I teschi di Napoli e il culto delle anime pezzentelle

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Capuzzelle al Cimitero delle Fontanelle, Rione Sanità
Storia di un culto antico, teso tra il sacro e il profano. Dove vederne le testimonianze in città?

E’ una città a strati, Napoli. E non solo da un punto di vista metaforico: nel sottosuolo partenopeo troviamo tutto un mondo, brulicante e chiacchierato come quello che vi sta sopra, a livello del mare. E’ la Napoli delle catacombe, dei passaggi segreti, dei rifugi antiaerei, di teschi e ossa mai sepolti. E’ una città sotterranea che, affatto immobile, riemerge in superficie tramite cunicoli scavati nel tufo, superstizioni e culti.

Tra questi, il più interessante è quello delle anime pezzentelle. Incerta è l’etimologia del termine: i più lo fanno derivare da ‘pezzente’, perché parliamo di spiriti di poveri cristi, morti senza nome e senza lacrime. Una versione meno semplicistica scomoda invece il latino: pezzentelle da ‘petere’, chiedere per ottenere, perché è a queste anime che ci si rivolge(va) per domandare una grazia.

Un culto antico: di cosa si tratta

Per secoli e almeno fino agli anni ’70, era diffusa in quel di Napoli l’usanza di ‘adottare’ il teschio di uno dei numerosi ossari della città, la cosiddetta ‘capuzzella’. Si trattava di teschi anonimi, abbandonati e decrepiti, appartenuti quasi sicuramente a un poveraccio gettato nelle fosse comuni che, dunque, non aveva beneficiato di una degna sepoltura. Privo di rito cristiano e di un gruppo di pie donne che lo ricordasse nelle loro preghiere, la sua anima era certo condannata a trascorrere l’eternità tra le fiamme del Purgatorio. A meno che una persona di buon cuore non si prendesse cura di (ciò che restava di) lui, donandogli sollievo e refrigerio dal fuoco: o refrische.

Ed è proprio col termine refrische che si indica la meticolosa operazione con cui il devoto ripuliva – letteralmente – il teschio. Una volta scelto, lo spolverava e, munito di alcool e cotone, lo lucidava per bene. Non solo: naturalmente, pregava per lui. Adagiatolo su di un bel cuscino ricamato, accendeva ceri e candele, lo circondava di immagini sacre, gli offriva persino alcuni doni: una moneta, un rosario, un’immaginetta. Ma perché tutto ciò? Proprio qui sta la genialità e l’inventiva napoletana: io ti do refrigerio, ma tu, capa, in cambio mi fai un favore. Concedimi una grazia; qualche numero del lotto va bene uguale.

Preghiere e pulizia si protraggono così per un certo tempo, fino a che la grazia non veniva accordata o… fino a che non terminava la pazienza del devoto. Nel primo caso, il teschio diventava una sorta di star, glorioso e autorevole e, per tanto, lo si onorava con la fabbricazione di una teca tutta sua, con inciso il nome del miracolato (da notare che la capa non viene mai sepolta perchè deve essere lasciata libera di ‘vedere’ e, eventualmente, aiutare altri bisognosi). Nel secondo caso, ossia se nonostante l’ovatta e le preghiere, di grazie neanche a parlarne, allora il cranio ingrato veniva girato verso il muro e abbandonato, spesso a favore di un altro, si spera, più benevolo e capace.

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Tre posti dove vedere il culto delle anime pezzentelle a Napoli

# Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco
Se il piano superiore della chiesa, a livello strada, è dedicato ai vivi, quello sotterraneo è invece il regno dei morti. Umido e scarsamente illuminato, l’ipogeo è un posto freddo, dove le orbite vuote dei teschi ti osservano mentre passi loro innanzi. Non lo definirei tuttavia un posto tetro: un lume rosso, un gratta e vinci con una monetina a fianco, un cuscino rosa col merletto in pizzo, un rosario, un messaggio scritto a penna con calligrafia incerta, poi un altro e un altro ancora. Persino un biglietto del bus. Tanti piccoli doni che ti strappano, se non un sorriso, almeno un’esclamazione di sorpresa. Il mondo dei trapassati di Santa Maria ad Arco non è un cimitero, non è un luogo abbandonato: è una zona franca in cui qualcuno, con le capuzzelle, ci dialoga ancora e, fosse anche solo per abitudine, continua a prendersi cura di loro.

Purgatorio ad Arco lo trovi in via dei Via dei Tribunali 39, in pieno centro storico. Ricorda che nell’ipogeo le foto non sono consentite.

# Il Cimitero delle Fontanelle
Tra i luoghi più suggestivi di Napoli, questo enorme ossario – 5mila metri quadri – è stato ricavato all’interno di una cava di tufo nella collina di Materdei e, per stima ufficiosa, ospita i resti di circa 40.000 anime. Ossa e crani si sono accumulati qui sin dal XVII secolo, quando Napoli vide scatenarsi 3 rivolte popolari, 3 carestie, 5 eruzioni del Vesuvio, 3 terremoti e 3 epidemie, tra cui colera e peste che, da sola, causò qualcosa come 300 mila vittime. Sciagure e pestilenze provocarono un numero di cadaveri senza precedenti, che la città doveva seppellire al più presto per scongiurare l’ulteriore propagarsi delle infezioni. Le cave di tufo, ampie ed economiche (mica tutti avevano i soldi per essere tumulati nelle chiese), sembrarono al tempo la soluzione perfetta e si trasformarono così in fosse comuni. Fu l’allagamento della cava delle Fontanelle che, facendo emergere dal sottosuolo uno scenario raccapricciante, rimise le cose in prospettiva.

Era arrivato il momento di riorganizzare l’ossario, consacrandolo a dovere e ridistribuendo le spoglie. Siamo ormai a metà ‘800 e chi si prende la briga di mettere un po’ d’ordine in questo marasma d’oltretomba è Don Gaetano Barbati. Insieme ad alcune devote, il religioso suddivide il cimitero in navate: nella centrale andranno le ossa degli Appestati, in un’altra le spoglie provenienti da chiese e congreghe e nella navata dei Pezzentelli i resti dei più poveri.

Entrare oggi nel Cimitero delle Fontanelle è sicuramente un’esperienza: l’ingresso della cava, ancora inondato del sole di Napoli, pare più una porta dell’Ade, presidiato da una miriade di guardiani dalle orbite cieche: teschi ammassati, polverosi, poggiati su file e file di tibie, femori e quant’altro. Spingendosi all’interno della cava, la luce si affievolisce e le navate divengono corridoi lunghi e bui, illuminati da minuscoli ceri rossi o da qualche spessa candela. Le ombre si allungano, il flash di una macchina fotografica illumina il ghigno di uno, due, venti crani tutti in fila. C’è una statua, quella di Don Gaetano. E ce n’è un’altra, acefala: conosciuto come ‘il Monacone’, è San Vincenzo Ferreri, privo di testa. Ci sono le spoglie di due coniugi, noti come i “nobili”, nonostante – e sono gli unici qui alle Fontanelle – si conoscano le loro generalità: si tratta di Filippo Carafa e della moglie Margherita, il cui cranio mummificato mostra una bocca spalancata; pare sia morta soffocata da uno gnocco. Particolarmente sinistro è poi il “Tribunale”, un’area riconoscibile per la presenza di tre croci: si dice che qui avveniva il giuramento dei giovani camorristi che, simbolicamente, scendevano nel buio della cava per poi risalire alla luce come uomini nuovi.

Il Cimitero delle Fontanelle si trova nel Rione Sanità, in Via delle Fontanelle 80. Lo puoi visitare in autonomia ma, già che sei qui, ti consiglio di prendere parte a un tour guidato gestito dai ragazzi della Cooperativa La Paranza, che ti condurrà, oltre che alla cava, in giro per il quartiere. Vale davvero la pena scoprirlo insieme a loro.

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# Basilica di San Pietro ad Aram
Qui non ci sono stata di persona, ma lo riporto per amor di cronaca. Famosa soprattutto perché pare custodisca l’Ara Petri, l’altare su cui San Pietro celebrò la sua prima messa, anche in questa Basilica si praticava il culto delle anime pezzentelle: la cripta ne conserva le tracce.

La Basilica si trova in Via S. Candida 4, a metà strada tra la stazione centrale e la pizzeria Da Michele, che fa la pizza più buona di Napoli!

Teschi famosi

Garanzia di grazia, vendicative o semplicemente curiose, nel corso degli anni, alcune capuzzelle hanno acquisito una certa fama. Ecco i teschi più celebri di Napoli:

#Lucia (Purgatorio ad Arco): è la capa col velo da sposa, appartenuto a una giovane che alcuni identificano come una principessa morta di tisi subito dopo le nozze, altri come una fanciulla travolta dal mare mentre aspettava il ritorno del compagno pescatore. Fatto sta che quella della povera Lucia è tra le teste più amate e venerate: sorretta da un altarino e circondata da ogni genere di offerta, è – come si capisce dal velo – la capuzzella protettrice delle spose novelle.
#Il Capitano (Cimitero delle Fontanelle): la sua particolarità è un’orbita piuttosto inquietante, circondata da un alone nero. Nessuno sa a chi appartenga esattamente ma negli anni ha racimolato schiere di fedeli. Anche intorno a lui circolano un paio di leggende, tutte centrate intorno a coppie di innamorati. La più popolare è questa: un giovane in procinto di sposarsi, accompagna un giorno la fidanzata a rendere omaggio al teschio del Capitano, al quale la ragazza era particolarmente votata. Geloso di questa eccessiva devozione, un po’ per scherzo e un po’ per sfida, il futuro sposo infila il suo bastone da passeggio in una delle orbite del teschio, invitandolo persino a partecipare al loro matrimonio, se davvero è così potente. Il giorno delle nozze, uno sconosciuto in divisa si presenta al ricevimento: aprendosi le vesti rivela al di sotto di esse nient’altro che ossa. Spaventati a morte, i due sposi muoiono sul colpo. Oltre a questa storia – che, tra l’altro, molto ha in comune col Convitato di pietra di Molière – sul Capitano, la sua orbita vuota e le coppie di sposi ne circolano molte altre, anche piuttosto scurrili, ma io mi fermo qui.
#Concetta (Cimitero delle Fontanelle): è ‘a capa che suda. L’ho vista con i miei occhi (foto sotto). A differenza delle teste polverose che la circondano, quello di Concetta è un cranio bello lucido, imperlato di sudore: quello delle anime del Purgatorio, si dice. Nonostante la possibile spiegazione scientifica – il sudore altro non è che condensa formatasi con l’umidità della cava – è palese, vista la quantità di offerte che la circonda, che la gente ancora si rivolga a lei. Molto efficace nell’aiutare a trovare marito, per sapere se la grazia verrà concessa basta toccare la testolina: se la mano è umida tutto andrà bene.

#Fratello Pasquale (Cimitero delle Fontanelle): dà i numeri, ma quelli del lotto. Naturalmente in sogno.
#La Capa Rossa (Cimitero delle Fontanelle): appare in sogno come un postino dalla zazzera rossa e, di solito, è portatore di liete novelle.
#Il Teschio con le Orecchie (Chiesa di Santa Luciella): risalente all’XI secolo, non è esattamente un’anima pezzentella ma di sicuro va annoverato tra i teschi più famosi di Napoli grazie a una sua particolarità: ha le orecchie. Proprio così: la cartilagine dei lobi non si è deteriorata nel corso del tempo, molto probabilmente a causa di un processo di mummificazione, rito che, tra l’altro, trova riscontro in un mosaico del Museo Archeologico Nazionale di Napoli (questo). Qualunque sia la ragione, un teschio con le orecchie può certo udire meglio le preghiere: ecco perché è così celebre tra i devoti. Lo puoi vedere nell’ipogeo della chiesa di Santa Luciella, in San Biagio dei Librai.

Sacro o profano?

Superstizioso, pagano o addirittura feticista: sebbene fortissimo e diffuso, il culto delle anime pezzentelle di cattolico non ha proprio niente. Ecco perché, quando i teschi cominciarono a essere più venerati dei santi, la Chiesa decise di correre ai ripari; Corrado Ursi, allora Cardinale di Napoli, proibì il culto: siamo nel 1969 e il divieto è ancora oggi in vigore. Le offerte disposte intorno ai teschi sembrano però suggerire il contrario e, di certo, le anime del Purgatorio vengono ancora invocate. Questa fotografia, ad esempio, l’ho scattata sulla gradinata del Petraio: in una teca, la foto di un defunto scomparso pochi anni fa, un crocifisso, un fiore e cinque o sei figurini che ardono a metà; sono le anime del Purgatorio, quelle che cercano refrigerio dal fuoco e dalle loro pene.

Viva o meno, questa tradizione la dice lunga su Napoli, sui napoletani e sulla storia della città. Mescola superstizione e religione, ridefinisce il rapporto tra vivi e morti, cancella il confine tra al di là e al di qua. Riannoda i fili di riti ancestrali e moderni, rende la fede sinonimo di fortuna. Speculari sotterranee delle innumerevoli edicole votive, nicchie e altarini disseminati per tutta la città, le capuzzelle sono la risposta a quella ricerca di ascolto, di conforto che da sempre impegna l’uomo. Perché chi non desidera qualcosa in cui credere, qualcuno che dica che sì, andrà tutto bene?

Dice l’epigrafe del Capitano:“Io voglio rimanere in questo luogo, capuzzella tra le capuzzelle. Voglio ascoltare le storie di questi umili defunti, piangere e gioire con loro, sentirmi in compagnia. Qua dentro la solitudine non si sente, là fuori sì”.

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5 Comments

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  1. says: Narrabond

    Bravissima, da napoletano posso solo dirti che hai riportato in maniera precisa tutto ciò che c’è da dire. Non era facile! Anzi, ho una obiezione da farti: manca un riferimento alla genesi del peggior insulto che si possa fare in napoletano e che trova una spiegazione proprio nel cimitero delle fontanelle!

  2. says: Gin

    Napoli è sempre tutta da scoprire. Ed io la conosco poco. Interessante. Grazie! Ciao. Mi fa sempre piacere leggerti.