Vivere a Luanda: dai bairros ai grattacieli, un giro in auto

Vivere a Luanda
Per le strade di Luanda, Angola
Verso il centro di Luanda, lungo la Samba. Una storia di zungueiras, bum bum e casse di champagne.

Vivo in Angola da quasi due anni. A Luanda, sì, ma in un quartiere po’ defilato, in una zona considerata più tranquilla, dentro ad un compound con guardie all’ingresso. Oggi però, ti porto in centro città.

Appena un centinaio di metri dopo il cancello del compound, alla tua sinistra c’è un piccolo bairro.  Una baraccopoli. Questo è piccino, nemmeno un centinaio persone, ma ce ne sono di molto grandi, e sono parecchi. Intrichi informi che spesso sorgono in luoghi abusivi, luoghi in cui la corrente elettrica non è allacciata e le fonti d’acqua più vicine sono in realtà alquanto distanti, i bairros accolgono la fetta più povera ma più consistente della popolazione.

Quante persone? Difficile dirlo con precisione: i decenni di guerra civile hanno parzialmente cancellato l’identità di generazioni, che oggi risultano ancora prive non solo di documenti di riconoscimento ma anche di una data di nascita certa.  L’immensa distesa di baracche la puoi vedere già dall’aereo; noi, però, torniamo alla nostra auto: non dimenticare che stiamo andando in centro città.

Imbocchiamo la strada principale, la Samba. Quella dove, a volte, ci sono dei maiali che scorrazzano. Oggi invece vediamo sfilare accanto a noi tante zungueiras, le venditrici ambulanti. Dritte come fusi, sfidano ogni giorno le leggi della fisica, camminando avanti e indietro senza piegarsi sotto il peso che reggono sul capo. Spesso si tratta di cibo: grosse bacinelle colme di caschi di banane, avocado, manghi, ma anche bomboloni alla crema, cartoni di uova e, talvolta, casse da cui fuoriescono lunghe code di sconosciuti pesci atlantici. Sul dorso, ogni tanto, è legato un bimbo, cullato dall’ancheggiare della madre.

La controparte maschile della zungueira esiste. Ma non porta nulla sulla testa e nemmeno percorre le strade senza posa. Prende posto nel bel mezzo del traffico invece, tra una corsia e l’altra, e vi staziona per un tempo indefinito: qualche ora o anche tutta la giornata. Tenta di piazzare la più grande varietà di merce immaginabile. Si diceva che da Harrods potevi trovare dall’ago all’elefante. Bhè, prova a percorrere la Samba: dai parasole ai sacchi di popcorn, dalla carta igienica ai tergicristalli, e poi galline, scope, canotti gonfiabili, mollette per il bucato, tartarughe, acqua in sacchetti di nylon, ghiaccio (?!?), pettini, attaccapanni, armadi, cuccioli di cane, caricabatterie, vestiti da principessa.

Pur di propinarti la sua merce, il venditore non si fa scrupoli di bloccare il traffico. E il traffico – l’engarrafamento – a Luanda, è una cosa seria. Così tanto che estava engarrafado è la scusa più comune ma anche più verosimile addotta da chiunque si presenti in ritardo ad un appuntamento (cosa che capita 9 volte su 10).

A intasare la città, ci mettono del loro soprattutto i candongueiros, quei pulmini bianchi e blu che già avevo incontrato in Congo e che ho scoperto essere presenti anche in altri stati africani. Si tratta di taxi collettivi, che costituiscono un pericolo pubblico, più che altro perché viaggiano a velocità folle e non hanno fermate prestabilite; stoppano a seconda delle richieste dei passeggeri e, dunque, un po’ dove capita. Sono stipati di gente all’inverosimile e si infilano ovunque, fregandosene delle più elementari regole del sorpasso. Questo spiega il motivo per cui molti di questi pulmini hanno del cartone al posto di un finestrino, fiancate scorticate o inesistenti e, nella migliore delle ipotesi, specchietti laterali interamente ricoperti di nastro adesivo (e quindi molto utili).

Noterai che la Samba è costeggiata di negozi di vario genere, dalle insegne dipinte a mano. E noterai anche non si va tanto per il sottile, qui in Angola. Vedi quel barbiere laggiù? Chi si è occupato dell’insegna ha scritto ‘Babearia’, dimenticando una ‘r’. Bhè, mica vuoi rifare tutto il cartello! Aggiungiamo una ‘r’ piccina e stop, l’errore non si nota neppure, no?

I Salão de Beleza sono tantissimi: applicazione di ciglia finte, pulizia del viso, manicure… Le donne angolane tengono molto al proprio aspetto e un appuntamento fisso è quello dal parrucchiere che trasforma completamente il loro look con l’aiuto di extension e treccine posticce. E così, una settimana i loro capelli saranno lisci e lunghissimi, quella dopo corti corti, quella dopo ancora nuovamente lunghi e, perché no, con qualche treccina bionda sapientemente inserita. Rischi di non riconoscerle da un giorno all’altro, ma a questo problema ci penserai poi.

Un’altra cosa molto importante in termini di aspetto fisico è il bum bum. Che poi è il sedere. Isabel, la mia empregada, prima di lavorare in casa mia aveva perso un impiego a causa del didietro troppo grosso. Discriminazione verso le taglie forti? Tutt’altro. Non solo grosso ma proprio sporgente, il sedere è il punto forte dell’aspetto fisico della donna, tanto che l’angolana ricca si dice non esiti a farsi plastiche e iniezioni sottocutanee per aumentarne il volume (chi non può permettersi di spendere può invece rimediare con l’acquisto di pratici mutandoni push-up con morbida natica incorporata). E Isabel? Bhe, il marito della sua precedente datrice di lavoro, posava un po’ troppo gli occhi sul suo bum bum e quindi, invece di prendersela con quel maiale del consorte, la signora ha pensato fosse meglio allontanare lei.

Quella angolana è una società molto maschilista. Risale appena a gennaio 2019, la cancellazione dal codice penale di quelli che erano definiti “vizi contro natura”. L’omosessualità era considerata alla stregua di qualunque altro reato e, in quanto tale, punibile con il carcere o i lavori forzati. Un passo avanti per il Paese, certo, ma il maschilismo rimane forte. Basta pensare al detto “sexta-feira, dia do homem“, ossia “venerdì, giorno dell’uomo”, quello in cui il padre di famiglia può uscire a far festa e a ballare… mentre la compagna (in teoria) resta a casa.

Prova della virilità dell’uomo è il numero di figli che ha (anche da donne diverse): i bambini sono considerati una ricchezza ed è molto comune averne più di 5. Ahimè, non tutti riescono però a mantenere la propria prole. Gli orfanotrofi a Luanda sono parecchi e spesso, a popolarli, sono bambini che ancora hanno almeno un genitore in vita il quale, però, per motivi che vanno dall’indigenza all’opportunismo, decide di non tenerli con sè.

Siamo quasi giunti in centro, nella parte più ricca della città. Appartamenti di lusso in palazzi puliti, lucidi come specchi in mezzo a un mare di terra e polvere. Vedi, è lì che abitano i nuovi ricchi, quelli che comprano al centro commerciale le casse di champagne con sciabola inclusa o il gin da 150 euro a bottiglia proveniente dalla Svizzera, con foglie d’oro al suo interno (!). Quelli che viaggiano fasciati in pesanti completi firmati nonostante il caldo soffocante, solo per mostrare che hanno ‘banga’ loro, che hanno stile.

Il fatto è che il suo stile, l’Angolano in fin dei conti ce l’ha. Ma, per come la vedo io, non ha nulla a che fare con l’aspetto fisico, il sedere grosso, il vestito di Armani o le treccine. E’ più una questione di atteggiamento: quello angolano è un popolo guerriero, estremamente nazionalista, orgoglioso e arrogante, indurito dalla storia. E’ un popolo complesso, non ha quella semplicità e allegria innata che ho avuto modo di conoscere in Congo.

Noi siamo ormai arrivati a destinazione. Io scendo dall’auto ma tu, se vuoi, puoi continuare il tuo giro guardando questo video. Che è poi semplicemente lo spot della birra più diffusa nel Paese, la Cuca, ma dà secondo me un’idea di quel che è l’Angola(no). Basta togliere la patina luccicante della pubblicità. Per il resto, non siamo troppo lontani dalla realtà.

Spero questo giro in auto ti sia piaciuto! Fammi sapere 🙂

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14 Comments

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  1. says: Giulia

    Molto bello questo reportage, si riescono a percepire tutti i tuoi sentimenti contrastanti, scritto davvero con il cuore. Ho letto alcune testimonianze dall’Angola e sono davvero angoscianti, non deve essere facile ricostruire un paese sulle macerie di una guerra civile non troppo distante.

  2. says: Laura

    Un reportage incredibile alla scoperta di una citta’ e di una cultura che non conoscevo. Un po’ mi ha ricordato il Brasile… bellissime foto! Ora sono curiosa di scoprire di piu’ sul tuo blog e come sei finita a vivere in Angola.

    1. says: Cris

      Ciao Laura, grazie per essere passata! Dici bene sul Brasile, l’Angola ha stretti contatti con questo Paese e sono tanti i brasiliani che vivono qui. Io invece sono expat in Africa ormai da quattro anni, di cui 2 in Congo prima di approdare a Luanda.
      Un saluto!

  3. says: Claudia

    Non posso certo dire che muoio dalla voglia di visitare Luanda e l’Angola, ma grazie a questo tuo post molto pittoresco mi sembra di esserci stata un po’… e per ora questo mi basta 😉

  4. says: cakemania

    sono felice di vaer scoperto il tuo blog! Questo post è davvero bellissimo, e il video aiuta a completarlo. Ottimo lavoro, hai una nuova fan 🙂

  5. says: Velia

    Bellissimo. Hai uno modo splendido di raccontare. Fai vedere (e sentire) le cose come stanno.
    A presto, un abbraccio!