo, rosmarino, basilico: i profumi sono quelli freschi e pungenti della macchia mediterranea, da respirare a pieni polmoni mentre si percorrono i sentieri a picco sul mare.
Ma non ci si limita alle erbe aromatiche: le colline sono ricche di agavi, euforbie, ginestre, campanule, fiordalisi. E ancora, l’odore dolce del miele, quello forte delle acciughe, quello intenso del passito e… ok, ci siamo capiti: passiamo al gusto.
Le acciughe fanno il pallone
Un giro d’olio extravergine, proveniente dagli uliveti terrazzati. Un bicchiere di Vernaccia di Corniglia – cantato anche da Boccaccio nel Decamerone – e, a fine pasto, uno di Sciacchetrà, passito DOC. Due dolci, la torta Monterossina, uno scrigno di frolla che racchiude pan di spagna, crema pasticcera, cioccolato a scaglie e confettura di albicocche, e la Torta Stalìn, che con la Russia nulla ha a che fare, tant’è che l’accento è sulla ‘i’. Stalìn era il soprannome di un pasticcere di Vernazza che ideò questa torta simile alla monterossina ma ancor più golosa, arricchita da una crema di cioccolato fondente.
Ma le regine della tradizione delle cinque terre sono le acciughe. Sotto sale, fritte, ripiene, al verde, usate per insaporire zuppe di pesce, sughi, fügasse, o semplicemente adagiate su di un panino con un velo di burro, quelle di Monterosso sono una varietà particolarmente pregiata, molto delicata. Protagoniste della tavola e della tradizione marinara, le acciughe sono anche al centro di una leggenda che, in passato, le voleva stelle gettate in mare da una luna invidiosa e trasformate in pesci, destinati a rimanere intrappolati nelle reti ogni qualvolta cerchino di affiorare per riunirsi al cielo.
Ed è così che i pescatori delle Cinque Terre sono anche un po’ pescatori di stelle, come sembrava voler dire Fabrizio De Andrè.
E tu sei già stato alle Cinque Terre? Cosa ti è piaciuto di più?
Incantevole angolo di casa nostra, da curare e preservare. Amo Monterosso…