Correre la Maratona di New York: ce l’ho fatta!!!

Correre la Maratona di New York
Sul Top of the Rock, due giorni prima della gara
4 ore, 40 minuti e 59 secondi. 5 borough. Il percorso e le sensazioni che portano alla finish line più bella del mondo.

Quando ho aperto questo blog anni fa, ho stilato una bucketlist, ossia un elenco delle esperienze che mi piacerebbe poter fare in giro per il mondo. Ricordo che, tra le voci, avevo inserito ‘correre la Maratona di New York’ ma poi l’avevo tolta. Perché – mi sono detta – affinchè i sogni abbiano un senso devono essere realizzabili, altrimenti non sono che inutili fantasie. Due settimane fa, però, ho reinserito quella voce. E l’ho spuntata.

Ho corso la Maratona di New York e l’ho fatto in 4 ore, 40 minuti e 59 secondi.

Com’è successo? Non lo so nemmeno io. Fino a un anno fa gli unici scatti atletici che vantavo erano quelli per non perdere il bus e… oggi ho una medaglia. Ho cominciato a correre per caso, da sola, sul tapis roulant in palestra. E poi fuori, medie distanze insieme a mio marito, con un po’ di ansia perché, per motivi di sicurezza, qui in Angola, dove vivo da oltre due anni, dovremmo essere sempre accompagnati. In solitaria non possiamo girare. “Girl u better be careful..! So much stuff happening here. Even the SOS doctors aren’t allowed to run outside here” – mi ha scritto piuttosto preoccupata Julie, che frequenta la mia palestra.

Lo so. È solo che mi mancano già tante cose qui, troppe cose mi sono precluse. Mi sento in gabbia tante volte. Forse è per questo che inconsciamente mi sono data alla corsa. Perché, da sempre, la corsa è metafora di libertà.

A Pasqua ho partecipato alla mezza maratona di Cape Town. Il mattino dopo, ancora a letto, la proposta di mio marito: ‘andiamo a correre New York’. In realtà, volevo essere io a dirlo per prima. Ma mi sembrava un’idea troppo folle, troppo presuntuosa, troppo ingenua. 42km non sono 21. Una settimana dopo, però, ci eravamo iscritti. E di nuovo in palestra, sul tapis roulant, per lavorare sulla velocità. E di nuovo fuori, su quelle brutte strade africane, per lavorare sulla distanza, questa volta però insieme a un gruppo di corsa. Tutti i sabati e le domeniche mattina, con sveglia alle 6 perché poi il caldo equatoriale ti taglia le gambe. In sei mesi ho accumulato circa 800 km, che è più o meno la tratta Milano-Napoli. Forse a te che leggi può sembrare tanto ma credimi che non lo è, se consideriamo che dovrò coprire un ventesimo di quella distanza in un unico giorno. Un giorno ben preciso, il 4 novembre.  

La Maratona di New York attraversa tutti e cinque i borough della città.
Qui sotto puoi vedere il percorso: nel video sembra lunghissimo, nella realtà… lo è ancora di più. Per questo, psicologicamente, aiuta contare in miglia (26,218), invece che in chilometri (42,195).

Il pettorale è appiccicato alla maglia. Ho il numero 41495. I gel sono nel marsupio, pronti ad essere ingeriti ogni ora per ricaricarmi. Le scarpe sono sempre le stesse, quelle verdi comprate in Perù. Il sole splende e non si muove una foglia: le preghiere dei 52.697 partecipanti sono state esaudite; pioggia e vento sono i nemici numero uno del maratoneta. Il Dio della corsa deve aver fatto un patto con quell’altro, perché comincerà a diluviare il giorno seguente e, oggi, a due settimane dalla gara, la città è stata colpita dalla più grande bufera di neve da 80 anni a questa parte. Ma domenica il cielo è azzurro, i runner sono pronti e lo è anche New York che, con il suo tifo incredibile è parte integrante della gara tanto quanto i corridori. Ready, set, go!

Staten Island: Mile 1-2
Si parte a ondate, una massa compatta, variopinta e carica di energia. Il primo ostacolo da superare è il Verrazzano Bridge, ma lo si fa con facilità: è solo il primo di una lunga serie di ponti e salite. Difficile non lasciarsi trasportare dall’adrenalina della partenza, sicuramente uno dei momenti più emozionanti, per certi versi ancor più del taglio del traguardo. Ma l’inizio della gara è fondamentale da un punto di vista tecnico: è importante mantenere il passo al quale ci si è allenati o persino poco più lento. Una partenza troppo veloce può compromettere l’intera performance, per cui – in questa fase – è bene non strafare. E perchè poi? E’ un attimo di emozione pura, non viziata da stanchezza, frustrazione o dolore. C’è solo l’orgoglio, la felicità, la sensazione di partecipare a qualcosa di straordinario. Un momento fantastico, da goderselo tutto.

Brooklyn: Mile 3-12

E’ il borough più lungo, ma anche quello più facile, dato che è in linea di massima pianeggiante. Ed è anche il borough più vivace, dove per la prima volta ti rendi conto di cos’è il tifo di New York: band che improvvisano vere e proprie gig, urla di incitamento ai random strangers, cartelloni divertenti o originali che ti danno la carica. ‘If an asshole can run the country, your ass can run this marathon’ – dice uno; ‘push here for power’ – dice un altro che raffigura un pulsante gigantesco, e ancora ‘I trained a whole year to hold this sign’ o semplicemente… ‘WHY?!?’.

E ‘perchè’ me lo chiedo anche io, mi chiedo che ci faccio lì, a correre in quella Williamsburg assolata. Ma mi guardo intorno e… non ho bisogno di spiegazioni. Le mani tese, file di dita pronte a darti il 5, come fossi la star del momento. E lo sei. E allora passi vicino al marciapiede e highfive a tutti, anche al bambino più piccino, basso e defilato. Ma di nuovo, ahimè, non bisogna lasciarsi prendere da troppo entusiasmo: il passo non va aumentato eccessivamente ed è fondamentale bere acqua o gatorade a ogni stazione di rifornimento disponibile (e sono tantissime lungo il percorso). Le energie meglio conservarle per dopo: la maratona di New York è molto, molto ingannevole e la parte più dura deve ancora venire. Salutiamo Brooklyn con un ponte, il Pulasky Bridge: siamo a metà tracciato.

Queens: Mile 13-15

Ci siamo. Eccoci al fatidico Queensboro Bridge, uno dei tratti più difficili della gara. Due miglia di ponte (oltre tre km). Come tutti i ponti va affrontato con calma nella parte in salita; chi non ha gestito bene le proprie energie, qui comincia a cedere, a camminare. Capiamoci, non è che camminare sia vietato ma va da sè che la maratona si corre. Altrimenti diventa una passeggiata e se ne perde il senso. Per camminare ci sono le fun run, le color run, ci sono mille altre competizioni non agonistiche: questa no.
Il Queens regala splendide vedute della città ma manca qualcosa. Non ci sono le grida, gli incitamenti, l’affetto del pubblico, che ai lati di quel lunghissimo ponte non può sostare. Si corre da soli. Soltanto nell’ultimo tratto si risveglia il boato, rispuntano i cartelli: you’re half way through! Ed è con queste parole nella testa che si entra, per la prima volta, a Manhattan.

Manhattan (1): Mile 16-18
First Avenue, quelle due miglia chiamate ‘le Sirene di Manhattan’: un tratto facile, in cui ti senti gasatissima perché hai appena superato il giro di boa e, soprattutto, il bastardissimo Queensboro. Ma a breve ti aspetta un altro ponte, quello di Willis Avenue. E qui comincio a rallentare. Si dice che la vera maratona inizi al trentesimo kilometro, ossia al 18esimo miglio. Ed è andata proprio così. Una persona normale, una novellina relativamente poco allenata come me, è qui che accusa i primi colpi: trenta km li avevo già percorsi in allenamento; mai di più, per non affaticarmi troppo. Eh sì, per me, la gara reale comincia ora.

The Bronx: Mile 19-20

Ecco il quarto Borough. Un po’ più lenta, ma vado avanti. E a darmi forza sono le persone intorno a me. Alcuni corridori sono stupefacenti. Io sono abbastanza in forma e relativamente giovane: non ho niente di interessante da raccontare. Ma le stampe sui pettorali di tante persone rivelano vite straordinarie: tanti runner sono sopra la settantina, ad esempio. C’è un bimbo dietro alle transenne che grida Grandmaaaaa!! Perché a correre è la sua nonna.

C’è chi corre per una causa, o per qualcuno. Mi viene in mente una donna bionda incrociata alla Mezza di Cape Town, che sulla maglietta aveva stampata la foto di una bella ragazza col cappello. E una scritta: in memory of. La ragazza col cappello non c’è più. La bionda correva per lei, forse è un’amica o… no, il fisico può ingannare ma il suo volto rivela il peso degli anni. Superandola, capisco che non può che essere la madre. Qui a New York c’è una giovane coppia, che sulla maglia porta la foto di una bimba sorridente. In memory of Kaitlyn. Quanto dolore e quanta forza in quei chilometri.

E poi ci sono persone con le stampelle, ci sono dei non vedenti che, insieme al loro accompagnatore, vanno avanti di corsa, i più giovani, o sottobraccio, i più anziani. È uno spaccato di gente bellissimo, la Maratona. Storie diverse, persone diverse, background diversi ma un unico scopo: arrivare. Perchè è vero che puoi contare esclusivamente sulle tue gambe, ma come te e con te ci sono migliaia di altre persone. Sei solo ma, in fondo, non lo sei. E se tutti trovano l’energia per correre, io non ho motivo per non farlo.

Manhattan (2): Mile 21-26.2

Superando un altro ponte, il Madison Avenue Bridge, passiamo dal Bronx a Harlem, Manhattan, dove si svolge l’ultimo tratto della gara. Quei 10 km, che in allenamento non sono niente, ora sembrano tantissimi. Anche perché ti aspetti che, esauriti i ponti, d’ora in poi la strada sia (almeno metaforicamente) in discesa e invece… c’è la maledetta salita della 5th Avenue. Un miglio, un miglio intero in pendenza proprio ora che non ne puoi più. Ma anche quello passa e finalmente, non restano che 3.5 km in un Central Park in pieno foliage. Però Central Park mica è piatto, no. E’ fortemente ondulato e, anzi, è proprio l’ultima collina la più ripida dell’intero percorso. Kill that hill!! – dicono i cartelli. Una folla sfrenata e assordante come non mai, dolori reali e immaginari, la pipì che continua a scappare, musica, lacrime e, per fortuna, ancora qualche energia. Le ultime. E’ qui che dai tutto quel che ti è rimasto.

I cartelli al lato della strada segnano il count down. 700metri. 500. 300. Il traguardo. La più famosa finish line del mondo. Le braccia al cielo. Ce l’ho fatta.

Quella di New York non è solo una delle maratone più impegnative, a causa di un dislivello verticale di 253m. Non è solo una delle World Majors, le sei maratone più famose del mondo. E’ La Maratona per eccellenza e, una volta portata a termine, per quanto retorico possa sembrare, hai davvero la sensazione di aver compiuto qualcosa di epico, di grande. Qualcosa di cui andrai fiero tutta la vita.

Quando ho mostrato la medaglia alle mie amiche qui a Luanda, a una di loro sono venuti gli occhi lucidi, la pelle d’oca. Siska mi ha detto che quella è più di una medaglia, è uno status. E che dovrebbero scriverlo sulla carta d’identità: maratoneta.

 

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Vuoi sapere come mi sono allenata e cosa fare a New York prima durante e dopo la gara? Clicca qui!

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9 Comments

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  1. says: Stella

    Ciao, bellissima e convolgente la tua esperienza. Hai pubblicato il post con piû dettagli? Ti ringrazio

  2. says: Silvia

    Giusto!!! 😂😂😂
    Alla facciaccia loro, Chris la Giustiziera ci ha riscattato tutti! 😉👍🎉

    1. says: Cris

      Hahahaha sono la paladina degli sfigati e degli ultimi-scelti-a-formare-le-squadre-di-pallavolo! Tiè, io ho fatto la Maratona e voi no! 😜

  3. says: Silvia

    No, ma da un po’ questo tema ricorre nella mia vita e quindi… non lo avrei mai detto, ma sto pensando di cominciare!
    Tra l’altro tutti coloro che conosco che corrono abitualmente mi parlano del piacere e del benessere che provano nel farlo, e anche dei benefici a livello di volontà e di forza interiore che sperimentano… sembra davvero interessante.
    Un mio amico ha cambiato decisamente abitudini, resistenza e fisico, anche lui allenandosi per un anno… a sentire lui correre è bellissimo (mentre a me, forse grazie alle odiate corse campestri a scuola, è sempre sembrato orribile, eheheh!!).
    Forse è ora di provare… 😉
    Ancora BRAVAAAAA!!!

    1. says: Cris

      Uhh le campestri, cosa mi hai ricordato, che odio!!!! Bhe sai una cosa, vorrei proprio vedere quanti di quelli che facevano le campestri allora hanno fatto una maratona da adulti!! È una rivincita anche questa! 😂😂😂

  4. says: Silvia

    Caspita, complimenti Cris!!!
    Ma sai che proprio in questo periodo sto leggendo un libro, scritto da un ultramaratoneta, e l’argomento mi incuriosisce sempre più?
    Ma davvero sei riuscita a prepararti in un solo anno?
    Che forza!
    Ti faccio una domanda “pratica” : per iscrivervi voi vi siete rivolti ad una agenzia specializzata?
    Ho letto che non è cosi scontato riuscire a partecipare, perché le persone che vogliono iscriversi sono tantissime.
    Mi immagino che atmosfera incredibile…
    ancona complimenti, ti sei presa proprio una bella soddisfazione!!
    Silvia

    1. says: Cris

      Ciao Silvia, grazie!! Scriverò poi un post più dettagliato su come partecipare e qualche consiglio per allenarsi sulla base della mia esperienza! Cmq per rispondere subito brevemente alle tue domande: 1) sì mi sono preparata in un anno. Lo scorso novembre riuscivo a fare a malapena una decina scarsa di km e in un sacco di tempo. Va da sé che non bisogna avere problemi cardiaci, articolari etc di alcun tipo, perché l’allenamento è molto intenso! 2) sì, per partecipare bisogna iscriversi tramite un t.o. specializzato in viaggi sportivi. L’alternativa è l estrazione a sorte che, naturalmente, non ti garantisce l’ammissione. Stay tuned per il prossimo post!! Corri già un po’?