In volo (speciale) verso l’Italia

In volo verso l'Italia
Pensieri da un mondo in quarantena #5

La mia quarantena finisce qui.
E’ durata quattro mesi: tre e mezzo in Oman + due settimane in Italia. Ho lasciato il Sultanato verso le 2 di notte, l’aeroporto deserto, l’installazione I 🖤Oman che, senza i soliti turisti intorno, metteva malinconia. Assonnata, la mascherina sul viso, sono rientrata in Lombardia con un volo speciale, un eterno Muscat-Londra-Francoforte-Malpensa.

E’ buio pesto, ma dall’aereo mi sembra di vederle quelle colline di roccia, sfondo di ogni mia esperienza omanita, brulle, disegnate alla perfezione, cangianti nel sole. Questa poteva essere una terra di avventure, di storie da ricordare e da raccontare. E certo, prima del Covid, lo è stata.

Peccato che, tanto lo so, la prima a cosa a cui la mia mente assocerà l’Oman sarà la quarantena. “Too hot here for any virus” – mi aveva detto superbo un giovane tassista dal kummah azzurro l’ultima volta che sono stata da un parrucchiere, un febbraio di mille anni fa. Dovevo andare a una cena particolare quella sera, nel resort più noto di Muscat: un percorso di sapori, seguendo un cammello (!) nelle varie tappe di quella che era stata definita “la carovana del gusto”. Non potevo immaginare che sarebbe stata la mia ultima cena fuori.

In effetti, mentre l’Italia era all’apice della pandemia, l’Oman non registrava che una manciata di casi affatto gravi; per di più, tutti i luoghi di ritrovo erano stati chiusi tempestivamente: spiagge, supermercati, negozi, hotel, ristoranti. Persino le moschee. Con quest’afa dove vuoi che vada la gente, mi dicevo dando credito alle parole del tassista spaccone. Nella mia ignoranza e buona fede, non avevo fatto i conti col Ramadan, però: gli assembramenti privati delle – numerosissime – famiglie locali hanno provocato un’inversione di tendenza e i casi sono schizzati alle stelle. Quel lockdown (che, in fin dei conti, un vero e proprio lockdown non lo era) è stato prolungato un mese dopo l’altro e, oggi, se stiliamo una classifica in base al rapporto casi/popolazione, l’Oman figura nella top ten mondiale.

Ho quindi trascorso oltre 100 giorni chiusa in compound, durante i quali sono uscita appena tre volte: tutte per andare dal veterinario a organizzare il rientro via cargo del Nama, dato che i voli speciali non accettano cani in stiva. Una prigione dorata certo, ma pur sempre una prigione.

Sono state settimane caldissime, con il termometro costantemente sopra i 30°, a volte anche alle 10 di sera, il vento ardente al pari di un asciugacapelli piantato dritto in faccia. Per non parlare poi dei picchi pomeridiani: temperatura reale 37°, percepita 49°. Al Nama non importava, gli bastava uscire: lui la quarantena l’ha amata da pazzi anche per via di quel minuscolo spazio verde, dove – mentre noi proprietari chiacchieravamo a distanza di sicurezza –  saltava per azzannare i datteri che pendevano a grappoli dalle palme e correva con quella che è diventata nel corso dei mesi una piccola muta: Sydney, Sable, Ansi, Cookie e Kylo, il goffo labradoodle indiano.

Non ho dormito bene in questo periodo. I primi mesi, soprattutto, sono stati disturbati da sogni collegati da un unico fil rouge, variazioni sul tema del ‘ritardo’: una volta perdevo un treno, un’altra arrivavo a festa finita… ricordo l’angoscia del risveglio, io che, ancor più dei ritardatari, detesto essere in ritardo.

Impossibilitata a viaggiare e, causa caldo, persino a correre, ho cercato svago nella musica e nella TV. Santo Spotify che, con una playlist di 66h 29m, è da sempre il mio lifesaver assoluto, e santo Netflix, con tutti i film dello Studio Ghibli e quelle serie tv lunghissime, due su tutte Pablo Escobar – Patrón del Mal (telenovela colombiana che mi ha permesso di rinfrescare lo spagnolo) e Pretty Little Liars, teen drama al quale mi sono appassionata in un modo che manco a sedici anni.

La mia voglia di evasione cercavo di saziarla almeno in tavola: ho preparato cene arabe a base di samosa, falafel e hummus; fajitas messicane; dumpling al vapore cinesi; chicken korma e dhal di lenticchie indiani; pad thai e zuppe tom yam quando avevo voglia di Oriente. Anche se il mio sogno, proibito e irrealizzabile in un paese musulmano, era un semplice panino al prosciutto. Per fortuna, Fresco (di cui ti ho parlato qui) ha attivato la consegna a domicilio non solo di pizze ma anche di stracciatelle e burratine. E quindi, ogni tanto, faceva capolino in casa anche un po’ di Italia.

Naturalmente, ci sono stati giorni in cui nè David Bowie, nè Totoro nè una scamorza affumicata riuscivano a tirarmi su il morale. Allora leggevo. Che l’unica lista più lunga di quella dei posti che vorrei visitare è quella dei libri che vorrei leggere (ma tipo dieci volte più lunga). Leggo praticamente da sempre, tanto che i miei ricordi più lontani nel tempo sono legati più ai libri che non ai luoghi o alle persone. Esauriti gli ultimi cartacei che avevo con me, mi sono piegata per forza di cose agli ebook. Ma niente, il digitale non fa per me: Moby Dick non è mai emersa dallo schermo, ho odiato Moscardo e tutta la sua stupida compagnia di conigli in fuga, ho preso in antipatia la signorina Cuorinfranti e Meaulnes non mi è sembrato poi così grande, tanto per fare qualche esempio.

Spesso guardavo il cielo: azzurro, bianco, infuocato, nero. L’unica costante, la mancanza delle scie lasciate dagli aerei. Il mondo sempre lo stesso, eppure irrimediabilmente diverso.

Abbandonato tutto questo, siamo arrivati a Milano.

Due settimane sono passate in fretta, in questo appartamento che, non vissuto da anni, sa un’altra volta di nuovo. Ho gettato via mezzo armadio, appeso finalmente quelle serigrafie di Mick Jagger e riorganizzato la libreria. Ho girato pagine, accarezzato copertine e, naturalmente, ordinato un pacco di nuovi volumi. Ho fatto il pane con del lievito vero, ordinato un sushi, più di una pizza e quando è arrivata la spesa dell’Esselunga mi è sembrata la mattina di Natale: culatello, mortadella, formaggi… ma anche zucchine che sanno effettivamente di zucchine, e lamponi, more, la crema Pan di Stelle.

Oggi metto di nuovo piede nel mondo.

Non so che estate sarà, figuriamoci poi l’inverno. Però, so che l’Italia sarà di nuovo casa e stavolta per un bel po’. So che voglio fare un barbecue con mio fratello nel giardino della mamma e andare dalla parrucchiera in bicicletta. Che voglio rivedere, a Milano o in qualunque altra parte d’Italia e rigorosamente davanti a uno Spritz, quelle persone preziose che ogni giorno mi hanno fatta ridere su Whatsapp. Che presto abbraccerò una bimba bellissima: si chiama Martina, è la figlia della mia migliore amica e in tre anni di vita ha già imparato un sacco di parolacce. E poi, naturalmente, desidero prendere un aereo e, magari, viaggiare lenta in una cabrio lungo il mare.

Ho voglia di vento, di blu e di verde.
Il resto, si vedrà.

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2 Comments

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  1. says: Luna

    Bentornata in Italia! In questa strana estate fatta di ogni piccola gioia che uno cerca di prendere al volo, ma anche di sospensione e di attesa. Il semplice fatto di non poter decidere di prendere un aereo qualsiasi e partire per dove si vuole rende il mondo proprio strano.
    Che meraviglia la tua libreria! E quel cucciolone enorme di Namaste.

    1. says: Cris

      Ci sono voluto dei mesi ma ce l’abbiamo fatta! Grazie anche da parte del Nama! 😉