L’aurora boreale tra miti e leggende

Leggende aurora boreale
Aurora Boreale a Kiruna, Lapponia Svedese
Buon auspicio per alcuni popoli, presagio funesto per altri: da tutte le latitudini, i miti più belli.

“Ma sta danzando!!”
Mi ero rifugiata un attimo al caldo. Il fascio verde dell’aurora era nel cielo da un bel po’. Non si muoveva e, così, ne ho approfittato per farmi un caffè. Il gruppo di italiani che faceva la posta in mezzo al lago ghiacciato continuava però imperterrito a scrutare l’orizzonte ed è grazie all’urlo di gioia di una ragazza che mi sono precipitata di nuovo all’aperto. Aveva ragione: l’aurora aveva cominciato a ondeggiare, i movimenti simili a una danza. Pura poesia.

Oggi, dell’aurora boreale gli scienziati ci sanno dire tutto; sfoderano paroloni come tempeste geomagnetiche, flare solari, interazioni con la ionosfera. Ma, nella notte dei tempi, chissà come se la spiegava un vecchio Sami che la vedeva apparire in cielo mentre ritirava le renne nel recinto. Come la raccontava una mamma Inuit ai suoi bambini, cosa vedeva in quelle luci un capo indiano o, agli antipodi, un aborigeno australiano.

Buon auspicio per alcuni, presagio funesto per altri, tutti i popoli che hanno conosciuto l’aurora hanno tessuto intorno ad essa un fitto reticolo di leggende, sebbene, ne sono sicura, la reazione alla sua luce sia sempre stata una sola: restarne incantati.

Da tutte le latitudini, ecco i miti più belli.

La Finlandia e la volpe di fuoco
E’ la leggenda più conosciuta ed è anche la mia preferita. In finlandese, aurora boreale si dice revontulet – letteralmente ‘i fuochi della volpe’ – e ben due sono le credenze legate a questo animale. La prima racconta di una volpe magica molto ambita dai cacciatori; colui che fosse riuscito a catturarla avrebbe vissuto nella ricchezza sino alla morte. La volpe però riusciva sempre a fuggire: oltre che furba, era molto veloce, velocissima, tanto che, all’attrito con la neve, la pelliccia della coda produceva scintille. Queste, salite al cielo, davano origine all’aurora.

La seconda leggenda prende invece le mosse dalla Luna che, resasi conto di non riuscire ad illuminare da sola le lunghe notti scandinave, pensò di chiedere aiuto agli animali della foresta. Un’orsa, un’aquila, un ariete e molti altri accorsero al suo richiamo e vennero trasformati in costellazioni. Anche un volpacchiotto desiderava unirsi al gruppo ma, ahimè, in cielo non c’era più posto. Sconsolato, stava per far ritorno alla tana quando la Luna lo chiamò a sè: aveva in serbo per lui un compito speciale. A differenza dei suoi amici, alla volpe non fu assegnata una porzione del firmamento ma venne lasciata libera di correre. Ogni volta che si muoveva, lasciava dietro di sé una scia di luce così forte da illuminare tutta la regione: era l’aurora.

Un breve filmato d’animazione racconta questo mito, eccolo qui:

I Sami, gli spiriti e le balene
I Sami, le popolazioni autoctone della Lapponia, la chiamano guovssahas. Oltre a indicare l’aurora boreale, questo termine ha altri significati: si può tradurre con ‘luce che si può ascoltare’ ed è anche il nome di uccello, la ghiandaia siberiana, un vivace esemplare dalle piume colorate, già protagonista del folklore nordico. Si diceva infatti che la ghiandaia fosse il custode delle anime dei cacciatori e ucciderne una – per sbaglio o di proposito – era presagio di sventura. Esattamente come l’uccellino, l’aurora boreale è associata agli spiriti dei defunti ed è per questo che, quando si manifesta, il popolo Sami mantiene un contegno rispettoso, intimando ai più piccoli di restare in silenzio: gli spiriti non vanno disturbati in alcun modo.

Ma la Lapponia è grande – si estende su ben quattro stati! – e presso altre tribù Sami troviamo credenze diverse: c’è chi sosteneva che le luci fossero spuma del mare soffiata dalle balene; chi pensava fossero le ferite di coloro che, morti assassinati, continuano a sanguinare anche in cielo e, infine, chi vedeva negli archi disegnati dall’aurora i cancelli di una mitica regione del Nord.

Leggende norrene: l’aurora come ponte tra uomo e dio
Norvegia e Islanda contestualizzano il fenomeno nell’ambito della mitologia vichinga, identificando l’aurora con il riflesso del sole sugli scudi delle Valchirie. Le vergini guerriere venivano mandate sulla Terra da Odino per scegliere gli Einheriar, ossia gli eroi destinati a morire in battaglia per poi continuare le loro gesta nel Valhalla, l’aldilà. La comparsa in cielo dell’aurora indicava quindi che da qualche parte era in corso una guerra e che presto qualcuno sarebbe morto.

Un’altra leggenda – meno sanguinosa – narra invece che Ullr, figliastro di Thor e dio dell’inverno e della caccia, creò l’aurora boreale per illuminare le notti più lunghe dell’anno e che, da essa, siano nate le renne.

Gli animali di Svezia, Danimarca, Estonia (e Cina)
Molti sono i popoli ricorsi a metafore del mondo animale: i pescatori svedesi vedevano nei giochi di luce il riflesso di grandi banchi di aringhe e, dunque, l’auspicio di una pesca abbondante.

La Danimarca narra invece di un gruppo di cigni – animale molto presente in letteratura, basta pensare alla bellissima favola di Andersen – che, volando verso nord, rimase intrappolato in un lago ghiacciato. Secondo questa credenza, le luci dell’aurora sarebbero prodotte dai movimenti delle ali, sbattute ripetutamente nel disperato tentativo di liberarsi. L’Estonia ricorre invece ai cavalli: fieri e bellissimi, trainano in cielo le carrozze degli invitati a un matrimonio celeste, lasciando dietro di sè scie luminose e colorate.

Paese che vai, fauna che trovi: in Cina, l’aurora non poteva che essere associata a uno degli animali simbolo della sua mitologia, il drago. I bagliori che vediamo in cielo sarebbero il suo respiro infuocato.

Gli Inuit e il regno dei morti
I miti tramandati dalle popolazioni Inuit esemplificano molto bene quel senso di meraviglia misto a sgomento che riesce a suscitare l’aurora boreale. A certe latitudini, nei suoi confronti, vi era infatti una sorta di timore reverenziale perchè ritenuta strettamente connessa al mondo dei morti. Gli Inuit canadesi in particolare, ritenevano che l’aurora fosse una sorta di ponte tra dimensioni: secondo la loro mitologia, la terra era un’ampia striscia coperta da una cupola piena di fori (il cielo e le stelle) e, al momento del trapasso, le anime venivano condotte all’aldilà da creature che illuminavano il cammino con fiaccole luminose (l’aurora).

Più curiose e macabre altre leggende che vedevano nelle luci del Nord lo spirito di un defunto intento a tirar calci al teschio di un tricheco o, secondo alcune versioni, l’opposto: un tricheco che si divertiva con un cranio umano.

Gli Inuit della Groenlandia chiamavano invece l’aurora Qiugyat, nome con cui si designavano le anime dei bimbi deceduti alla nascita o di morte violenta: ogni volta che i piccoli danzavano in cielo, ecco apparire l’aurora. E ancora, gli indiani Tlingit dell’Alaska pensavano che le luci fossero il mezzo con cui i loro antenati cercavano di mettersi in contatto con il mondo dei vivi. Ecco perché quando compariva, i cani non smettevano di abbaiare: erano i primi a riconoscerli.

Molteplici erano le reazioni delle singole tribù al manifestarsi del fenomeno: alcune nascondevano i propri figli perché temevano che, se questi avessero puntato il dito al cielo, avrebbero attirato l’attenzione degli spiriti e questi li avrebbero portati via. Altre invece, per scongiurare una disgrazia, brandivano asce e coltelli agitandoli verso il firmamento e, addirittura, urinavano in direzione di esso.

I nativi americani e l’armonia del creato
Ancora diverse sono le leggende diffuse sulle Montagne Rocciose statunitensi. Gli indiani Algonchini, l’insieme di tribù tuttora più popoloso del continente americano, raccontano che il Creatore, dopo aver portato a compimento la Terra, si fosse trasferito nel profondo Nord per riposarsi. Solo e circondato dai ghiacci, è solito accendere un fuoco per ricordare alle sue creature la propria presenza e il proprio affetto; i bagliori di quel falò sono le luci dell’aurora.

Altri nativi raccontano invece che, da qualche parte al nord, vivessero i Manabai’wok, mitica tribù di giganti che, ogni volta che esce a caccia o a pesca, illumina il proprio percorso con le fiaccole. Laddove il cielo brilla, è là che si trovano.

Soltanto gli indiani Fox del Wisconsin si allontanano da questo immaginario così pacifico: nei riflessi dell’aurora vedono infatti i fantasmi dei loro nemici pronti a vendicarsi.

L’aurora australe e la mitologia aborigena
Così come c’è l’aurora boreale, c’è anche quella australe. Si manifesta nei pressi dell’Antartide, arrivando talvolta a raggiungere l’Australia. Secondo gli aborigeni che, come raccontavo qui, hanno un incedibile universo mitologico, i fuochi in cielo sono gli dei che danzano.

L’Europa e i presagi di guerra
L’avvistamento dell’aurora boreale nelle regioni centro-meridionali del nostro continente è ad oggi altamente improbabile. Eppure, non è sempre stato così: nell’antichità, il polo magnetico terrestre era infatti ben più a sud di quello attuale e aurore particolarmente intense potevano verificarsi tanto a Roma quanto ad Atene; ne parlano Plinio il Vecchio, Seneca e Aristotele – che le descrive come “vapori che da terra salgono verso il cielo” – e persino alcune testimonianze redatte tra il 1700 e il 1800.

La rarità di questi accadimenti, così come la tinta in cui si palesavano (quando l’aurora è molto forte tende al rosso), non poteva che destare terrore: del resto, cosa pensare dinnanzi a un cielo che improvvisamente diventava color del sangue? Ecco perché nell’Europa del Sud le aurore erano presagio di guerra e morte.

Leggende aurora boreale

Chiudo questa piccola rassegna con una frase di Emily Dickinson che dice: “A tutti è dovuto il Mattino, ad alcuni la Notte. Solo a pochi eletti la luce dell’Aurora”. Anche se questo verso può assumere significati che nulla hanno a che fare con i fenomeni celesti, mi piace pensare che, per scriverla, la travagliata Emily abbia preso ispirazione proprio dalle luci del Nord, certa che, dal suo Massachusetts, abbia avuto modo di vederle più volte.

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