Gracias por su visita, dice un largo cartello rosso con il logo del Perù. Poco più in là, un altro cartello, stavolta blu: Bienvenidos a Bolivia. Siamo all’Aduana Nacional, in procinto di attraversare il confine tra i due stati e lo stiamo facendo a piedi. Entrare in un nuovo Paese via terra ha un che di emozionante. Finora ci era capitato una volta sola, in Africa: una frontiera angusta e scontrosa, quella tra Zimbabwe e Botswana. Ricordo che ci hanno fatto pulire per bene le suole delle scarpe prima di attraversarla.
Qui, niente di tutto ciò.
Ci sono due località che consentono di entrare in Bolivia via terra: la prima è Yunguyo, sul lago Titicaca, la seconda è Desaguadero, a poche ore dal sito archeologico di Tiwanako. Il primo è un posto di frontiera agevole, transitano più che altro pullman di turisti. Il secondo è più tedioso: ci passano merci, lavoratori e se poi hai la sfortuna di beccare anche il giorno di mercato…
Desaguadero. Giorno di mercato.
Gonne multistrato, che le fanno sembrare più in carne di quanto non siano. Le bombette scure, che danno quel tocco bizzarro e stranamente elegante a poveri maglioni coperti da scialli frangiati e a bocche che non contano più tutti i denti. In compenso, trecce corvine lucide e lunghissime. Sono le cholitas, le donne dell’altipiano andino, quelle che ancora vestono i costumi tradizionali. Sacchi giganteschi sulle spalle, tanto che chiedo alla guida cosa diavolo hanno lì dentro. ‘Tu cos’hai nella borsa?’ – mi dice. Rispondo. ‘Loro, in più, hanno il pranzo, hanno cose che vendono, cose che comprano. E’ come la tua borsa in fin dei conti’. Sarà, ma non ne sono convinta.
Le vedo indaffarate intorno a bancarelle su cui, come in Perù, si vende un po’ di tutto, solo non della stessa qualità. Patate di ogni tipo, sì, e anche mais, ma non c’è quella frutta bella da mordere. Ci sono generi alimentari basici, mescolati a beni di prima necessità – saponette, scope – disposti in quella confusione ordinata che mi ricorda un po’ i mercati africani. E poi ci sono oggetti strani, pacchetti di erbe, armadilli essiccati. …Armadilli essiccati?!?
Vorrei fermarmi a guardare meglio questo mondo nuovo che, appena un centimetro dopo il confine con il Perù, mi lascia intendere che con esso ha ben poco a che fare. Ma devo stare attenta: la confusione è troppa, mi chiedo più volte se il mio zaino è chiuso bene e allungo il passo per non farmi pestare i calcagni da uno di quei carretti spinti a mano, che trasportano – indifferentemente – bagagli e cholitas. Nell’aria i suoni della lingua spagnola, dell’aymara, del quechua.
Riemergo da questo marasma di cose e colori con due nuovi timbri sul passaporto, uno in uscita e uno in entrata: tra i due, saranno passati 40 minuti appena.
Ci è andata di lusso.
Da qui, ci dirigiamo a Tiwanako ma, in questo post, ti porto direttamente a La Paz. Che – sia detto una volta e per inciso – NON è la capitale della Bolivia (quella è Sucre). La Paz è solo il centro amministrativo.
Non tutti amano La Paz. Anzi, prima di partire, in tanti me l’hanno sconsigliata. Brutta, sporca e cattiva: sembra il set di uno di quei filmacci che dipingono un Sudamerica pessimo, brutto sporco e cattivo, appunto. E in effetti… Però.
Sono grande fan dei però. Mi piace trovarli, ecco.
Per capire il caos che La Paz rappresenta, devi vederla dall’alto. E mai parola fu più azzeccata. Perché è proprio da El Alto che devi cominciare. Si tratta di un quartiere appartenente dell’area metropolitana di La Paz, edificato nel suo punto più elevato. E’ una delle città più alte del mondo (4095m), è sovrappopolata, dicono pericolosa (i furti anche a mano armata pare siano frequenti) e molto povera. Si stima che il 90% degli abitanti viva in condizioni di miseria, dalla più moderata alla completa indigenza. Circa un quarto di essi non ha accesso all’acqua potabile.
A El Alto però, vivono ancora autentici yatiri, santoni andini che leggono il futuro nelle foglie di coca. E sempre a El Alto è fiorito, tra umili case di mattoni rossi, uno dei maggiori trend architettonici del Sudamerica degli ultimi anni. Si tratta dei Cholets, palazzi che devono il proprio nome, naturalmente, alle Cholitas. Nati dall’idea del ex-muratore Freddy Mamani, più che case, questi edifici sembrano dei transformer. Linee spigolose, forme geometriche che si sovrappongono una sull’altra, pareti altissime dipinte a colori sgargianti. Ti aspetti che, da un momento all’altro, si pieghino e allunghino le braccia.
E gli interni non sono da meno: futuristici come gli esterni, sono un gioco di colori, vetrate e luci. Il costo? Astronomico. La città di El Alto organizza tour alla scoperta dei Cholets ma, se come me sei a corto di tempo, puoi salire su Mi Teleferico, la funicolare che collega El Alto al cuore di La Paz: dalla tua cabina avrai modo di vederne un buon numero, non notarli è impossibile!
Ma torniamo a Mi Teleferico, che altro non è che la metropolitana aerea di La Paz. Una delle tante idee luminose di Evo Morales, primo presidente indigeno della Bolivia, Mi Teleferico risolve uno dei maggiori problemi della città: il congestionamento causato da quasi 2 milioni di abitanti, distribuiti su un territorio compreso tra i 3200 e i 4100m. Solo un’altra nazione al mondo – la Colombia – vanta una simile struttura aerea, sebbene non così grande.
Naturalmente, Mi Teleferico non ha tardato a diventare un’attrazione turistica: è il modo migliore per rendersi conto della conformazione di La Paz. Se El Alto è la periferia, per arrivare in centro, ossia downtown, bisogna scendere. Proprio fisicamente. La Paz si trova almeno 400m più in basso, chiusa dentro a una conca sovrastata dal monte Illimani, un 6000m dalla cima perennemente innevata.
Ti consiglio di salire al capolinea di El Alto (linea azul), cambiare alla fermata di Jach’a Qhathu e prendere poi la linea roja, per arrivare alla stazione centrale di La Paz. Durante questo tratto, vedrai case pericolosamente costruite sulle ripide pareti della conca, ringrazierai Dio di non trovarti in una zona sismica come il vicino Perù, sorvolerai l’immenso Cementerio General e, infine, passerai sopra i grattacieli che dominano il centro della ‘capitale’. Una volta scesa dalla teleferica, allora sì, potrai immetterti nel traffico. Prega che il tuo autista non tiri sotto nessuno, ma non sperare che non imprechi durante la tratta che conduce al tuo hotel.
Al termine della corsa, stanne certa, avrai capito quel che la teleferica significa per i paceños.
E’ giunto il momento di entrare in quelle strade che abbiamo visto dall’alto. Non abbiamo molto tempo, si sta facendo buio. Un giro nel centro storico, la Plaza de Armas, e quella zona tanto turistica che, tuttavia, ci tenevo a visitare: nel reticolo intorno a calle Sagarnaga, si trova il Mercado de las Brujas. Il Mercato delle streghe. In questo post avevo già accennato al sincretismo, a quella fusione tra religione cristiana e animismo. Puoi sentirti libera di pregare la Madonna e fare offerte alla Pachamama, la Madre Terra. Nessuno, in Bolivia, ti dirà nulla, anche perché qui si aggiunge un terzo componente: la magia nera.
Questo angolo di La Paz è un’infilata di tiendas gestite da ‘streghe’, ossia, signore che vendono pomate, intrugli, erbe, afrodisiaci, totem, bottiglie (pozioni?) per praticamente ogni cosa. L’insegna di uno di questi negozi recita: Ofrendas para la Pachamama, casa, movilidades, negocios, empresas, minas, construcciones, trabajo, salud, dinero, amor, estudio etc. Cioè, addirittura ‘eccetera’. Perchè chi più ne ha più ne metta.
Dalla cartilagine di squalo all’estratto di rana, rimedi per i dolori reumatici e per i calcoli, statuette e talismani che promettono un’intesa sessuale rinvigorita e insaciable e bevande da ingurgitare per diventare ricchi, etichettate con l’irresistibile dicitura lluvia de plata. E articoli ben più raccapriccianti, come i feti di lama essiccati, portatori di salute e fortuna. Mi viene in mente l’armadillo visto alla frontiera: non ho mai chiesto qual è il suo potere.
Un isolato più in là, la bella chiesa barocca dedicata a San Francisco.
Andiamo a mettere qualcosa sotto i denti, storditi da tanta confusione: l’indomani, in volo verso il Salar de Uyuni, vedremo quest’assurda città dall’alto una volta ancora, sommersa in una coltre di nubi.
Sì, La Paz è brutta, sporca e cattiva. Però – ed eccolo il mio però – non mi sarebbe dispiaciuto spenderci qualche ora in più. Sarà per la prossima volta, penso mentre nel locale risuonano le note di Laura no está di Nek.
Nel frattempo, se qualcuno conosce le proprietà dell’armadillo, me le scriva nei commenti qui sotto.
La Paz é magica, e semplicemente, con i suoi problemi, ovviamente, UNICA
Ciao Cris in questi giorni sono a Puno e sono arrivato fino a Tiwanaku, in questi giorni arrivare a La Paz e sconsigliabile, dopo aver letto quello che hai scritto mi dispiace non esserci andato.
Per Sara, da Puno vai al terminal dei bus, non quello dei bus turistici, ma quello più piccolo che si chiama Terminal sur, da lì partono dei furgoni da 16 posti per Desaguadero ( costo 11 soles). A Desaguadero passi la frontiera a piedi e chiedi dove partono i bus per La Paz sono dieci minuti a piedi, io ho pagato 15 bolivianos fino a Tiwanaku. Entrambi i mezzi sono usati dai locali, io ero l’ unico turista.
Ciao Cris,
ti posso chiedere quale compagnia di bus hai usato da Puno e La Paz via Desaguadero, appunto? Grazie 1000
Ciao Sara, non abbiamo usato nessun bus; siamo andati in auto con autista privato. Ci ha lasciati alla frontiera e, una volta entrati in Bolivia, c’era un secondo autista ad attenderci.
le capitali andine, per quanto brutte e pericolose, alla fine hanno sempre qualcosa che intriga.