Piatti siciliani fantastici e dove trovarli

Piatti siciliani fantastici
Dall'arancino alla granita, dalla pasta con le sarde alla scaccia: tanti piatti (e indirizzi) golosi

Ancor prima che sull’arancino o sulla cassata, le mie papille gustative hanno fantasticato a lungo su questo piatto, tentando di indovinarne il gusto, il profumo: “L’oro brunito dell’involucro, la fragranza di zucchero e di cannella che ne emanava, non era che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno quando il coltello squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un fumo carico di aromi e si scorgevano poi i fegatini di pollo, le ovette dure, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi nella massa untuosa, caldissima dei maccheroni corti, cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio.”

Ho letto il Gattopardo tanto, tantissimo tempo fa. Ma il Timballo dei Monsù, scrigno perfetto di cibi preziosi e ospite d’onore della serata che segnerà i destini di Angelica e Tancredi, mi è rimasto impresso come una sorta di pietanza mitologica, difficilmente in grado di trovare riscontro nella realtà.

Assolutamente veri – e deliziosi – sono invece i numerosi piatti che ho avuto modo di gustare l’estate scorsa in Sicilia. Lungi dall’essere una lista esaustiva, questo sarà piuttosto un elenco di preferiti che ti racconto tutti insieme, seguendo non un ipotetico ordine di entrata ma semplicemente quello di assaggio durante il mio on the road. Immagina quindi di trovarti di fronte a una grande tavola imbandita, magari con al centro un’alta testa di moro fasciata da un turbante. Sulla tovaglia c’è un po’ di tutto: dolce e salato, bocconi di street food e portate più sostanziose, granite freschissime e corposi vini rossi.

Prendi posto. E cominciamo con…

Pane e panelle, crocchè e cazzilli
Il cibo da strada è un capitolo imprescindibile di una qualunque puntata a Palermo. C’è solo l’imbarazzo della scelta: si va dal cazzillo (crocchette di patate senza uova) allo sfincione (una specie di focaccia con pomodoro e caciocavallo) a pane e panelle, quadrotti di farina di ceci fritti, sui quali si sparge prezzemolo fresco, sale grosso e pepe macinato al momento. Una volta pronti, caldi e croccanti, vanno ficcati dentro a un panino, possibilmente di quelli con la ciuciulena, ossia il sesamo. Buonissimi nella loro semplicità!

Dove assaggiarli: mecca dello street food sono innanzitutto i mercati di Palermo, Ballarò ad esempio; se però hai un languorino prima di cena, potresti pensare di fare un aperitivo vastaso, di quelli proprio sfacciati, senza pudore: siediti da CuFu, in Via Bottai 6, sempre a Palermo. Oltre al cibo da strada troverai la loro famosa pasta pistacchiosa, una caponatina, crostini al pesto, cannoli e… gli orsacchiolici (gli orsetti gommosi imbevuti di vodka).

Quarume e Pani ca meusa
Solo gli amanti dei gusti forti potranno assaggiare il quarume (interiora di vitello) e, soprattutto, il pani câ meusa, ossia il panino con la milza, che spesso prevede anche altre ‘cosine’ tipo polmone e trachea di bovino, prima bolliti e poi messi a sfrigolare nello strutto. La carne viene poi condita con limone e pepe o accompagnata da qualche cucchiaiata di formaggio e, infine, inserita nella vastedda, una tipica pagnotta tonda, molto usata nel palermitano.

Dove assaggiarlo: da Nni Franco U’ Vastiddaru, locale storico situato in Via Vittorio Emanuele 102 a Palermo.

Arancino/a
Nota bene: l’arancino è rigorosamente maschio a Catania e Messina, mentre è femmina a Palermo e Ragusa. Detto ciò, nonostante il cambio di sesso, lui (per me è uomo) rimane sempre uno dei piatti più iconici della regione. L’arancino tradizionale è quello fatto a goccia, dal ripieno di piselli e ragù (occhio che il ragù siciliano non è quello bolognese: niente carne macinata ma pezzi interi). Esistono poi numerose varianti di forma e contenuto: palline di prosciutto e formaggio, ovali con le verdure, con pomodoro e mozzarella, pistacchio, tonno, melanzane… Importantissimi sempre, il riso e la panatura, che deve essere bella fragrante.

Dove assaggiarlo: ne ho provati un bel po’ e li faccio anche a casa (non è difficile, basta un po’ di manualità!), ma i più buoni che ricordo sono quelli di Catania (Pasticceria Savia, Via Etnea, 300/302/304) e Pier de Cat, un bistrò di Castelmola, un borgo minuscolo e delizioso situato proprio sopra Taormina.

Iris
Dolce tipico del capoluogo siciliano, mi è risultato difficile trovarlo altrove. E comunque l’originale è qui, nella città di Santa Rosalia: si tratta di un bombolone ripieno di ricotta e gocce di cioccolato, che viene passato nel pan grattato e poi fritto.

Dove assaggiarlo: al Bar Marocco (Corso Vittorio Emanuele 494), seduti al tavolino proprio di fronte alla Cattedrale.

Frutta martorana e dolci conventuali
Farina di mandorle, acqua e zucchero sono gli ingredienti pressochè esclusivi della frutta martorana, delizia per gli occhi oltre che per il palato. Cesellata alla perfezione, questa frutta non nasce sugli alberi ma nelle cucine dei conventi, nello specifico – così vuole la leggenda – in quello di Santa Maria dell’Ammiraglio a Palermo, conosciuto anche come ‘Martorana’ dal nome della sua fondatrice. Fu in occasione della visita di un alto prelato che questi dolci vennero confezionati per la prima volta: poiché si era in inverno e il giardino del chiostro era spoglio, le suore ebbero l’idea di realizzare frutti posticci ma, in cambio, golosissimi.

La tradizione culinaria conventuale è molto forte nei paesi cattolici. Proprio come il Portogallo, e sebbene non esente da influenze arabe, la Sicilia deve buona parte delle sue delizie alle abili mani delle religiose: cassate, minne di virgini, scorze candite, biscotti di ricotta, marie stuarde (crostatine con zuccata, una marmellata di zucchine verdi), monacali, biancomangiare, pantofole, nzuddi, buccellati, fastucate, mennulate e molto altro ancora.

Dove assaggiarli: Alla Dolceria “I segreti del chiostro”, in piazza Bellini 1 a Palermo. Situato nel complesso ecclesiastico di Santa Caterina, si tratta di un laboratorio attivo praticamente sin dal ‘700, sebbene chiuso nel segreto della clausura fino al 2014. Quello di Santa Caterina era infatti uno dei conventi più rigidi (e prestigiosi) del regno, ma ciò non impediva alle monache di sfornare diletti di gola, realizzati con i costosi prodotti portati in dote dalle novizie e, di conseguenza, accessibili solo alle famiglie più abbienti. Con la dipartita dell’ultima religiosa, si è deciso di recuperare le antiche ricette e dare nuovamente vita alla dolceria, aprendola questa volta a tutti. E per fortuna!

Cannolo
Fa sempre parte della pasticceria conventuale, anche se si dice che a inventarlo furono le donne dell’harem del Castello di Pietrarossa (Caltanissetta), come omaggio ai propri uomini. Con la fine della dominazione araba, alcune di loro si convertirono alla fede cristiana, ritirandosi in convento e trasmettendo così la ricetta alle consorelle. Il cannolo – che prende il nome dalla canna di fiume su cui veniva arrotolata la cialda, oggi sostituita da tubi in acciaio – è oggi diffuso ormai in tutta Italia, sebben l’originale sia però uno solo. Il segreto del cannolo perfetto sta nella pasta (o scòrza): fritta a dovere, piena di bolle, deve essere super croccante al momento del morso. Ecco perché il cannolo più buono è quello farcito al momento: in questo modo si evita che il ripieno di zucchero e ricotta di pecora vada a impregnare eccessivamente la cialda, compromettendone così la fragranza. Un po’ di granella di pistacchi o gocce di cioccolato ai bordi, frutta candita per decorare e, infine, una spolverata di zucchero a velo: voilà uno dei dolci più buoni del mondo!

Dove assaggiarlo: praticamente ovunque. I più buoni li ho trovati a Palermo, sempre nella Dolceria di Santa Caterina e poi a Modica, all’Antica Dolceria Bonajuto, in Corso Umberto 159.

Busiate gamberi e pistacchio
Le busiate sono un particolare formato di pasta lunga: ruvide e porose, sono come arrotolate su stesse. Il loro nome deriva probabilmente dal buso, lo strumento che serviva a conferire loro la caratteristica forma a spirale. Sono molto popolari soprattutto nel trapanese, dove vengono abbinate al pesto locale (mandorle, pomodorini, aglio e basilico), ma ben si prestano a vari condimenti: alici e pangrattato, melanzane o zucchine fritte, ragù di pesce o, quelle che ho amato di più, gamberi e pistacchi.

Dove assaggiarle: le busiate vista mare qui sotto sono della Tavernetta di Scopello in Via Armando Diaz, 3.

Seltz
E’ un rituale tutto catanese. Passeggiando per la città, certo ti capiterà di vedere svariati chioschetti, alcuni dei quali dall’apparenza un po’ retrò. Cosa vendono? Una bevanda freschissima, perfetta per combattere la calura della Sicilia: il seltz. Non è una soda, nè semplice acqua gassata: è piuttosto un’acqua frizzante… con personalità, direi! Spillata dalla mano sapiente del cioscaro, scoppia in mille bollicine sul bordo del bicchiere, ma non da solo. Lo fa in compagnia di uno sciroppo: tamarindo, mandarino, orzata, menta, per citarne alcuni. Oppure, e tra le versioni che ho provato è la mia preferita, insieme a sale e limone, super rinfrescante e, al tempo stesso, digestivo.

Dove assaggiarlo: Solo a Catania, ovviamente! Di chioschi ce ne sono tantissimi, uno su tutti, fotogenico oltre che buono, è il Costa in piazza Turi Ferro.

Pani cunzato
Il pani cunzato, ossia condito, è detto anche ‘pane della disgrazia’ poiché era uso farcirlo con ingredienti poveri: olio, olive, pomodori, origano e tuma per i contadini, qualche alice in più per i pescatori. Secondo alcuni la sua origine va ricercata nella Riserva dello Zingaro, ma è vero che oggi è diffuso in tutta la Sicilia in una miriade di varianti, ciascuna forte dei prodotti che più si legano al territorio: capperi, tonno, salumi, ricotta salata, verdure fritte. Due cose rimangono costanti: 1) il pane, dalla crosta dura e dalla mollica morbida, che deve impregnarsi per bene di tutti gli ingredienti e 2) il panorama: mangiare pani cunzato in barca è il top!

Dove assaggiarlo: La conzatura (si dice?) più buona l’ho trovata a Noto, applicata non solo al pane ma anche alla bufala. Questa qui sotto è di Sabbirinca, una putìa (bottega) di Corso Vittorio Emanuele.

U tunnu
Per oltre un secolo, imponenti tonnare hanno presidiato la Sicilia da un capo all’altro: termini come raìs e mattanza fanno parte della storia della regione e la pesca del tonno rosso è stata a lungo una delle principali voci dell’economia locale. Sebbene oggi le tonnare più antiche non siano più in funzione, il tonno resta comunque uno dei pesci più amati, protagonista di numerose ricette. Te ne propongo due, entrambe pazzesche:
# Kebab cu tunnu. Un classico kebab: pomodoro, cipolla, insalata e al posto della carne, il tonno. E una generosa colata di pistacchi. Da mangiare seduti su uno scalino stando bene attenti a non fare cadere nulla: sarebbe un peccato sprecare anche solo un pezzettino di questa delizia.
# Purpetti. Invece del solito tonno grigliato, provalo sotto forma di polpette. Fritte e accostate a un’ insalata di arance, finocchio e alici oppure lasciate ad insaporire in un sughetto di pomodoro fresco: sono una bontà soprattutto se chi le cucina ha cura di metterci la surra – ossia la ventresca – che è la parte più grassa e gustosa del pesce.

Dove assaggiarlo: Il kebab lo trovi da Tunafish City, un chiosco in piazza Europa a Favignana. Dicono che facciano buonissimo anche il panino col polpo; lo proverò la prossima volta. Le polpette di tonno (ma anche un sacco di altre cose buone) le ho invece scovate in un localino situato nel cuore del mercato di Ortigia. Il contesto non è certo dei più lussuosi, ma checcefrega: il pesce è freschissimo e la cantina è ben fornita. Si cucinano soprattutto piatti di mare, ma si chiama Carnezzeria: la trovi in via Emanuele De Benedictis 29.

Piatti siciliani fantastici

Cous cous di pesce
L’abbiamo preparato a casa decine di volte: piatto semplice e veloce… ennò! Il vero cous cous è in realtà una pietanza estremamente complessa che, come insegna la tradizione berbera, non solo va cucinato con strumenti particolari, ma è frutto di una preparazione molto lunga (svariate ore, per intenderci). Piatto di origine nord africana, il cous cous si presenta in numerose versioni dai sapori diversi a seconda dell’ingrediente predominante: le note forti del montone, quelle più delicate del pesce o, ancora, quelle dolciastre di cannella, uvetta e zafferano. In Sicilia, nel trapanese in particolare, il re della tavola non può che essere il cous cous di pesce. Setacciata nella mafaradda, un grosso vaso di coccio, la semola viene poi versata nella cuscussiera dove, grazie a una lenta cottura a vapore, assorbirà i fumi che salgono da un saporito fumetto di mare, la cui carne andrà poi a completare la pietanza una volta impiattata, spesso insieme a qualche mandorla.

Dove assaggiarlo: la capitale del cous cous è San Vito Lo Capo, dove ogni anno si tiene anche il festival ad esso dedicato. Provalo nel ristorante dell’Hotel Ghibli, in Via Regina Margherita, 80: un luogo raffinato che ha ottenuto diversi riconoscimenti culinari. Chiedi un tavolo nello splendido giardino interno!

Piatti siciliani fantastici

Cassata siciliana, cassata al forno, cassatelle
Il nome è simile ma in realtà, sono tre dolci ben diversi. Cominciamo dal primo (e più celebre): la cassata siciliana è il dolce che sta bene sulla tavola del Gattopardo, un dolce importante, sontuoso, ricco nel gusto e nel profumo. Il suo nome viene dall’arabo Quas’at, il recipiente in cui si mescolava la crema di ricotta e zucchero, che andrà poi assemblata a pan di spagna, frutta candita, marzapane, pepite di cioccolato e ghiaccia reale. Si dice che per fare una buona cassata – tra tempi di riposo e compattamento dei vari ingredienti – siano necessari ben tre giorni! Se un tempo veniva preparata solo per le occasioni speciali, oggi la si trova in qualunque pasticceria, anche in versioni mignon che prendono il nome di cassatine.

La cassata al forno è invece quella che si potrebbe definire l’antenata della moderna cassata: priva di glassa e di fattura molto meno laboriosa, è una torta di frolla dal ripieno di ricotta e cioccolato, che si cuoce tranquillamente in forno.

Le cassatelle (o genovesi o cassatedde o panzerotti o, ancora, ravioli dolci) sono invece gusci di frolla a mezza luna un po’ più grandi di un biscotto, ripieni di crema alla ricotta e ricoperti di zucchero a velo.

Dove assaggiarle: se la cassata è diffusa in tutta la regione, più particolari sono le genovesi di Erice, un borgo medievale in provincia di Trapani. La pasticceria di Maria Grammatico le farcisce infatti di crema pasticcera.

Vini Donnafugata
Ricca di vigneti, la zona di Marsala è sede di numerose cantine storiche che, spesso, affiancano alla degustazione dei vini l’assaggio di alcune specialità del territorio. Noi abbiamo optato per una visita alle cantine di Donnafugata: prima la barriccaia sotterranea, scavata nella roccia di tufo e ottima per mantenere temperatura e umidità, e poi la sala delle botti dove sono esposte tre gigantesche botti storiche (oggi non più in uso) e nella quale avviene il percorso degustativo (5 vini + 5 piatti). Tra le proposte, due vini icona del marchio: il Mille e una Notte del 2017, un rosso complesso proposto in abbinamento con un tonno in sughetto di pomodoro alla menta, e il passito Ben Ryé, assaporato con un cannolo scomposto. Di quest’ultimo ce ne siamo portati a casa due bottiglie!

Dove assaggiarli: la cantina Donnafugata si trova in Via Sebastiano Lipari 18, a Marsala

Gamberi rossi di Mazara
Come dice il nome, la sua particolarità è il colore del suo carapace: un rosso vivo, intenso. Ma ciò che lo rende tanto ricercato sono le sue carni: bianche, compatte e gustosissime. Pescato con la tecnica a strascico, fino a 1000 metri di profondità, l’ammaru russu ha fatto la fortuna di Mazara del Vallo, cittadina dotata di una flotta peschereccia all’avanguardia, specializzata proprio nella pesca di questo crostaceo.
Tra i più pregiati del Mediterraneo, esportato sulle tavole di Dubai e Singapore, il gambero rosso stravolge completamente il gusto (e il costo) di un semplice piatto di pasta, ma dà il meglio di sè quando viene servito crudo o, al più, appena scottato, per non alterare troppo la succosità della sua carne.

Dove assaggiarlo: purchè fresco, il gambero rosso è una garanzia. La foto qui sotto, insieme ad altri crudi, l’ho scattata a Scopello, ma il piatto migliore, anche per accostamenti, è quello che ho assaggiato alla Fenice di Ragusa.

Cubaita
Si tratta di un dolce tipico della zona di Agrigento ed è proprio lì che ne ho sentito parlare per la prima volta. Lorenzo, la nostra guida nella Valle dei Templi, ci ha raccontato come lo faceva la nonna, con tre ingredienti appena: mandorle, miele e sesamo. Quando l’ho assaggiato, deve dire che anche a me si sono sbloccati molti ricordi: l’ho trovato simile a quei croccanti che i carrozzoni vendevano durante le feste di paese, quando si girava con le tasche sempre piene di gettoni per l’autoscontro. Il termine cubaita deriva, ancora una volta, dall’arabo: qubbīyat si potrebbe tradurre con “mandorlato”. Per descriverne la bontà, ti lascio le parole di Camilleri: “La cubaita è semplice e forte, un dolce da guerrieri, lo devi lasciare ammorbidirsi un pochino tra lingua e palato, devi quasi persuaderlo con amorevolezza ad essere mangiato. Ti obbliga a una sua particolare concezione del tempo [..] non si concilia con la fretta. Rende più dolce e sopportabile l’introspezione che non sempre è un esercizio piacevole”.

Dove assaggiarla: purtroppo non ho avuto modo di provarlo in quel di Agrigento, ma ho rimediato a Catania, al mercato della Piscarìa.

Bevande Polara
E niente, se ho sviluppato una dipendenza in due settimane, è sicuramente nei confronti di queste bibite! Chinotto, zenzero e limone, mandarino verde, spuma, limonata e arancia rossa: sapori locali e un po’ retrò, come retrò è la bella etichetta che li rende immediatamente riconoscibili. Da oltre sessant’anni, il marchio Polara produce soft drink di alta qualità con metodi artigianali, riportando sul mercato ricette vintage (chi ha mai provato la spuma?).

Dove assaggiarle: Sebbene Polara sia un’azienda modicana, le sue bibite sono diffuse un po’ in tutta la regione, anche se ho avuto difficoltà a trovarle nel catanese (ma forse sono solo stata sfortunata!).

Scaccia
Forse il più famoso prodotto da forno del ragusano, la scaccia nasce come cibo povero, pasto unico del contadino, da consumare in campagna. Si presenta come un rettangolo di pasta di grano duro molto sottile, ripiegato più volte su sé stesso. Una volta lo si farciva dei prodotti di stagione – melanzane in estate, sciuriddi (cavolfiori) in inverno, ad esempio – mentre oggi le varianti sono più numerose e gustose: pomodoro e cipolla, ricotta e salsiccia, alla norma, agli spinaci, alle patate etc. Consiglio spassionato: provale tutte!

Dove assaggiarla: Non distante dalla chiesa di San Giuseppe, nel cuore di Ragusa Ibla, c’è un’enoteca niente male chiamata Il Barocco che, oltre a vendere prodotti enogastronomici da portarsi a casa, prepara anche taglieri di formaggi, salumi, verdure e, naturalmente, scacce (qui sotto con le Polara).

Cioccolato di Modica
Sabbioso, ruvido, friabilissimo: ha una consistenza e un sapore tutto suo il cioccolato di Modica, realizzato secondo una ricetta antichissima che si dice provenire nientemeno che dagli Atzechi. Diffuso in Europa grazie ai conquistadores, si differenzia dal cioccolato tradizionale per il processo di lavorazione del cacao. Le tavolette che consumiamo abitualmente sono infatti molto lisce, prive di grumi: questa caratteristica è loro conferita dal concaggio, una fase che prevede la fusione della massa di cacao, al fine di renderlo il più ‘scioglievole’ possibile (non a caso, è stata inventata a fine ‘800 dal signor Lindt). Il cioccolato di Modica salta invece questa fase a piè pari: al fine di imitare la lavorazione a freddo delle popolazioni mesoamericane, la massa di cacao è mantenuta a una temperatura non troppo elevata, la quale fa sì che i cristalli di zucchero non si sciolgano del tutto. Ecco perché la sua consistenza è così grezza al palato!

Dove assaggiarlo: un posto speciale è l’Antica Dolceria Bonajuto di Modica, che produce cioccolato sin dal 1880. Le sue tavolette storiche sono due – l’aromatizzata alla cannella e alla vaniglia – ma c’è di che sbizzarrirsi, cioccolato bianco compreso. Oltre alle barrette poi, puoi farti tentare da un cannolo realizzato al momento e da un qualcosa di veramente unico: la birra alle fave di cacao, una scura doppio malto sublime.

Piatti siciliani fantastici

Pasta ch’i sardi
Un grande classico: profumatissimo e intrigante, mette insieme sapori che a prima vista sembrano essere in contrasto tra loro ma che si sposano perfettamente una volta coniugati. La sua preparazione è piuttosto complessa, se non altro per via del gran numero di ingredienti: zafferano, pinoli, uvetta, finocchio selvatico, cipolle, muddica atturrata (ossia mollica ripassata con olio, sale, pepe e parmigiano,  qualche acciuga e sarde fresche. La pasta va lunga, tipo bucatino. Dopo averla preparata a casa un sacco di volte – persino in Angola riuscivo a recuperare il finocchietto – chiedendomi se il sapore fosse quello dell’originale, bhé devo dire che non ci sono andata troppo lontano!

Dove assaggiarla: mi è piaciuta molto quella proposta dal Ristorante Crocifisso di Noto che, nei mesi estivi, sposta i suoi tavoli in un agriturismo di Marianeddi, nel cuore dell’oasi naturale di Vendicari. Immersa nel verde e nei profumi della Sicilia, potrebbe venirti voglia di provare anche un altro primo dai sapori forti: la pasta con la bottarga di tonno, ennesimo piatto squisito!

Caponata 
E’ una pietanza povera e, in quanto tale, soggetta a più varianti. Le più celebri sembrano però essere due: quella trapanese e quella catanese. Alla caponata puoi aggiungere più o meno tutto quello che vuoi – mandorle, peperoni, capperi, cipolle, carciofi e basilico fresco – ma l’importante è mantenere l’ingrediente principale, ossia la melanzana (quella lunga, mi raccomando!) e il condimento agrodolce a base di zucchero e aceto.

Dove assaggiarla: delle tante sperimentate la più gustosa mi è parsa quella del ristorante Rais, nella Balata di Marzamemi: melanzane, tonno, peperoni, cipolla, carote, sedano, uvetta e pinoli.

Piatti siciliani fantastici

Cipollina
In Sicilia c’è un unico posto in cui la troverai ed è Catania. O per lo meno, è qui che regna l’originale: pasta sfoglia, formaggio, pomodoro, prosciutto e tanta cipolla, niente di più, niente di meno. Appartenente alla categoria dello street food, non deve però far paura: è vero che la cipolla è presente in quantità ma, essendo ripassata prima in padella e poi in forno, ti consente comunque di mantenere ottime relazioni sociali 😉

Dove assaggiarla: la Panetteria Pacini è un’istituzione! La trovi in Via Pacini 45 (a Catania, naturalmente).

Granita
Lontana anni luce da qualunque granita si possa assaggiare qui al nord, ben diversa dalla grattachecca romana e persino dalle (già ottime) versioni campane, la granita siciliana non è propriamente un dessert ma è come se lo fosse tanto è buona. Ancora una volta, dobbiamo dire grazie agli arabi: antenato della granita pare infatti essere lo sherbet, una bevanda ghiacciata, densa e cremosa, insaporita da acqua di rose o sciroppo di frutta. E’ proprio questo il principio alla base delle prime granite, il cui ingrediente fondamentale era la neve: raccolta in inverno dai nivaroli sulle pendici dell’Etna e dei monti Iblei, questa veniva poi conservata dentro a grotte di pietra chiamate niviere, dove rimaneva sino ai primi caldi, per poi essere mescolata a spremute di arance o limoni. A rendere unica la granita siciliana è la totale mancanza di cristalli di ghiaccio, da cui la sua consistenza super cremosa.

Mandorla, melone, gelso bianco o nero, anguria, caffè, fichi d’india, pistacchio, mandarino: sono tutte ottime e pronte ad essere gustate in qualunque momento della giornata, colazione compresa. Il mio unico rimpianto? Avere scoperto solo a fine vacanza quanto è buona la granita CON la panna: se il barista te lo chiede, fatti mettere un bel topping!

Dove assaggiarla: sebbene tu possa trovarla praticamente ovunque, è indubbio che alcuni locali la facciano meglio di altri. Ecco la mia top five:
5. Nivera, Scicli (RG): gelateria artigianale che impiega materie prime di alta qualità e che valorizza i prodotti del territorio ibleo: ricotta, fichi, carrube, agrumi e mandorle.
4. Bar Gelateria Oscar, Sciacca (AG): situato in punta a Sciacca, borgo marinaro tra i miei preferiti, Oscar è un baretto per nulla patinato, ma non lasciarti ingannare dall’aspetto! Fiondati su una granita ai gelsi e non te ne pentirai.
3. Cipriani, Acireale (CT): locale storico e centralissimo, prendi una granita ai fichi d’india e siediti a un tavolino proprio di fronte alla Basilica di S. Sebastiano, splendido esempio di barocco siciliano.
2. Caffè Sicilia, Noto (SR): ho fatto colazione qui per tre giorni di fila, ordinando sempre lui, il cappuccino ghiacciato. Che altro non è che un tazzone di granita alla mandorla al quale viene aggiunta una cucchiaiata di granita al caffè. L’ho abbinato a una brioscia col tuppo, così come vuole la tradizione siciliana. Una bomba!
1. Bam Bar, Taormina (ME): è qui che, per me, si fa la granita più buona di Sicilia. Grazie (se così si può dire) al Covid, siamo riusciti a sederci per ben tre volte senza dover fare un briciolo di coda: ai tavolini di maiolica del Bam prendono posto ogni anno clienti di tutto il mondo, celebrità e non e, in tempi non sospetti, ci ha raccontato il proprietario, Rosario Bambara detto “Saretto”, in alta stagione poteva capitare di aspettare anche un’ora o più. Ne vale la pena, però!

Io mi fermo qui. Se sei arrivato in fondo a questa rassegna, complimenti e grazie per la pazienza. Se hai altri suggerimenti gastronomici invece dimmeli qui sotto che me li segno per la prossima volta!

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