Non sono di quelle che passano ore a cercare l’hotel ‘giusto’. Confido nel tour operator che li riserva per me, oppure, se sono io a prenotare, scelgo soprattutto in base alla posizione o a un dettaglio che mi ispira. In genere, cerco però di trovare sistemazioni in linea con l’esperienza di viaggio che sto facendo e di evitare le solite grandi catene, che finiscono per essere identiche in ogni parte del mondo.
A differenza del cibo, però – ché potrei mangiare la qualunque o quasi – sul pernottamento non transigo: dopo una giornata in giro chissà dove, tornare in una stanza pulita, con una doccia e un letto morbido è… bhè, non è mica poi pretendere tanto! Purtroppo, le cose non vanno sempre come sperato: oltre che in positivo, alcune esperienze in hotel si rendono memorabili anche in negativo.
Dalle stelle alle stalle. E viceversa.
Sull’Ile Faignond – un’isoletta nel bel mezzo del fiume Congo – ho dormito (si fa per dire) su di un materasso sfondato, talmente malridotto che invece di stare orizzontale formava una V. La stanza era senza aria condizionata (non so se hai presente il caldo e l’umidità di una notte equatoriale), con blatte varie a farci compagnia, una zanzariera bucata e un bagno in comune dove lo sciacquone non funzionava e dovevi vuotarci dentro un catino d’acqua dopo aver fatto pipì. Però ho anche dormito (per una pura questione di culo fortuna) in una suite da 2.500 euro a notte pagandola solo 130 euro. E’ successo a Las Vegas, al Caesars Palace. Lì di bagni ne avevamo 3 (e noi eravamo in due). Lo spettacolo delle fontane danzanti del Bellagio, lo vedevamo dalla finestra.
Ho dormito in un hogan navajo (foto sopra), con un rumore di topolini in sottofondo (ma no dai, non erano topolini…) e in un eco lodge in Botswana con gli ippopotami che blateravano da qualche parte e, a colazione, i ruggiti dei leoni in lontanza. In uno sfigatissimo B&B da 20 euro a Puerta del Sol a Madrid, centralissimo eh, peccato mi abbia impregnato tutta la valigia di fritto perché c’era un ristorante cinese proprio al piano di sotto. In un letto puzzolente nel Motel 6 vicino all’aeroporto di Denver e in un altro con macchie – urina? sperma? – a Los Angeles, così schifoso che ci abbiamo steso gli asciugamani sopra che di cambiare le lenzuola a quell’ora nemmeno se ne parlava (gentili!).
Ma anche in un overwater bungalow a Bora Bora, in un hotel-castello in Canada, su di una morena glaciale davanti al Lake Louise e in una tenda in mezzo al deserto in Oman. In uno yacht-hotel a Stoccolma, in una farm con piscina privata a Frankschhoek, Sudafrica, lungo la wine route. e in una tiny house, una casina di 8 metri quadri immersa nelle nevi della Lapponia, dove ho assistito allo spettacolo dell’aurora boreale. Ho vissuto il mito della Route66 grazie ai suoi motel più storici – tra cui il Blue Swallow – che ti emozioni a varcarne la soglia e, nuovamente nella Città degli Angeli, ho optato per una suite a Venice Beach, dove si dice abbia dormito anche Jim Morrison. Nell’orribile 2020 ho scoperto gli alberghi diffusi e sono stata a nanna in un sasso, in un trullo e in un ex-monastero napoletano. Dopo la pandemia, è stata la volta di una dolcissima rorbu norvegese, la tipica casetta rossa dei pescatori.
Camera con vista
Le finestre d’hotel, le colleziono. Mi sono affacciata a davanzali così belli che avrei voluto portarmeli via. C’è stata la finestra sul cratere magico e preistorico dello Ngorongoro, poco sotto un bufalo (!) mangiava l’erba. Quella di un motelaccio di Page, Arizona, che dava su di una highway rumorosa ma con un tramonto da brividi. Quella di una stanzina ad Amsterdam – “we have mice issue here” – che dava sul Singel e le sue casine storte e abbracciate. Quella sul cupolone barocco di Ragusa Ibla, su Santa Maria del Fiore a Firenze e quella sul Ponte di Rialto a Venezia, che mi ha fatto vedere i festeggiamenti per la vittoria degli Europei 2021 direttamente sul Canal Grande.
Da casa, in Oman, avevo una visuale privilegiata sui minareti gemelli della Moschea Blu, ma le mia preferite sinora restano due: quella su Campo de’ Fiori, che quando vado a Roma, ormai prenoto sempre lì e chiedo la solita stanza, e quella sulla Monument Valley, da cui ho osservato il sole nascere dietro a mitten e butte.
Mai dire mai
Insomma, dormo praticamente ovunque. Seggioline degli aeroporti comprese, quando capita. Ma campeggi e ostelli MA-I. Queste due categorie non mi avranno mai.
E puntualmente, in Tanzania, ho dormito in tenda. La prima parte del viaggio, in cui abbiamo seguito la Grande Migrazione, ho alloggiato in un campo mobile nella regione di Ndutu, ma al Serengeti ero in sacco a pelo dentro alla mia brava tenda da campeggio. Sissignori. Ma campeggio vero eh. Fuori i rumori della savana e, come abbiamo avuto modo di scoprire al mattino, qualche iena a rovistare tra gli avanzi delle cene.
E l’ostello? Parliamone: non ci sono mai stata quando avevo 20 anni, figuriamoci ora che ho superato i 30. Cioè, no. E lo so che ce ne sono di puliti, bellini, sicuri etc. Ma tanto è no. Almeno fino al mese scorso. Perchè, per una serie di motivi che spiego qui, l’ostello risulta essere la soluzione migliore se fai un viaggio tra Salar de Uyuni e l’incredibile Reserva E. Avaroa.
No, non faceva freddo
E, ti dirò, l’esperienza boliviana non è nemmeno stata così malvagia, a parte il gelo polare (al mattino ci siamo svegliati a -13°), la totale mancanza di riscaldamento se non consideriamo la stufa in sala da pranzo e, soprattutto, l’alta quota che ti impedisce di respirare bene. A 4400m non è che dormi proprio tra due guanciali, ecco. In tutti i sensi.
Il freddo si è fatto sentire anche in Bhutan, in una guesthouse gelida ma coloratissima a Bumthang. A parte qualche spiffero direttamente dall’Himalaya che entrava dalla porta sul balcone, tutto bene: ero sepolta sotto tipo 4 piumoni (non scherzo). E come non citare le teahouse nepalesi, spartane ed essenziali, con quelle coperte stese sopra il sacco a pelo che sembravano bagnate tanto erano fredde. Fortuna che la stanchezza era tale che bastava mettere la testa sul cuscino per cadere nel più profondo dei sonni.
Al contrario, in Lapponia sono sempre stata bella calda, anche quando ho dormito in un igloo di vetro. Dotato di riscaldamento, un letto gigantesco, un piccolo bagno e una vista panoramica da urlo in mezzo alla foresta, aveva anche uno slittino pronto all’uso appena fuori dalla porta che, sai mai, potresti averne bisogno per qualunque evenienza.
Quando scappa, scappa
In Namibia ho trovato il bagno più strano: era un cortile. E, bada bene, ho detto un non in. Insomma, nel nostro bungalow c’erano le solite cose: letto, armadio etc. Il bagno invece – doccia, lavandino e WC – erano fuori, nel cortile privato. Tutto recintato eh, nessuno poteva guardarci dentro. Però, ehm, come dire, la pipì sotto le stelle non mi era mai capitato di farla. Per la cronaca, preferisco i cari vecchi bagni. Sono tradizionalista.
In Perù invece, più precisamente sull’isola di Amantani, sul Lago Titicaca, di andare in bagno durante la notte non se ne parlava proprio. Eravamo in homestay, presso una famiglia del posto: decisamente affascinante come esperienza, non fosse che faceva un freddo becco (di nuovo!) e che il bagno era… in cortile (sì, stavolta in). Per cui dovevi uscire dal letto, mettere scarpe da ginnastica, piumino, berretto, prenderti la carta igienica, la pila pure che non c’è elettricità, arrivare al WC, fare le tue cose, riempire un secchio d’acqua (che non c’è lo sciacquone), buttarla nel water, rientrare in stanza, posare la pila, posare la carta, toglierti scarpe, berretto, il-piumino-no-che-non-ce-la-faccio-e-invece-devo e, finalmente, rimetterti sotto le coperte. Però, tempo che pensi a tutta la trafila che devi fare per una misera pipì, ti sei già riaddormentato.
Una menzione d’onore va al wc del nostro hotel di La Paz: onde evitare di sedersi su una tazza gelida, l’asse del gabinetto era – giuro – rivestito di pelle e imbottito. Tipo divano.
E tu? Quali sono i posti più strani dove hai dormito in giro per il mondo?
L’unica degna di nota è la chiara su cui abbiamo dormito a Nantes. Stupenda!
Grazie mille! 😊
In effetti per un altro futuro weekend ho trovato un bel B&B proprio in zona Belgravia/Victoria, mi sembra comodo per gli spostamenti e in un’area carina.
Ma sotto Natale nisba, oppure a prezzi altissimi… continuerò a monitorare la situazione, e alla peggio staremo nel quartiere City!
Grazie ancora, buon weekend! 😊
A me è capitato di dormire in una stanza con due letti condivisa con altre otto persone e diverse pulci in Vietnam, in un buco senza finestra né aria condizionata a Bangkok e, sempre in Thailandia, in un albergo decente fino alle 9:00 di sera quando è iniziato il karaoke al piano di sotto, durato poi tutta la notte. Gli ostelli boutique – in stanza privata – non mi dispiacciono, molto peggio il campeggio, specialmente in Inghilterra e nel più puro stile British “endure not enjoy” con me a tremare con due giacche mentre i veri inglesi fanno il bbq sotto la pioggia in pantaloni corti e canottiera!
Le pulci?!? Aiuto!!! Già le blatte mi angosciavano ma almeno quelle le vedevo bene!
Sarei fuggita!
Eheheh, ho ripensato anch’io a certi pernottamenti “interessanti”…. per il freddo, per esempio, memorabili sono state le due notti in campo semitendato nella Nubra Valley, in Ladahk : SETTE coperte e un piumino, oltre ai vestiti addosso! 😀
E che era agosto, la loro stagione calda….
Continuavamo a ridere dalla disperazione! ;D
A proposito di pernottamenti, vorrei
chiederti 2 informazioni, se mi puoi aiutare:
– a Londra, zona City o Earls Court? Abbiamo visto due belle soluzioni, più o meno sullo stesso prezzo, e ci stiamo pensando (periodo post natalizio, in teoria)
– quella finestra, a Roma… ci potresti dare il nome del tuo posto fidato? Noi a Roma torniamo sempre con gioia!
Grazie, ciao ciao!
Silvia
Sette coperte!!! Mito, hai vinto tutto!! 🙂
A Londra ti direi City, ma solo perchè Earls Court non è una zona che amo particolarmente. Io a Londra consiglio sempre zona Chelsea/Sloane Square o Victoria/St. James.