Storia di una porta d’oro e dell’arrivo a Muscat

espatriare in oman
Della serie 'coincidenze e giri sorprendenti che ti fa fare la vita'.

Ho cominciato il mio quarto espatrio: da poco più di un mese vivo a Muscat.

Anche stavolta, al momento dei saluti, ci sono stati gli auguri più disparati: buon viaggio, buon inizio, buon Oman. Buon tutto, per non sbagliare. Ci sono stati abbracci forti pregni di parole non dette così come ipocriti baci di circostanza, rivelatori di una stizza malcelata.

C’è stato l’immancabile occhio lucido della mamma, che ogni volta prendo un po’ in giro ma che in realtà mi stringe il cuore. E la pacca sulle spalle di chi alla partenza non dà troppo peso, come se, invece che tra qualche mese, ci rivedessimo la settimana dopo. Ed entrambi sappiamo che, quando ci rincontreremo, la sensazione – bellissima – sarà proprio quella.

C’è stato l’insopportabile state-attenti-mi-raccomando, formula tediosa pronunciata d’un fiato come un’unica, lunga parola. Che si sa, l’espatrio è una brutta bestia e non bisogna abbassare la guardia nemmeno un minuto (leggerezza questa sconosciuta).

C’è stato un inaspettato safe skies che ho trovato stupendo e l’augurio della Chiara, forse il più azzeccato tra tutti: buona nuova vita. Perchè il cambio di destinazione, presuppone sempre uno stravolgimento radicale, come raccontavo qui.

E poi l’arrivo in Medio Oriente. Dopo Bonjour e ‘Mboté, dopo Bom dia, adesso siamo all’As-Salaamu-Alaikum.

Dell’Angola ero talmente stufa che, pur di non trovarmi più quell’odiosa infilata di visti ogni volta che aprivo il passaporto, ho deciso di rifarlo nonostante un paio di pagine ancora disponibili e qualche anno alla scadenza.

Entro quindi a Muscat con un documento intonso, il primo timbro proprio quello dell’Oman.

A dir la verità, non sono nuova a questo Paese.
Ci sono stata nel 2010 per lavoro, nel periodo in cui vivevo a Londra. Eravamo atterrati molto tardi e, seppur intorpiditi da caldo e stanchezza, ricordo che, sulla strada per l’hotel, ci aveva sorpreso un edificio con una splendida porta d’oro, abbagliante nel buio della notte.

What is THAT? – chiedemmo pieni di meraviglia. Giovani e inesperti, chissà cosa pensavamo: la residenza del sultano? Il palazzo di uno sceicco? Un sesamo pronto a schiudersi?
It’s just a bank – aveva risposto il tassista con sufficienza, probabilmente alzando un sopracciglio di fronte a tanto, immotivato entusiasmo.

Dieci anni dopo, in quella banca – che poi, appunto, è una normalissima filiale dell’HSBC – c’è il nostro conto. Dieci anni dopo, davanti a quella porta d’oro – che è sempre lì – mi meraviglio ancora. Ma non per il suo bagliore, quanto piuttosto per i giri strani e incredibili che ti fa fare la vita.

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A Muscat abito in un compound grande e pulito, con un’architettura che si ispira alle vecchie torri del vento, prodigi ingegneristici che, un tempo, servivano per mitigare il caldo torrido all’interno degli edifici.

Dopo cinque anni di estate perpetua, non nascondo che sognavo una destinazione fredda, gelida. L’Alaska, sarebbe stato il top, per dire. Ma non fa niente: del resto, sono arrivata proprio all’inizio della stagione più (ehm) fresca; in ottobre, il sole dell’Oman cuoce ma non più di tanto, del tipo che la sera, se esci per fare una corsetta prima di cena, ci sono 29-30°. Di giorno, fortunatamente, l’afa non tinge il cielo di bianco come in altri paesi del golfo: non nei prossimi mesi, almeno. C’è un bell’azzurro e dal balcone, a volte, si gode di un tramonto come quello qui sopra, con uno spettro di colori che vanno dal viola al rosso, all’arancio, al rosa.

Anche l’altro balcone di casa regala una vista speciale: i minareti di una delle tantissime moschee che punteggiano la città. Una delle più belle perchè, candida di giorno, di notte si accende di blu e oro. E’ già la mia preferita: sembra uscita dalle Mille e una notte.

A Muscat è venuto anche il Nama, naturalmente. Quando sente il canto del muezzin si piazza in ascolto in cortile per capire chi è, che vuole. Nella sua ciotola dell’acqua si accumula ogni tanto un po’ di sabbia portata dal vento e quella stessa sabbia capita me la trovi anche in casa. Nonostante ciò, amo tenere porte e finestre aperte perchè, per la prima volta da cinque anni a questa parte, posso farlo senza la paura che entri una zanzara e, con lei, una porcheria tipo malaria, dengue o chikungunya.

Poi, là fuori, c’è tutto l’Oman.

Con i suoi sapori e i suoi profumi: la dolcezza zuccherina dei datteri, l’aroma del caffè al cardamomo che una dallah fa scendere caldo nella tua tazzina, l’agrodolce del melograno maturo, la delicatezza dell’acqua di rose, il sentore pungente dello zenzero, il franchincenso che brucia nei souq e nelle case.

Con un popolo cortese all’inverosimile che, al pari di una finestra aperta, è un vero e proprio balsamo, dopo anni di stupida arroganza angolana.

Con un paesaggio pazzesco nella sua varietà: deserti che il vento ridisegna ogni giorno, oasi fresche e torrenti di smeraldo – i wadi –, montagne coperte di rose, fondali abitati da una fauna marina eccezionale, fortezze ricche di storia e villaggi semi abbandonati. L’Oman incarna nel mondo odierno l’idea antica di Arabia Felix, quella non viziata dai dettami islamici più estremisti nè distorta dagli eccessi della ricchezza e del consumismo. E’ l’Arabia del c’era una volta un re, dei viaggi avventurosi. Di Sindbad, il marinaio leggendario di cui, da piccola, leggevo le avventure in un grosso libro illustrato dalla copertina verde, uno dei pochi che c’erano a casa del nonno Pietro e che, quindi, sapevo a memoria.

Però.

Non ho mai avuto nè sesto senso nè la cosiddetta intuizione femminile. Sono una persona molto pratica, e alle sensazioni credo poco e niente. Ma stavolta, ho come l’impressione che qui ci non ci fermeremo a lungo. Già lo so, il tempo di affezionarmi a questo posto, di trovare una dimensione e poi via.
Ma chissà, può anche darsi che mi sbagli.

Nel frattempo però, se c’è una cosa a cui già mi sono affezionata, è questa foto qui sotto. La primissima che mi ritrae in terra d’oriente. Eh sì, perchè quella col capo blu sono io. In un posto speciale, mistico e splendente, nello specifico la Grand Mosque e, per estensione, l’Oman.
Che comunque vada, almeno per qualche mese, sarà casa.

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Inshallah!

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7 Comments

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  1. says: Daniela

    Sono tornata fomenica dall’Oman e confermo a pieno… la gente è di una gentilezza spaventosa. 🤩

  2. says: Paola

    Hai ragione. Ci sono venuta in decenni differenti e la situazione è migliorata incredibilmente. Ti troverai benissimo. Ne sono certa!

  3. says: Paola

    Amo profondamente l’Oman, ma ci sono stata sempre in vacanza. Vivere l’Oman quotidianamente non deve essere poi così facile, soprattutto per una donna. Ti leggerò volentieri perchè sono molto curiosa…

    1. says: Cris

      Ti dirò, per ora non ho incontrato grosse difficoltà.
      Certo devo coprire gambe e spalle quando esco, ma al di là di questo, non ho notato imposizioni fortissime al momento. Come scrivevo, le persone sono molto cordiali, un po’ per loro natura e un po’ perchè forse si sono progressivamente abituate al turismo (poi magari lo scenario fuori Muscat è diverso, non ti saprei ancora dire perchè sono qui da poco più di un mese).

      Già dieci anni fa però, appunto per lavoro, avevo avuto modo di intervistare alcuni giovani che parlavano in maniera entusiasta del sultano e della sua ampiezza di vedute. Probabilmente non potevano dire diversamente 😉 ma ricordo che mi erano sembrati pareri davvero genuini; in effetti, Qaboos ha fatto moltissimo per il Paese e si vede!