Quel che (forse) ricorderemo

Immagine realizzata dall'artista Franco Rivolli - Instagram: @francorivolliart
Pensieri da un mondo in quarantena #1

Cominciamo dalla fine.
Perchè, prima o poi, tutto questo finirà.

Ricordi quando Grosso segnò alla Germania? Vivevo a Milano allora e, come tutti, quella sera di inizio luglio sono scesa a festeggiare in strada. Mai vista una simile euforia: i canti, le grida, le risate e le lacrime di gioia. E soprattutto la gente. Ammassata, abbracciata. Un gruppo più pazzo degli altri aveva fermato un tram: saliti sul tetto del mezzo, sventolavano il tricolore.

Ecco. Quando usciremo da questa situazione, l’Italia me la immagino così.

E solo allora cominceremo a ricordare.

Ricorderemo quelle preoccupanti analogie belliche – il bollettino della Protezione Civile come Radio Londra, la riconversione delle fabbriche che, abbandonate le fragranze di lusso, sono passate al disinfettante per le mani, il divano di casa diventato trincea, lo starnuto un proiettile. Ricorderemo le strategie negazioniste di leader dai capelli paglierini, la Cina vicina, l’Europa un po’ meno.

Ma soprattutto ricorderemo l’Italiano. Quello eroe, in corsia, col viso segnato dai contorni degli occhiali protettivi, solchi che tracciano la mappa di una giornata infernale. Quello vigliacco, egoista o semplicemente stupido, in fuga da Milano Centrale, sulle piste da sci, o in giro per il paesello che tanto lui sta bene e degli altri chissenefrega.

Ricorderemo l’italiano che non c’è più, morto da solo dopo una video chiamata ai suoi cari, milite ignoto e anziano portato via insieme ad altre decine di bare, seppellito senza funerale, proprio lui che aveva passato una vita in chiesa. Ricorderemo l’italiano buffone ed esagerato, talvolta fuori luogo ma, in fin dei conti, dal cuore grande. Che organizza i flashmob sul balcone, che si spella le mani ad applaudire se stesso e il suo Paese, che si sgola al grido di ce la faremo e appende arcobaleni alle ringhiere.

Ricorderemo – ma questo solo forse – che mentre noi stavamo più o meno fermi la natura ha ricominciato a respirare. Che Venezia, anche se l’abbiamo vista solo in TV, non è mai stata così bella. Forse ricorderemo che è meglio investire nella sanità che non in altri settori, ricorderemo che chi ha sempre pagato le tasse ha permesso di curarsi anche a chi le evade. Forse, ma solo forse, ricorderemo che tante cose che diamo per scontate non lo sono: una corsa in un parco, un biglietto aereo, un aperitivo ai Navigli. Un semplice abbraccio assumerà un valore tutto nuovo.

Una fine della pandemia come la sogno io ovviamente non avverrà mai. Perchè dalle proprie case-trincee l’Italia uscirà timida, vessata da misure forse meno stringenti ma certo ancora in atto. Alla normalità non si tornerà da un giorno all’altro. Anzi, i più pessimisti dicono che il nostro amato “prima” possiamo scordarcelo. Dicono che il virus si si ripresenterà a ondate costanti, almeno fino a fine 2021. Che le industrie moriranno a decine se non a centinaia. Che le città, da mari solcati da banchi di pesci gemelli, si trasformeranno in silenziosi acquari urbani, dove ognuno nuoterà da solo, a distanza di sicurezza. Che finiranno gli anni delle immense compagnie, dei locali pieni, dei cinema e delle palestre. Dei grandi eventi sportivi e musicali. Del turismo.

I più positivi – io tra questi – invece, rifiutano l’idea di un mondo tanto distopico e azzardano che il virus potrebbe mutare e diventare buono: considerando che quanto sta accadendo sembra un film, auspicare un lieto fine non è poi così assurdo. Altri ancora confidano nell’arrivo del Generale Estate, cugino primo di quel Generale Inverno che mise in scacco, secoli fa, nientemeno che Napoleone. E chissà che la vittoria non sia cosa di famiglia.

Tutti dicono, tutti propinano modelli matematici, calcoli, statistiche. Il fatto è che i tempi per prospettare un nuovo piano Marshall non sono, purtroppo, ancora maturi.

Mentre scrivo, qui a Muscat, andiamo verso il centinaio di casi accertati di Covid-19, a fronte di quanti tamponi non so dirlo. Quasi tutti i paesi della penisola arabica, Oman compreso, hanno deciso di lasciare aperti solo i servizi strettamente indispensabili, adottando ove possibile lo smart working. Di buono c’è che, complici le alte temperature, la gente non ha l’abitudine di uscire a fare passeggiate o andare troppo in giro. Di meno buono, la prossimità a uno dei maggiori focolai del pianeta, l’Iran, e il fatto che le frontiere non siano state chiuse da molto.

Vedremo se e quanto resteremo qui, la scelta potrebbe non dipendere da noi. Al momento, come in tutto il mondo, la cosa più sensata è optare per l’immobilità, per il #restoacasa. E davvero NON capisco come molti siano incapaci di fare una cosa tanto semplice.

Vivere all’estero – nel terzo mondo in particolare – mi ha aiutata a indurire la corazza, insegnandomi a non temere la solitudine con me stessa, ad abituarmi a cambiamenti drastici e repentini e a evitare di fare programmi a lungo termine, che le variabili sono tante, prima fra tutte la salute. Quando siamo arrivati in Congo si parlava ancora di ebola nei paesi confinanti, quando ce ne siamo andati ci sono stati casi di tubercolosi. Ho vissuto cinque anni con il costante pericolo di malaria, dengue e chikungunya, che tanti manco sanno cos’è.

Se la mia armatura è appena più collaudata, c’è però da dire che è più pesante. Come credo ogni expat, ho un doppio peso sul cuore: il pensiero per il mio Paese e per quello che mi ospita. Mi manca la mamma, l’Italia e mi manca quel mondo che fino a un mese fa era lì a portata di mano, così vicino.

Ma torneremo a volare, sì. In primis, uno tra le braccia dell’altro.
#andratuttobene

 

 

L’immagine di copertina è stata realizzata da Franco Rivolli, condivisa sul suo account Instagram @francorivolliart e divulgata dall’Arma dei Carabinieri.

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5 Comments

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  1. Che bello, Cris.
    Il tuo tentativo di mostrare le cose da un’altra prospettiva è sicuramente ben riuscito. Chissà, magari abbiamo risolto il problema del buco dell’ozono 🙂

    1. says: Cris

      Mah… Si è aperto un secondo buco sull’Artico, in realtà. Dicono però che sia destinato a scomparire entro un mesetto (variante della serie “è solo un raffreddore”?)

  2. says: Renata

    Grazie per l’abbraccio e per il fatto che ci accomuni sempre. Stai bene

  3. says: Renata

    Ciao. Tutto vero, verissimo quello che hai scritto. Sei una grande osservatrice, e lo si nota in tutti i tuoi scritti. Grazie.
    Io vorrei sperare che gli atti di solidarietà nazionali, condominiali, tra sconosciuti che si trovano a condividere le stesse difficoltà non spariscano alla fine di tutto ciò (sempre che ci sia una vera fine). Spero si sia imparata una lezione: il rispetto di questo nostro mondo e la condivisione fra essere umani come leggi essenziali.
    Ciao. Grazie

    1. says: Cris

      Speriamo ci si ricordi di tante cose.
      Riguardatevi, tutt’e due.
      Un abbraccio