Il tempo per farlo tutto – la via francese, la più celebre, è lunga circa 800 km – non ce l’avevo. Una vera ragione, spirituale o altro che fosse, nemmeno. “Senza un motivo, sei solo un turista”. “Farne solo un pezzo non ha alcun senso”. “L’ultimo tratto è il più brutto: contenta tu!”. Strano come, intorno a quella che dovrebbe essere un’esperienza molto intima, personale, tanti si sentano in dovere di giudicare, di mettere becco. Strana l’arroganza che ho riscontrato in parecchi forum e gruppi Facebook dedicati, dove alcuni tra i pellegrini che “l’hanno fatto tutto”, invece di offrire supporto e incoraggiamento, perdono il proprio tempo a denigrare o a fare ironia su chi può o desidera percorrere solo parte della rotta.
Inizialmente, lo confesso, questi commenti hanno spento il mio entusiasmo. Poi però ho pensato che se per queste persone il Cammino di Santiago altro non è che motivo di vanto, di esaltazione di sè, bhè, forse del Cammino non hanno poi capito molto. E quindi sono partita: scarponi, racchette, credencial e voglia di vivere un’esperienza nuova. In fin dei conti serve solo questo.
E pazienza se ho coperto appena 170km. Pazienza se sono solo una turista. Questo è stato il mio Cammino: consapevole, introspettivo, faticoso, umido, a tratti spensierato, a tratti malinconico. Di certo unico e irripetibile. In altre parole, mio. Eccolo qui, una foto al giorno.
Il cammino francese inizia sui Pirenei nella cittadina di Saint-Jean-Pied-de-Port e attraversa le regioni di Aragona, Navarra, La Rioja, Castilla y León e Galizia. Abbiamo scelto di cominciare il nostro pellegrinaggio a O Cebreiro, il paese che inaugura l’ultimo tratto, quello gallego.
DÍA 1: ARRIVO A O CEBREIRO
Distanza percorsa: 3km
Situato a circa 1300 metri d’altitudine, O Cebreiro è, a detta di tanti, una delle tappe più suggestive e pittoresche dell’intero percorso. E’ un piccolo mondo di pietra in cui le case si affiancano alle pallozas, bizzarre costruzioni dal tetto in paglia – forse di origine celtica – un tempo dimore di pastori. Nel cuore del paese c’è una chiesa preromanica che conserva un Graal miracoloso: narra la leggenda che, nel 1300, il vino in esso contenuto si trasformò in sangue. E’ proprio qui che facciamo apporre il primo sello (timbro) sulla credencial, il documento che testimonierà il nostro passaggio di tappa in tappa.
Compriamo una conchiglia da legare allo zaino: la concha è il simbolo del pellegrinaggio e nei giorni a seguire la vedremo riprodotta praticamente ovunque. Da una taverna proviene il suono di una chitarra: entriamo per una birra e per assaggiare il famoso queso do cebreiro, che ci servono inondato da un miele dolcissimo. Anche se la nostra avventura comincia domani, per sancirne l’avvio ufficiale oggi facciamo comunque un paio di chilometri fino al “Punto de entrada a Galicia”, dove un’alta stele di pietra. decorata con la croce di Santiago, marca la linea di confine della regione.
La foto: C’è un piccolo colle appena dietro O Cebreiro e, dopo cena, ci siamo saliti. Da lassù, oltre al paese, così piccino da stare in un pugno, si vede un panorama fatto di colline, montagnole, boschi. Ay que luna! – raccolgo scampoli di conversazioni in più lingue e quel che sento è sempre la stessa cosa: con un cielo così limpido, non sembra nemmeno di essere a O Cebreiro. Fino a primavera inoltrata, infatti, la zona è praticamente sempre battuta da pioggia e vento, quando non immersa nella nebbia o addirittura nella neve. Forse proprio a causa dell’inclemenza del tempo, O Cebreiro vanta una lunghissima tradizione di accoglienza per i pellegrini che, sin dal Medioevo, trovavano qui riparo dal freddo e dai lupi.
Un ragazzo sale a piedi nudi su di un tavolo di legno. E’ italiano e, al cellulare, si racconta con la voce rotta dall’emozione. Le sue sensazioni sono quelle condivise da tutti i presenti; in cima a quel colle, davanti a un paesaggio antico, incorrotto – perfetto nella sua semplicità – si sta come sospesi: non esiste covid, non esiste guerra. La mente svuotata, non esiste niente. C’è solo un’atmosfera dolcissima, di pura armonia e gratitudine.
DÍA 2: O’CEBREIRO – TRIACASTELA
Distanza percorsa: 22 km
Ci alziamo presto, in tempo per vedere il cielo passare dal rosa all’oro, all’azzurro. Prima di metterci in marcia saliamo alla cruz de madera, una grande croce che domina il territorio circostante. Nel legno, gli anni hanno aperto svariate fessure che i pellegrini hanno riempito di monetine, desideri e ringraziamenti. Aggiungiamo i nostri centesimi e poi via; seppur non eccessivamente lungo, il tratto odierno non è uno scherzo perché sarà un continuo saliscendi.
Ci supera un ragazzo con dei guantoni da boxe appesi allo zaino: è quello che ieri sera era in piedi sul tavolo. Chissà perché quei guantoni: forse un voto, forse la memoria di un amico. Sentendoci chiacchierare riconosce la lingua e, oltre al consueto buen camino, ci augura Buona Pasqua. Già perché oggi non è una domenica come le altre: mando gli auguri a casa e chiedo notizie del Nama, ospitato dalla mamma. ‘Tutto bene, ha mangiato vitello tonnato, un po’ di bagna cauda, agnolotti del plin e colomba’ – risponde (per chi non lo sapesse, il Nama è il mio labrador).
E’ proprio intorno all’ora di pranzo che arriviamo a Triacastela, la tappa di oggi. Passiamo il resto del pomeriggio a riposare i piedi, seduti a leggere in un prato di tarassachi. Fin da subito è evidente una cosa: lungo il Cammino, il tempo scorre diversamente. 20 km non sono più quindici minuti d’auto ma 5 ore di passi. La giornata viene scandita esclusivamente dai ritmi dettati dal corpo; non c’è frenesia, impegno o fretta. Raccolgo un soffione e lo soffio via. Quando è stata l’ultima volta che l’ho fatto?
La foto: Quella qui sotto è una delle numerose statue dedicate ai pellegrini. Oggi ne abbiamo vista anche un’altra, quella di un viandante in abiti medievali che, sull’Alto di San Roque, sfida il vento. Questa di O Cebreiro è però la mia preferita per due motivi: è l’unica a raffigurare una donna e ha un affaccio stupendo. Esattamente una settimana dopo il nostro passaggio, vengo a sapere che proprio in questo punto si è verificata una forte nevicata: pochi giorni in più e, di questa tavolozza di colori, non avremmo visto che il bianco.
DÍA 3: TRIACASTELA – SARRIA via SAMOS
Distanza percorsa: 25 km
Per arrivare a Sarria, possiamo scegliere tra due vie. La prima attraversa una serie di villaggi medievali, San Xil il più noto; la seconda passa invece attraverso i boschi, allunga il percorso di circa 7km ma consente di fare sosta al monastero di Samos, da molti definito uno dei più belli di Spagna e dunque del Cammino. Pensiamo che, sul totale, non è certo qualche chilometro in più a fare la differenza e così tagliamo tra i castagni, lungo una strada che è un tripudio di verde; ogni tronco, ogni roccia ha il suo rivestimento di muschi e licheni. Dopo la visita al monastero, in un paio d’ore arriviamo a destinazione. Il sole ha lasciato posto al gelo (letteralmente!) e ci rintaniamo in un bar per qualche tapas prima di partecipare alla messa del pellegrino. All’uscita, sul muretto che circonda la chiesa, vediamo raffigurata l’inquietante leggenda della Santa Compaña.
La foto: Fondato nel VI secolo, il monastero di Samos è il più antico monastero abitato di Spagna. Seminascosto nei boschi, si erge come una specie di fortino, sebbene la sua intimità sia stata violata più e più volte da incendi disastrosi, l’ultimo dei quali verificatosi negli anni ’50. E’ un luogo dove regna la pace e la bellezza: di Samos ricorderò la poesia del suo chiostro, con l’irriverente, quasi profana, fontana delle Nereidi; l’intensità degli affreschi che illustrano la regola benedettina, e la simpatia di Frate Lorenzo che, ogni giorno, guida i pellegrini tra i corridoi del suo monastero, dove vive in compagnia di altri sei monaci.
DÍA 4: SARRIA – PORTOMARIN
Distanza percorsa: 22 km
Oggi raggiungeremo un mojon – le pietre miliari che indicano i chilometri mancanti a Santiago – molto particolare, quello dei 100 km. Riesco solo ad immaginare cosa significhi questo traguardo per un pellegrino che abbia cominciato il cammino a Saint-Jean: per noi è chiaramente meno significativo, ma l’emozione di chi vi arriva è contagiosa! In fondo, il cammino è anche questo: condivisione. E così, l’euforia dei due inglesi che abbracciano la pietra, l’emozione di una signora brasiliana che si fa scattare una foto da mandare alla figlia e l’allegria composta di un coreano che si fa un selfie con il segno della vittoria… diventano anche un po’ nostre.
Al chilometro 100 c’è naturalmente il ‘sello del km 100’: forse l’ha inventato proprio il signore che abita lì vicino perché, per apporre il timbro sulla credenziale, bisogna praticamente entrare nel cortile di casa sua. Superati cani e galline, ecco il tavolino con timbro e inchiostro, ma anche banane e mele da portarsi via in cambio di un donativo, un’offerta libera. In canottiera, il signore si affaccia alla finestra, ringrazia e ci augura buen camino.
Appena prima di Portomarin, il cielo si apre e viene giù il mondo: l’acquazzone durerà appena tre minuti di orologio, ma tanto basta per infradiciarci fino alle ossa. Nonostante le pessime previsioni che ci accompagneranno per tutta la settimana, questa sarà però l’unica pioggia che prenderemo. Zuppi, raggiungiamo la nostra pousada, da cui usciremo solo nel tardo pomeriggio per andare a visitare la chiesa-fortezza di San Nicolas e vedere un arcobaleno incredibilmente vivido.
La foto: Questi siamo noi, ma in realtà potrebbe essere qualunque pellegrino. E’ il nostro quarto giorno sulla strada per Santiago e già ci sono persone che cominciamo a riconoscere: un anziano inglese che sembra stare in piedi a malapena (e invece!) che viaggia con la figlia; un tipo che dormiva nella nostra stessa casona e che la notte ho sentito russare forte attraverso le pareti; due amici dall’accento sconosciuto e dall’aspetto quantomeno bizzarro (cappello in stile cowboy, lunghi baffi e capelli bianchi) che, decidiamo, potrebbero essere baschi. Tante persone, tante storie, diverse nazionalità, diversi desideri, diversi i motivi che hanno spinto ciascuno a mettersi in marcia. Eppure tutti i pellegrini sono accomunati dalla stessa forza, dalla stessa tenacia che, ogni mattina, li spinge ad alzarsi e ad andare avanti.
DÍA 5: PORTOMARIN – PALAS DE REI
Distanza percorsa : 25 km
Il tratto odierno non è dei più belli: spesso si procede a bordo strada invece che in mezzo alla vegetazione. La monotonia del paesaggio, il tempo dilatato e l’atto stesso del camminare favoriscono però la riflessione e mi stupisco a pensare a quanto in fretta ci si abitua a tutto, anche a contesti inaspettati. Seguire i mojon è diventato naturale, così come dire buen camino invece di buongiorno. Sono diventati naturali il giallo delle ginestre, il muggito delle mucche, l’odore pungente del letame, le lumache nere, lunghe e spesse come pollici. I piedi ormai vanno da soli, proprio come quando correvano la maratona di New York o si arrampicavano tra i villaggi dell’Himalaya per raggiungere il Campo Base dell’Annapurna. Persino il mio spagnolo sopito da anni è riaffiorato molto velocemente, anche se l’obrigado, retaggio angolano, tende ad uscire ancor prima del gracias.
La foto: Ci si abitua anche a loro, a queste chiesette deliziose e tutte uguali – i muri di pietra, la facciata con le due campane, il piccolo cimitero che spesso sorge nei pressi – e ai tanti cruceiros disseminati lungo la strada, croci di pietra erette in tempi antichi per chiedere protezione e perdono dei peccati.
DÍA 6: PALAS DE REI – ARZUA
Distanza percorsa : 29 km
Nemmeno il Cammino di Santiago è rimasto immune alla pandemia: se prima del 2020 le numerose chiesette di cui parlavo qualche riga più su erano sempre aperte, oggi molte di esse continuano a tenere sbarrato il proprio ingresso. E’ il caso di San Xoán a Furelos, una chiesina in cui mi sarebbe piaciuto entrare per vedere il famoso Cristo de la mano tendida, un crocifisso molto toccante in cui un Gesù parzialmente schiodato dalla croce, allunga con fare compassionevole il braccio verso il pellegrino (eccolo qui).
La nostra marcia prosegue tranquilla e un’unica sorpresa movimenta la giornata: il grosso nido di una cicogna, il lungo becco che spunta prima di spiccare il volo. Un dono inaspettato, per me che prima d’ora non ne avevo mai viste.
Arrivo ad Arzuà con un’idea folle ma subito approvata da mio marito. A Santiago mancano ancora due giorni, due tappe da circa 20km l’una. Le gambe reggono bene, non abbiamo vesciche e quindi pensiamo di coprire l’ultimo tratto in un giorno solo, una mega tappa da 40 chilometri. Le previsioni sono però pessime – come sempre! – e un gran temporale infuria tutta la notte. Prima di andare a letto, scrivo a casa. “Il Nama sta bene, ha appena mangiato il gelato” – mi dice la mamma.
La foto: Uno dei protagonisti del Cammino è lui, il pulpo a la gallega (o polbo á feira). Bollito e successivamente condito con sale grosso, olio e paprica, viene servito su taglieri di legno ed è il piatto principe del menù del pellegrino. Lo si trova praticamente ovunque, ma il più buono si dice sia quello di Melide, una cittadina che abbiamo attraversato proprio oggi. Due le pulperias consigliate: Ezequiel e A Garnacha. Quello qui sotto è della seconda e, in effetti sì, non ha paragoni. Una caña di Estrella de Galicia, una ración de pimientos de padrón e siamo pronti per affrontare gli ultimi chilometri!
DÍA 7: ARZUA – SANTIAGO
Distanza percorsa: 40 km
Diluvia letteralmente fino a 10 minuti prima di metterci in cammino e lo ha fatto per circa 12 ore di fila. Per terra c’è un bel po’ di fango: non è l’ideale per una lunga giornata di marcia, ma poteva andare molto peggio. Attraversando prati, sentieri forestali e boschi di magri eucalipti, arriviamo a Lavacolla, un paese bagnato da un fiumiciattolo in cui i pellegrini usavano lavare corpo e vesti prima di presentarsi dinanzi a San Giacomo. E poi ecco il Monte do Gozo, o Monte della Gioia. E’ il primo, primissimo punto da cui è possibile intravedere le guglie della Cattedrale di Santiago. Eccole là infatti! Ce le indicano le dita di bronzo delle statue di due pellegrini, per sempre immortalati nel loro momento di felicità. 5 km ancora ed ecco il cartello “Santiago de Compostela”. L’eccitazione è ormai alle stelle, ma abbiamo tempo di smorzare il nostro entusiasmo: la periferia di Santiago è più vasta di quanto pensassimo e per arrivare alla cattedrale servono ancora, grossomodo, altri 40 minuti di marcia.
Poi però, ci siamo. Giunta in Praza do Obradoiro, non faccio altro che sedermi a terra, anzi proprio mi sdraio, lo zaino dietro la testa. Chiudo gli occhi, poi guardo il cielo più che la cattedrale. Penso che anche oggi gliel’abbiamo fatta alla pioggia, penso che non sta bene stare coricati in mezzo a una piazza, penso che ho una fame da lupi ma non ho voglia di polpo. Penso a tante, tantissime cose pur di evitarne una in particolare: siamo arrivati a destinazione e il nostro viaggio è giunto al termine.
Mando giù il groppo in gola e, finalmente, mi siedo. Intorno a noi altri pellegrini si abbracciano, respirano a fondo, qualcuno ha gli occhi lucidi, tanti sorridono con orgoglio. Saranno questi volti, queste espressioni a plasmare il ricordo che più di altri si instaurerà nel mio cuore. Ora ci aspetta l’ultimo timbro sulla credencial, il ritiro della compostela, la messa del pellegrino delle 19.30 e – avremo fortuna – il rito del botafumeiro. Ma prima di tutto ciò, è arrivato il momento: è tempo di entrare nella casa del Señor Santiago.
La foto: E’ il Monte do Gozo la foto di oggi. Perché forse è questo l’istante più bello, quando Santiago la vedi ma a Santiago non sei ancora. Quando dai fondo a quella riserva di adrenalina, a quello spirito peregrino che hai accumulato dentro di te, nella testa, nel cuore e nei piedi. Vicino ai due viandanti di bronzo qualcuno ha lasciato un cappello, qualcun altro un paio di scarponi. Manca ormai pochissimo e adesso che il cerchio sta per chiudersi mi rendo conto quanto sia vera quella frase che dice “el camino es la meta”.
DÍA 8: SANTIAGO DE COMPOSTELA
Gli ultimi due giorni in Galizia scivolano via in fretta. Oggi ci godiamo la città in tutta calma, relativamente riposati. Entriamo nuovamente in cattedrale, questa volta varcando la Porta Santa, eccezionalmente aperta per l’anno giacobeo, e rendiamo omaggio all’Apostolo una seconda volta. Causa covid, ahimè, non è più possibile abbracciare la sua statua: peccato, l’avrei fatto volentieri. Osserviamo il meraviglioso Portico della Gloria, da poco restaurato e dunque pieno di colori e, estasiati dal volo del botafumeiro di ieri, tentiamo ancora la sorte. Alla messa delle 12, il pesante turibolo viene issato di nuovo e l’incenso profumato riempie la navata regalandoci l’ennesimo, indimenticabile momento.
Esaurito il lato religioso, Santiago si colora di Spagna, di allegria in strada e di musica popolare, quella delle tunas.
La foto: Una volta in cattedrale, per dare il benvenuto ai fedeli, è tradizione cominciare la messa del pellegrino con un elenco, in cui l’officiante cita la nazionalità e il punto di partenza delle persone giunte a Santiago nelle ultime 24 ore. Oggi, c’erano anche gli italiani provenienti da O Cebreiro.
DÍA 9: CABO FINISTERRE E LA COSTA DE LA MORTE
E ora? Sembrerà strano ma… si continua. Perchè il punto di arrivo del pellegrino è l’oceano. Il kilometro zero, l’ultimo mojon, si trova poco distante dal faro di Cabo Finisterre, laddove l’Atlantico lambisce le spiagge più estreme della Galizia e dove un tempo si pensava finisse il mondo. E’ qui che i pellegrini facevano un falò delle loro vesti consunte ed è qui che, sul bagnasciuga, cercavano una conchiglia da portare a casa, a dimostrazione del pellegrinaggio appena compiuto. E qui – dopo aver affittato una macchina! – arriviamo anche noi: al faro, all’ultimo cruceiro, alla statua dello scarpone abbandonato su di uno scoglio.
La foto: Dopo tanti mojon, ecco l’ultimo. Ma Finisterre è un posto un po’ troppo malinconico per i nostri gusti; non vogliamo andarcene così. Proseguiamo quindi ancora un po’ lungo la Costa della Morte, bella e struggente: arriviamo nel paese di Muxia dove, a ridosso dell’oceano, si trova una chiesetta costruita per omaggiare la Madonna, giunta sin qui a bordo di una barca di pietra. Dentro la chiesa della Virgen de la Barca si sente il profumo e il rumore del mare e penso che sì, è questo il posto giusto per terminare la nostra avventura.
Tutto, tre quarti, un pezzo, un pezzettino. Il chilometraggio è solo un numero e nulla toglie al valore del cammino: tutto dipende da come lo vivi. Se lo vuoi fare e ti senti sufficientemente in forma, parti. Parti anche se non hai un motivo perchè, probabilmente, il motivo lo troverai camminando. E se non lo troverai non importa: avrai comunque un’esperienza in più – speciale e insostituibile – da custodire dentro di te.
Proprio in questi giorni ho iniziato a leggere (per me e per Gin) *il cammino di Santiago* di Paulo Coelho. E lo leggiamo con molto interesse. Abbiamo amici che lo hanno fatto e, in altre situazioni, entrambe lo avremmo organizzato. Ma la vita ha deciso altrimenti. Quindi molte grazie per questo post che sembra trasportarci la’, Pellegrini invisibili, ma molto partecipi.
Grazie ancora, di tutto. Fra l’altro ci fai spesso compagnia. 🤗
Non l’ho mai letto, devo recuperarlo! È molto filosofico, in pieno stile Coelho? Ah, lo scorso fine settimana vi ho mandato quel pacchettino, spero arrivi presto! 🙂
Grazie per il pacchettino. Ti faremo sapere. Siamo solo al secondo capitolo di Coelho, ma si presenta filosofico. Decisamente sì. Ciao.
Arrivato. Grazie di tutto ma soprattutto del pensiero. Gin vuole scriverti, il che richiede più tempo. Ma una lettera ti arriverà. Ciao.
Evviva poste italiane che ha fatto in fretta! Attendo con piacere 😊