Elegante, raffinata, nobile. Ma anche mitica, segreta, lucente. Sono tanti gli aggettivi che ben aderiscono a Siracusa, ma Cicerone, maestro della parola, usa il più semplice: bella. Parla di Siracusa come della “più bella delle città greche”.
Oggi tutta nostra, con questo post ti porto in giro per il suo centro storico. Che poi è un’isola, quella di Ortigia. Anzi, u’scogghiu, come lo chiamano i suoi abitanti, perché non è mica grande, giusto un chilometro quadro. Lo percorreremo nello spazio e nel tempo, a piedi dopo aver lasciato l’auto a ridosso dei due ponti – Umbertino e Santa Lucia – che uniscono la terra ferma alla città vecchia.
Ortigia pagana
Ma torniamo a Cicerone e alla sua polis ‘greca’: fondata dai Corinzi nel 734 a.C., Siracusa divenne in pochissimi anni la più grande città del mondo antico. Una delle primissime tappe del nostro itinerario è il Tempio di Apollo, il tempio dorico più antico di Sicilia. Il suo perimetro è ben visibile, così come le basi di numerose colonne e le tracce di una porta. Come altri famosi templi siciliani subì nel corso della storia diversi rimaneggiamenti: trasformato in chiesa bizantina, divenne poi moschea, chiesa normanna e, sotto il dominio spagnolo, parte integrante di una caserma; insomma, una fortuna vederlo ancora in piedi ai giorni nostri.
E se c’è Apollo, non può mancare la sua gemella Diana/ Artemide. Protettrice di Ortigia in epoca greca, fu in suo onore che, a inizio ‘900, venne realizzata una fontana monumentale, con tanto di tritoni e cavalli marini. La trovi non troppo distante dal tempio del fratello, in piazza Archimede.
Sì, è proprio quell‘Archimede: il più grande matematico, scienziato e inventore dell’epoca classica. Nativo di Siracusa, è con lui che la città scrive un altro pezzo della sua incredibile storia. Archimede ebbe infatti un ruolo di primo piano durante la seconda guerra punica (218-202 a.C), quando ideò speciali macchine da guerra che difesero la città dall’assedio romano. Famosissimi i suoi specchi ustori: enormi lenti paraboliche capaci di ‘raccogliere’ la luce del sole e convogliarla su di un punto ben preciso. Dove? Sulle navi nemiche in avvicinamento che, così, ardevano come tizzoni.
Superiamo svariati negozi di artigianato locale. Ascoltiamo il silenzioso grido di terracotta di Polifemi accecati; incrociamo lo sguardo con eleganti teste di moro in ceramica, smaltate nell’espressione che il povero turco doveva avere appena prima che la sua amata lo decollasse. E poi…
Ortigia ebraica
…le strade diventano sempre più piccole, Ortigia un labirinto. Il salto temporale è tangibile: siamo entrati nella Giudecca, l’antico quartiere ebraico. In questo approssimativo quadrilatero, delimitato a est dal mare, vissero gli ebrei fino alla fine del 1400, quando venne dato loro un ultimatum: lasciare l’isola o convertirsi. Alcuni, i cosiddetti marranos, abbracciarono il cristianesimo, ma tanti scelsero l’esilio; del loro passaggio resta oggi un tessuto viario fatto di case basse e strette e vicoli ombrosi che si intrecciano come fili di un gomitolo. La sinagoga non c’è più; probabilmente, sui suoi resti venne costruita una chiesa cristiana, quella di San Filippo Apostolo forse, oppure la vicina San Giovannello, in piazza del Precursore. Parzialmente crollata, quest’ultima è un piccolo gioiello: come il Convento do Carmo a Lisbona e Holyrood Abbey a Edimburgo, fa parte di quegli edifici di culto che hanno per tetto il cielo, con la differenza che quella di San Giovanni è consacrata e vengono tutt’ora officiate le messe.
Avanziamo. “Teatro dei Pupi” – dice un’insegna. Duecento metri dopo, il museo. Squisitamente siciliano, quello del puparo è un mestiere che, andato quasi totalmente perduto nel secondo dopoguerra, viene oggi mantenuto in vita da posticini deliziosi come questo. Nato nella prima metà del XIX secolo, il teatro dei pupi si diffuse con successo grazie a tre scuole, quella di Palermo, di Catania e di Siracusa. Artigiani a tutto tondo, esperti nella fabbricazione, intaglio e pittura di marionette e oggetti di scena, i pupari portavano alla ribalta mirabolanti avventure cavalleresche che, una dopo l’altra, tenevano incollato il pubblico al pari di una moderna serie tv. Il museo di Siracusa espone la storia e le opere dei fratelli Vaccaro: nelle sue salette trovi teatrini, pupi di latta e di cartapesta. Trovi Pinocchio, cavalieri in armature luccicanti, scimpanzé, inquietanti pagliacci e persino una schiera di puffi. Ci sono stoffe da cucire, teste, gambe e capelli in attesa di essere attaccati a un corpo. E c’è una tradizione affascinante, da non lasciar morire nel modo più assoluto.
Ortigia cristiana
Fuori dal groviglio della Giudecca, lo scenario muta di nuovo. I colori diventano sempre più chiari, Siracusa si illumina, diventa accecante: è il sole che scherza con la giuggiulena, l’arenaria bianca di cui è fatta è la città, rendendola ancor più splendente. Siamo in Piazza Duomo, quintessenza – per me, turista – della Sicilia immaginifica, quella senza tempo, quella che cercavo. Su di essa si affacciano le colonne greche del Duomo, i tavolini tondi dei caffè, i balconi in ferro battuto delle residenze patrizie, i capricci barocchi di una fila di edifici di pregio. Perché Piazza Duomo è lunga, lunghissima ed è stranamente chiusa per essere una piazza.
Lontana dall’idea di foro, per cornice e conformazione rassomiglia più a un palcoscenico, a una passerella; ed è questa l’idea con cui, nei primi anni 2000, giocò Giuseppe Tornatore. E’ proprio in questa piazza che la sua Malena/Monica Bellucci, oggetto di desiderio di ogni uomo e di invidia di ogni donna, cammina – o meglio, sfila – sotto lo sguardo e i commenti degli astanti ed è seduta a questi tavolini che, i capelli rossi e una sigaretta tra le labbra, comincia la sua tragica parabola discendente. Immensamente amaro e latore di una Sicilia stereotipata forse all’estremo, lo ritengo un film stupendo. Ti lascio il trailer, dove vedi anche Piazza Duomo: rende sicuramente meglio delle mie foto.
E mentre Santa Lucia, il volto di una bambina, osserva la sua città dal prospetto della cattedrale, veniamo alla storia cristiana di Ortigia. E’ qui che, nel I secolo d.C., venne fondata la prima chiesa cattolica d’occidente ed è qui che sbarcò San Paolo, come riferito negli Atti degli Apostoli: “Approdammo a Siracusa, dove rimanemmo tre giorni”. E, naturalmente, è a Siracusa che nacque Lucia, patrona della città. Protettrice della vista per via dell’etimologia latina del suo nome, lux (luce), non è invece mai stato riconosciuto ufficialmente l’episodio che vede il suo martirio legato alla cavatura degli occhi. Si festeggia il 13 dicembre – il giorno più corto che ci sia, come dice la tradizione popolare – con una splendida processione in suo onore: il prezioso simulacro argenteo che la raffigura, celato in Duomo il resto dell’anno, viene portato in corteo per le vie di Siracusa mostrandosi così a decine di migliaia di fedeli.
Colgo l’occasione per segnalarti altri due luoghi noti per il culto della santa: la graziosa chiesetta di Santa Lucia alla Badia, sempre in piazza, a pochi metri dal duomo (foto sotto), e la chiesa di Santa Lucia al Sepolcro, dove la giovane venne martirizzata e originariamente tumulata. In questa chiesa, che si trova fuori dai circuiti turistici nel quartiere Borgata, è tra l’altro custodito il celebre “Seppellimento di Santa Lucia“, tela dipinta dal Caravaggio nel 1608 durante il suo soggiorno siciliano (la vedi qui). Per completezza, va detto che le spoglie mortali della santa sono però custodite a Venezia.
E finalmente, il Duomo. E’ qualcosa di sensazionale, un vero crocevia di culture! Guardiamolo prima da fuori: la sua facciata è barocca, dotata di quei riccioli rococò tipici della vicina Val di Noto, mentre sui lati è ben visibile un’ossatura greca, dorica, quella di un tempio eretto per Atena nel 480 a.C.. Antichi capitelli e colonne si insinuano così tra le mura e, sposandosi con il nuovo, danno vita a un’architettura forse bizzarra, ma unica e bellissima. Se all’esterno dominano i fasti del barocco, all’interno osserviamo invece forme più sobrie, retaggio della spiritualità medievale: veniamo catapultati in un’atmosfera austera e solenne, dove però proseguono i giochi del tempo. Guardandoci intorno vediamo mosaici normanni, crocifissi bizantini e di nuovo loro, le colonne greche, alte e possenti ai lati del portale d’ingresso e incorporate nei muri perimetrali. Uno spettacolo vero.
Ortigia mitica
Da Piazza Duomo scendiamo ora lungo via Picherali; in pochi minuti arriviamo a un altro dei luoghi simbolo di Ortigia, la fonte Aretusa. Ninfa bellissima, di Aretusa si innamorò Alfeo, figlio del dio Oceano, che la osservò mentre faceva il bagno nuda. Spaventata, Aretusa si rifugiò sull’isola di Ortigia, dove Artemide, per proteggerla, la trasformò in fonte. In aiuto del figlio ebbro d’amore, interviene però Oceano, che decide di trasformarlo in un fiume sotterraneo: dal Peloponneso, in Grecia, Alfeo percorrerà così tutto il Mar Ionio e giungerà infine a Siracusa, dove si fonderà una volta e per sempre con la sua amata.
Al di là di questo mito discutibile – spiacente per chi vede romanticismo ovunque ma io leggo solo l’eterna condanna a un amore non corrisposto – la fonte Aretusa è un’interessantissima piscina naturale. Alimentata da una polla d’acqua dolce (l’insopportabile Alfeo?), sgorga a pochi metri dal mare e, come vedi nella foto in basso, ospita una pianta acquatica molto particolare, il papiro: proprio quello del Nilo. Siracusa è infatti l’unico luogo al di fuori dell’Egitto dove questa specie germoglia spontaneamente.
Noi nel frattempo siamo quasi al capolinea. Non ci resta che percorrere il lungomare e mettere fine al nostro peregrinare con l’arrivo – come nelle favole – a un castello, quello di Maniace. Edificato per volere di Federico II, si trova proprio in punta ad Ortigia, su quel lembo di terra che, sempre più sottile, finisce per smarrirsi in acqua. Il sole è ormai calato e l’isola assume nuovi colori: dal bianco passa al rosa, all’arancio, al dorato. Le ombre si allungano per poi perdersi nella notte, quando la luna sbiancherà nuovamente le forme del barocco regalando loro un pallido candore.
Tra le città siciliane che ho visto, Siracusa è decisamente la mia preferita.
Qual è la tua?
Ciao Cris!
Anche per me Ortigia vince su tutte le (splendide!) città siciliane … ha un fascino unico.
Ogni volta che ci torno ne resto incantata!
Ma in effetti… il mito di Aretusa mi irrira sempre.
La ragazza per salvarsi da uno stupro deve addirittura essere trasformata in fonte… e ciononostante quel *@&#% di Alfeo l’avrà, in un modo o nell’altro… non c’è nulla di romantico, solo prevaricazione.
Ma i miti descrivevano spesso la realtà, e in fondo sono purtroppo ancora attuali, talvolta!
Bellissimo articolo, Cris!
Ciao Silvia, come stai? :))
Ohhh, finalmente qualcuno che la pensa così! Mi è capitato spesso di leggere articoli che descrivono il mito come “una bellissima storia d’amore” e io: 🤨🙄😒
Ma dove?!?
Ti auguro una buona estate!
Eh Cris, vogliamo parlare di quegli articoli in cui si leggono frasi del tipo:”nel timore di perderla, uccide la moglie per troppo amore”…?!? 😱
La mentalità è sovente ancora parecchio maschilista e pure piuttosto indietro… 🙄
Ti mando un grande abbraccio dal frescolino delle Azzorre, buonissima estate anche a te! 😊
Ma wow!!! Qui stiamo a morì! 🥵🥵🥵