Meraviglia artistica e archeologica, Orvieto è una delle città più particolari d’Italia. Merito della sua ubicazione, in cima a una rupe di tufo, e del suo passato: etrusca fin dall’VIII secolo a.C., divenne romana, bizantina e longobarda per poi costituirsi libero comune nell’anno Mille. Raggiunse il massimo splendore nel Medioevo ed è a quello splendore che deve la sua sopravvivenza. Fu infatti un colonnello della Luftwaffe tanto religioso quanto amante dell’arte, tale Alfred Lersen, ad avanzare all’avversario la proposta di dichiarare Orvieto ‘città aperta’. Grazie a quel patto, la città venne risparmiata dai bombardamenti e superò quasi indenne la seconda guerra mondiale.
Piccola, ma con tanto da scoprire, ecco cosa vedere a Orvieto in un giorno o poco più.
La città sotterranea
Circolava una storiella a Orvieto, una sorta di leggenda metropolitana che la voleva “tutta vuota sotto”. Si diceva che giù, ben oltre le fondamenta delle case, vi fosse una seconda città fatta di cunicoli e stanze di pietra, in cui il passato si muoveva indisturbato. Negli anni ’70, la conferma. Accadde tutto per caso: frane e friabilità del tufo sono da sempre nemiche degli orvietani ma, in quest’occasione, fu proprio uno smottamento a stimolare la curiosità di un team di speleologi. L’ennesimo cedimento della rupe aveva lasciato intravedere pertugi, cavità. Scava e scava, eccola l’Orvieto sotterranea, un reticolo di circa 1200 tra grotte, silos, cisterne, pozzi, camminamenti e gallerie. Un ipogeo costruito su più livelli, ciascuno da leggere come un libro di storia, ciascuno simbolo di un’età precisa: etrusca, medievale, rinascimentale.
Grazie al progetto Orvieto Underground, oggi tutti possono ammirare questa città sotto la città. Tra i ritrovamenti più singolari, un frantoio medievale con tanto di pressa e mangiatoie per i buoi che azionavano la macina; e numerosissimi colombari, minuscole nicchie realizzate apposta per i piccioni, fonte di cibo particolarmente preziosa in tempi di assedio e tutt’ora presente sui menu.
Il Pozzo di San Patrizio
Molti dei vani ricavati nel sottosuolo avevano la funzione di raccogliere l’acqua piovana. Perfettamente impermeabilizzati con argilla o intonaco, i pozzi più antichi sono stati edificati in epoca etrusca, ma il più spettacolare risale al Rinascimento. Il Pozzo di San Patrizio, così chiamato per la somiglianza al luogo in cui il patrono irlandese amava ritirarsi in preghiera, fu fortemente voluto da papa Clemente VII che, fuggito dal Sacco di Roma, non desiderava certo rimanere sprovvisto d’acqua nel caso di un secondo attacco.
Profondo quasi 60 metri e considerato ancora oggi un capolavoro di ingegneria idraulica, il pozzo consentiva il trasporto dell’acqua grazie a due scale elicoidali. Progettata una per la salita e l’altra per la discesa dei muli, le rampe evitavano che gli animali si incontrassero nel tragitto, ostruendosi così il passaggio a vicenda. Buio? Niente affatto: le 72 finestrelle aperte nella cavità garantivano un’illuminazione più che sufficiente.
Nel pozzo di San Patrizio è oggi possibile scendere: gli scalini da fare sono tanti – circa 260 e, naturalmente, vanno poi risaliti – ma l’esperienza è davvero singolare. Man mano che ci si avvicina al fondo, l’ambiente diventa sempre più freddo e umido e il mondo più lontano; laggiù, immaginare il passato non è difficile! Se lo desideri, a Orvieto puoi anche calarti in un secondo pozzo: quello della Cava, profondo 36 metri.
Il Duomo e la cappella di San Brizio
Simbolo di Orvieto ed eccellenza del gotico, alla sua costruzione si sono dedicati più di 20 artisti per un periodo di oltre tre secoli, indicativamente tra la fine 1200 e la seconda metà del ‘500. Impossibile non restare a bocca aperta davanti alla grandiosità della sua facciata, tutta mosaici e bassorilievi! L’interno è invece più sobrio, quasi spoglio, ma entrarvi vale assolutamente la pena, non fosse che per le due cappelle che impreziosiscono i transetti. A sinistra, la Cappella del Corporale accoglie un reliquiario molto prezioso, per custodire il quale venne edificato il Duomo stesso; si tratta di un lino macchiato del sangue caduto durante la fractio panis – l’atto dello spezzare l’ostia – della miracolosa Messa di Bolsena del 1263.
Nel transetto destro troviamo invece la Cappella di San Brizio, iniziata da Beato Angelico e portata a termine da Luca Signorelli. Da vedere, lo stupendo ciclo di affreschi raffigurante il Giudizio Universale, raccontato in tre grandi sezioni: la prima – caso unico nell’arte italiana – raffigura l’Anticristo mentre predica alla folla. Le sue fattezze, in tutto e per tutto simili a quelle di Gesù, potrebbero trarre in inganno, ma un occhio attento noterà un inquietante particolare: un demone che, posto alla sinistra dell’uomo, gli suggerisce parole all’orecchio.
Dall’Anticristo si passa poi alle immagini di guerra e distruzione del Finimondo e, da ultimo, al Giorno del Giudizio vero e proprio, con l’ascesa al cielo dei giusti e la caduta agli inferi dei peccatori.
La tradizione rinascimentale voleva che l’autore si inserisse nella propria opera con un autoritratto: ebbene, il Signorelli lo fa addirittura due volte. Dapprima si dipinge ai margini dell’affresco insieme a Beato Angelico: in abito nero, sembra guardare gli avvenimenti con distacco e compiacenza, senza mascherare il suo orgoglio per l’opera realizzata. Di tutt’altra natura è la sua seconda comparsa: lo troviamo infatti nelle vesti di un demone blu con tanto di corno in fronte! Sta trascinando via con sé una fanciulla bionda, probabilmente una donna che lo ha ferito profondamente e che, almeno sull’intonaco, egli ha desiderato punire.
Il Labirinto di Adriano
Torniamo nel sottosuolo, per quella che considero una vera e propria chicca. Si tratta di un ritrovamento del tutto casuale ad opera di… un pasticciere! Quando negli anni ’80 il signor Adriano e la moglie Rita decisero di rinnovare la pavimentazione del loro locale, certo non potevano immaginare che i lavori sarebbero proseguiti per oltre un decennio. Tanto durarono infatti le opere di scavo e restauro che, spingendosi circa venti metri sotto terra, riportarono alla luce non uno ma ben tre piani di stanze e corridoi di epoca etrusca: un vero e proprio labirinto, insomma.
Il labirinto di Adriano, visitabile su prenotazione, è oggi un luogo magico che accosta ai reperti più antichi, tra cui un fossile vegetale di 250.000 anni, moderne sculture in tufo raffiguranti sfingi, veneri e satiri ghignanti.
E la pasticceria? Il figlio di Adriano l’ha trasformata in un ristorante di ottimo livello: piatti della tradizione, dolci top e, dopo cena, la discesa nel labirinto. Se mangi qui, la visita è gratuita.
Salire in cima alla Torre del Moro
Saliamo nuovamente in superficie, anzi 50 metri più su! Prima di lasciare Orvieto, vale la pena osservare la città dall’alto, magari in cima alla Torre del Moro, vicino a Piazza del Popolo. Posta esattamente al centro dei quattro quartieri che formano Orvieto, dal suo belvedere puoi ammirare non solo i tetti della città ma anche le verdi colline che caratterizzano i più bei panorami dell’Umbria.