I villaggi galleggianti del Tonle Sap

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Sul lago Tonle Sap, Cambogia
Vivere a colori sulle sponde del più grande lago della Cambogia

Ma che cosa sono?
Ne abbiamo viste a decine: vendute lungo la strada, l’odore del fumo che entra in macchina, sembrano corte canne di bambù annerite. Ancor prima di risponderci, Saban ferma la macchina e ci invita ad assaggiarne una; si chiamano kralan e sono dolci cambogiani. Il bambù c’è, ma non è che l’involucro: al suo interno è stato spinto un composto di riso, fagioli neri e latte di cocco, il tutto messo poi ad arrostire sul fuoco. Una volta pronto, il bambù verrà sbucciato, rivelando un boccone dolce e appiccicoso dal retrogusto affumicato: da provare sicuramente!

– E non è la cosa più strana che vedrete oggi!, sorride Saban. Lasciati i templi di Angkor, stiamo ora viaggiando in direzione di una serie di villaggi dai nomi quasi impronunciabili. Kompong Khleang, Chong Khneas e Kompong Phluk sorgono a ridosso del Tonle Sap, noto semplicemente come il Grande Lago, il più esteso del Paese.

I nuclei abitati costruiti sulle sue sponde sono circa 150 e sono a dir poco bizzarri: alcuni si presentano come agglomerati di palafitte, altri sono invece insediamenti galleggianti – di case, scuole, negozi e templi – pronti a spostarsi (letteralmente) a seconda della stagione.

La portata d’acqua del Tonle Sap varia infatti durante l’anno; riporta Wikipedia che, ingrossato dalle piogge e dal suo immissario principale, il Mekong, “la superficie del lago passa da 2500–3000 km² (stagione secca) a 10000–20000 km² (stagione monsonica), mentre la sua profondità aumenta da 2–3 m fino a un massimo di 14 m”.

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Al momento siamo nel periodo secco e riusciamo a camminare per un buon tratto su quell’unica, lunga strada che unisce i villaggi. Ai lati, una sequenza di palafitte e, appena dietro, il lago. Nel mezzo, la quotidianità: abitazioni modeste abbellite da vasi di fiori, motorini su cui si va anche in tre, bimbi che ti scrutano e, appena incroci il loro sguardo divertito, fuggono via. Non tutti però hanno tempo da perdere o da dedicare al gioco; tanti di loro sono riuniti in capannelli, la schiena rivolta alla strada. Avvicinandoci vediamo cosa li tiene occupati: una bimbetta ha in mano un coltellaccio e con la precisione e la sveltezza che regala solo una rodata manualità, taglia via la testa di un pesciolino argenteo. Come lei fanno gli altri sette, otto suoi compagni, mozzano teste e fanno due mucchi: scarti e non. Più avanti, altri mettono i pesci a seccare. C’è anche una donna che li cuoce, accovacciata davanti a una griglia con la carbonella accesa. Perché quello del Tonle Sap sarà anche un ecosistema capriccioso ma, per fortuna, non è avaro: durante i mesi di piena le sue acque diventano l’habitat ideale per la riproduzione di pesci e gamberi, la cui pesca e conservazione è il fulcro dell’economia locale.

Salpiamo su di una barca a motore per spingerci un po’ più in là. Al timone c’è un ragazzino che, ci assicurano, ha raggiunto l’età necessaria per guidare (ma ho i miei dubbi). Da questa prospettiva vediamo meglio le case-palafitta: innalzate fino a sei metri sopra il livello del lago, con quelle lunghe gambe sembrano voler imitare gli uccelli palustri, aironi e altri trampolieri che abitano questo angolo di Cambogia.

Il villaggio in cui sbarchiamo è molto diverso dal precedente; fitti canneti e un’acqua alta e marrone contribuiscono a dare l’impressione di un luogo malsano, disastrato. Eppure si tratta solo di un’altra quotidianità: ritroviamo i bambini, pronti a offrire il loro aiuto o impegnati a giocare, le tinozze trasformate in bastimenti. Ai balconi, riecco i vasi di fiori e numerosi panni stesi ad asciugare in una tacita sfida all’umidità della zona. E ancora, galline, nasse, frutta che qualcuno ha portato qui da un mercato vicino. Le case azzurre, i tetti rossi, le barche variopinte che i più piccoli legano al molo sovrastano la tinta olivastra del Tonle Sap: anche qui si vive a colori. Ci fermiamo a prendere un caffè; alle pareti del locale-palafitta, foto di matrimoni, di giovani vestiti nei loro abiti più belli. Accanto al nostro tavolo è stata tesa un’amaca: culla un bimbo di pochi mesi che, incurante del rumore degli scafi che solcano il lago, dorme dolcissimo e pacifico.

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