Forse, sono i mesi più freddi i migliori per visitare Torino. E lo so che c’è la nebbiolina sul Po e quell’umidità antipatica che ti entra nelle ossa. Però, nel Valentino ci sono i colori delle foglie che scricchiolano sotto i piedi: un po’ di curcuma, un po’ di ruggine, un po’ di mattone. Dietro il monte dei Cappuccini, le vette innevate delle Alpi ti ricordano di tirarti ben su la sciarpa, anche nelle giornate azzurre. E poi, in via Roma, sono appese le stelle. Quelle luminarie che riproducono le costellazioni e che vorrei accese tutto l’anno, mica solo a Natale.
Nel freddo più intenso – tra novembre e febbraio – Torino resta sospesa in un’atmosfera bigia ma avvolgente, le luci delle sue piazze salotto che, appannate dalla nebbia, tremolano fioche. Ed è questo il momento perfetto per scaldarsi la punta del naso e delle dita e, perchè no, il cuore. Sedersi accanto ai caldi funghetti sotto i portici o, meglio ancora, entrare in una delle tante, storiche confetterie della città. Tra tavolini di marmo, specchi, camerieri con la divisa immacolata, poltroncine imbottite e tappezzerie di raso, si lascia la propria carrozza il freddo fuori e si entra nella Belle Époque.
Eleganti e senza tempo, paralleli ai triestini, i caffè torinesi hanno visto scorrere tanta vita, frequentati da intellettuali, artisti, politici ma anche da faccendieri, funzionari o semplici madamine golose, come quelle protagoniste della poesia di Guido Gozzano (leggila qui, è davvero carina). Grata a questi luoghi speciali per aver riscaldato diverse ore buche durante i miei anni universitari, continuo ad apprezzarli tutt’ora (e in ogni stagione dell’anno!). Te ne consiglio alcuni.
Caffè Confetteria Al Bicerin
Piazza della Consolata, 5
Tra i caffè più antichi di Torino, aperto nel 1763, era il prediletto del Conte di Cavour, ma tra i suoi avventori celebri figurano anche Puccini, Nietzche, Dumas, Calvino. Conta appena otto tavolini, arrangiati in una saletta rimasta uguale a com’era nell’800: le boiserie di legno, gli specchi ai muri, l’insegna in vetro dipinto. Nato come bottega di un acquacedrataio – un mestiere andato perduto, quello del venditore di acqua cedrata – è stato poi trasformato in cioccolateria, forse per tentare i fedeli che uscivano da messa: il dehor del locale è infatti vicinissimo alla basilica della Consolata.
Il suo nome è anche la sua specialità: nonostante il bicerin, bevanda torinese per eccellenza, sia oggi disponibile praticamente in ogni bar della città, è proprio qui che è nato e che, scevro da contaminazioni moderne, si continua a servire secondo la ricetta originale.
Inizialmente le varianti del bicerin erano tre: pur e fiur, caffè e crema di latte; pur e barba, caffè e cioccolata; po’ d’ tùt, tutti e tre gli ingredienti. Come guarnizione, una stissa – una goccia – di cioccolata. Col tempo venne a determinarsi la miscela perfetta e, sebbene oggi gli ingredienti non siano più un segreto per nessuno, sono le proporzioni in cui vengono assemblati a fare la differenza, a rendere il bicerin di un locale diverso da quello di un altro. Servito caldo, nel suo apposito bicchierino (il bicerin, appunto), va bevuto così com’è senza mescolarlo, in modo da cominciare con la dolcezza della crema per poi scendere verso il gusto intenso del caffè e poi di nuovo il dolce del cioccolato. Lo puoi anche accompagnare con tutta una serie di dolcini; te ne parlo poco più sotto.
Caffè Gelateria Fiorio
Via Po 8
“Che si dice al Fiorio?” Pare fosse questa la domanda che re Carlo Alberto di Savoia ponesse ai suoi consiglieri ogni mattina. Il Fiorio non era solo un luogo dove si scambiavano opinioni, lui faceva opinione. Noto come ritrovo della nobiltà durante la restaurazione e dell’intellighenzia politica durante il risorgimento, a causa delle sue frequentazioni, il Fiorio era anche conosciuto come ‘caffè dei codini’ o ‘caffè machiavelli’.
A me, però, piace ricordarlo per un altro motivo: fu il primo a sdoganare il cono gelato… per donne. Ti spiego meglio: il cono da passeggio arrivò in Italia (probabilmente dagli Stati Uniti), a inizio ‘900 ma, ahimè, era riservato agli uomini. Vedere una giovane nubile o, peggio, una madre di famiglia leccare un gelato in strada era considerato sconveniente, provocatorio. In una parola, tabù. Con coraggio (o senso degli affari), il bar Fiorio fu il primo a ribellarsi a una simile idiozia: un bel giorno prende a offrire coni alle signore a passeggio per la centralissima via Po, e queste, dinanzi a una tale golosità, non si tirarono certo indietro! Il resto è storia: grazie Fiorio!
Caffè Confetteria Baratti & Milano
Piazza Castello, 29
E’ il mio preferito. Innanzitutto perché puoi sederti in vetrina e, mentre gusti una tazza di cioccolata fumante, buttare l’occhio sulla splendida Galleria Subalpina, quell’angolo di Torino che ricorda un po’ Parigi. E poi gli arredi: tutto specchi e oro, a illuminare e moltiplicare la grandiosità del suo salone. Aperto nel 1875 dai due confettieri da cui prende il nome, Ferdinando Baratti ed Edoardo Milano, divenne in breve tempo il fornitore ufficiale di dolcezze della Casa Reale, con una serie di ricette ancora oggi coperte da riservatezza e custodite nell’Archivio Storico dello stabilimento di Bra.
I mastri cioccolatai di Baratti & Milano hanno un grande merito, quello di avere inventato il cremino. Coi suoi tre strati di delizia piemontese – gianduia, pasta di cioccolato e nocciole (la famosa ‘tonda gentile’, prodotto d’eccellenza delle Langhe) e poi ancora gianduia, il cremino è un piccolo capolavoro, di cui oggi esistono numerose varianti: con i wafer, con il caffè, con i liquori e persino a quattro strati.
E che dire della confetteria! Qui trovi le classiche caramelle dure – quelle con l’incarto a farfalla – in un gran assortimento di sapori, moderni come lo zenzero o un po’ più demodé come il rabarbaro e altre essenza balsamiche; nelle vetrine fano bella mostra di sè anche gelatine di frutta ricoperte di zucchero, more alla liquirizia, babette ripiene di mandorla e crema di latte. Il tempo sembra essersi fermato, e il ricordo vola all’infanzia.
Caffè Mulassano
Piazza Castello, 15
A pochi passi da Baratti, c’è un localino minuscolo, miracolosamente scampato ai bombardamenti della seconda guerra mondiale e, dunque, tale e quale a come era una volta. Lo frequentavano i Savoia ma soprattutto gli artisti, attori e cantanti che si esibivano nel vicino Teatro Regio. Nei suoi 31 metri quadri, il caffè Mulassano ha scritto non soltanto un pezzo di storia torinese ma anche della gastronomia italiana: “Nel 1926, la signora Angela Demichelis Nebiolo, inventò il tramezzino“, recita una targa all’interno del caffè.
Di ritorno dagli USA, i coniugi Nebiolo ebbero infatti l’idea della vita: perfetto per accompagnare l’aperitivo ma anche indicato per un pranzo veloce, il tramezzino spopolò immediatamente. A differenza dei sandwich d’oltre manica a cui si ispirava, la creazione nostrana si serviva di fette di morbido pancarrè – niente pane tostato dunque – mentre per quanto riguarda il ripieno, c’era tutta una tradizione regionale a cui ispirarsi. Agli esordi si chiamava ancora panino, o paninetto: a battezzarlo tramezzino, fu – per chissà quale motivo – Gabriele D’Annunzio che, del caffè, era un cliente abituale.
Oggi come allora, i tramezzini sono il punto di forza di Mulassano; serviti sull’immancabile alzatina in argento, vengono proposti in oltre 40 gusti: al primissimo e più classico burro e acciughe, si affiancano insalata russa o capricciosa, vitello tonnato, aragosta, bagna cauda, peperoni e tonno, gamberi e persino tartufo!
Pepino
Piazza Carignano 8
Insieme a Fiorio, Pepino contribuì a rivoluzionare il mercato del gelato. E’ in questo bar di piazza Carignano che venne ideato quello che oggi conosciamo come Pinguino (o Mottarello). In altre parole, il gelato su stecco. Leggero, facile da maneggiare e per questo adatto anche ai bambini, nel 1939 costava una lira: più o meno quanto un biglietto del cinema. Oggi costa un po’ di più e oltre al tradizionale accostamento vaniglia-cioccolato, Pepino ha introdotto nuovi ripieni, tra cui la violetta!
Di Pepino voglio però raccontarti un’esperienza diversa, quella della merenda reale. Si tratta di una gustosa iniziativa che ricalca i ghiotti rituali della vita di casa Savoia. A una bevanda calda – cioccolata, bicerin o zabaione – l’aristocrazia era solita accompagnare i cosiddetti ‘bagnati’, un piccolo arsenale di biscotti realizzati apposta per essere inzuppati. Le galuperie, ossia le golosità, variano leggermente da un caffè all’altro, ma in linea di massima, sul tuo vassoio potresti trovare: torcetti al burro, paste di meliga, savoiardi, anisini, bicciolani, lingue di gatto, baci di dama, meringhe e garibaldi (biscotti di frolla con uvetta e marmellata di albicocche). A parte, immancabili, i gianduiotti e due tra i miei preferiti: le caramelle cri-cri e i noiset, ossia i nocciolini di Chivasso, una specie di minuscoli amaretti (che consiglio spassionatamente di acquistare in quantità e metterli a cucchiaiate nella Nutella).
Pasticceria Ghigo
Via Po, 52
Vicinissima all’università, Ghigo apre la prima volta le sue porte nel 1870 anche se, fino agli anni 50, è stata una semplice latteria, un caseificio in cui si producevano tomini e altri formaggi. Poi, è diventata il tempio dello zucchero. La sua cioccolata calda è nota per essere una delle migliori di Torino – di quelle che se ci ficchi dentro il cucchiaino, questo rimane bello dritto tanto è densa. A renderla davvero speciale contribuisce la fiocca (neve), panna montata al momento, morbida e leggera. Naturalmente va gustata insieme a qualcos’altro di dolce, chettelodicoaffà. Due o tre marron glacès ad esempio, oppure delle bignole. Non sai cosa sono? In Piemonte sono un must di tutte le feste comandate o, semplicemente, la degna chiusura di un bel pranzo domenicale. Si tratta di bignè di pasta dolce, tondi e piccini: i più piccoli pesano meno di 5 gr l’uno. La glassa colorata che li ricopre indica il contenuto di cui sono gonfi: se è beige, dentro troverai crema alla nocciola, se rosa zabajone, marrone cioccolato, verde pistacchio e così via.
Un’ultima cosa: se vai da Ghigo nel periodo natalizio, non perderti la Nuvola! Di base è un pandoro dall’impasto molto ricco, ma ciò che la rende irresistibile è la sua copertura: avvolta da cima a fondo in uno spesso strato di crema al burro, viene poi immersa in una montagna di zucchero a velo che la rende candida e scioglievolissima. A Torino, tutti la conoscono, tanti la temono; tu non ti curare delle calorie ma mangia e passa: in fondo è un dolce che fa la sua comparsa solo una volta l’anno!
In questo contesto andrebbero citati anche il bellissimo Caffè Torino in Piazza San Carlo, ottimo per un aperitivo diverso dal solito; Stratta, confetteria celebre soprattutto per i suoi bon bon, la bottega di Gobino, rinomata per il cioccolato e il Caffè Elena, dove è stato inventato il Vermouth… ma è difficile elencarli tutti: i caffè e le pasticcerie storiche di Torino si contano a decine. Sicuramente saprai trovare quello che più ti piace!