Durante le ultime festività natalizie sono tornata a Londra per qualche giorno. Passando davanti al camioncino azzurro che vedi qui sopra, mi è venuta in mente la volta in cui ho chiesto a Russell – un collega così British da condividere persino la pseudo balbuzie di Hugh Grant – qual era secondo lui il vero ‘national food’ del Paese. Argomento delicato perché, nell’immaginario collettivo, la cucina inglese è tra le peggiori in Europa. Eppure, come sempre, non riesco a non spezzare una lancia a favore della mia adorata Inghilterra. Ecco cinque esperienze da fare a Londra per rivalutare la cucina inglese (e la risposta di Russell).
English Breakfast da Wolseley
E mi raccomando che sia una full English Breakfast, ossia completa! La vera colazione inglese, sostanziosa e proteica, è infatti tassativamente composta da: uova (scrambled o fritte, io amo le normalissime sunny side up); salsicce (semplici salsicce di suino, non troppo speziate); back bacon (magro e affumicato, è ricavato dalla schiena del maiale e risulta meno croccante rispetto a quello ottenuto dalla pancia); pomodori appena passati in padella e conditi con sale e pepe; black pudding (un salamino nero simile al nostro sanguinaccio); funghi (a seconda delle dimensioni, uno o più Portobello Mushrooms grigliati o saltati) e baked beans (cannellini cotti in una densa salsina a base di pomodoro, aceto e zucchero, esattamente come quelli della famosissima marca Heinz). Il tutto è poi accompagnato da fette di pane tostato, burro, the, caffè e/o succo d’arancia.
Se vuoi consumare una English Breakfast in una cornice d’eccezione, vai a The Wolseley, grandioso caffè art deco del quartiere Mayfair. Ospitato nell’edificio che, tra il 1927 e il 1999 fu sede della Barclays Bank, a due passi dal celebre Hotel Ritz, The Wolseley propone anche colazioni più tradizionali, egg benedict e porridge ad esempio, e piatti meno noti ma sempre British come il kedgeree e l’Arnold Bennet omelette, entrambi a base di merluzzo. Non farti intimorire dal grandeur della sala: in realtà il locale è molto easy, perfetto anche per un the delle cinque.
Cibo indiano nell’East End
“Il curry”, ha risposto Russell senza indugio. British humour? Niente affatto. Oggi, nella sola Londra ci sono più ristoranti indiani di quanti ve ne siano a Delhi e Mumbai messi insieme e si stima che in praticamente tutti i centri abitati del Regno Unito vi sia almeno una curry house. Sono dati che possono sorprendere ma in fondo non più di tanto se pensiamo alla Gran Bretagna come East India Company: gli inglesi che lavoravano in pianta stabile nel sub-continente indiano rientravano infatti in patria con un nuovo senso del gusto; da lì, l’esigenza di introdurre nei menu piatti più speziati che, opportunatamente modificati per incontrare il palato dell’inglese medio, diventarono il curry che oggi conosciamo.
Dove assaggiare il curry più buono? Naturalmente nell’East End: Brick Lane in particolare, meta di ondate migratorie da India, Pakistan e soprattutto Bangladesh, è un susseguirsi di ristoranti etnici che le hanno valso il soprannome di ‘Curry Mile’. Se sei di fretta, puoi limitarti a spizzicare qualcosa al mercato domenicale – un vero tripudio di profumi! – mentre se hai più tempo, potresti pensare di dedicare qualche ora a un food tour che ti farà conoscere il quartiere da un punto di vista culinario e non. Grazie alla nostra guida, abbiamo scovato posticini eccellenti che ci hanno catapultato per un attimo fuori Londra (il nostro tavolo era spesso l’unico a parlare inglese!) e assaggiato piatti gustosi: tra gli altri, speziatissimi kebab di agnello, paneer tikka, kala chana (ceci neri) e dolci come gulab jamun, rasgulla e mango lassi.
Sunday Roast per riscaldare la domenica
Molto più di un semplice arrosto, il Sunday Roast è un piatto molto laborioso che prevede ben tre o addirittura quattro tipi di carne: agnello, manzo, maiale e tacchino. Prima rosolata, la carne va poi cotta in forno con tempi e temperature tali da ottenere il caratteristico cuore pink, ossia rosato ma non al sangue.
Fungono da contorno diversi tuberi arrostiti, di solito patate, carote e pastinaca (parsnip), ma volendo anche cavolfiori e broccoli. L’importante è che non manchi lo Yorkshire Pudding, pastella che, gonfiandosi in forno come un soufflè, si sgonfia non appena ne esce lasciando al proprio interno una cavità (lo vedi bene nella foto qui sotto, insieme al roast beef). Ciambella senza buco, lo Yorkshire Pudding è quindi pronto ad accogliere i succhi della carne e un ultimo, imprescindibile elemento del piatto: il gravy, una salsa densa e marroncina, preparata con brodo, fondo di cottura ed erbe aromatiche. Nelle versioni più ricche del Sunday Roast, a seconda del tipo di carne, potresti trovare anche mele cotte, salse alla menta, mirtilli o horseradish, quest’ultima a base di rafano, dunque più piccante delle altre.
Perfetto per una giornata di pioggia o una di quelle gelide ma assolate domeniche londinesi (splendide e affatto rare!), il Sunday Roast è un pasto che scalda il cuore e parla di quei pranzi in famiglia che, spesso e per forza di cose, oggi non ci sono più.
Afternoon tea da Fortnum & Mason
Un’istituzione da quasi due secoli, il rito dell’afternoon tea sembra essere nato grazie al languorino pomeridiano della settima Duchessa di Bedford, nel 1840.
Ma in cosa consiste il rituale? Una teiera fumante che profuma dell’infuso che hai scelto e una serie di piccole delizie da gustare tra una chiacchiera e l’altra. Il companatico viene di solito presentato sulla classica alzatina a tre piani: in basso trovi i finger sandwich, piccoli tramezzini ripieni di pollo, uova, maionese, cured ham, trota… insomma, i classici filling britannici. Il secondo livello è il mio preferito: quello dedicato a scones – caldi, appena sfornati! – composta (spesso di fragole) e clotted cream, una panna ottenuta da latte non pastorizzato, di una consistenza molto simile al burro (ne mangerei a cucchiaiate). Infine, al terzo livello trovi la pâtisserie, dolcini al cucchiaio e fette di torta, come la famosa Battenberg, sponge cake tipica dell’ora del the. A richiesta, è possibile aggiungere anche un bicchiere di champagne (in caso non l’avessi capito, tieniti leggera a pranzo).
A Londra le tea room si contano ormai a decine, pronte a rispondere a tutte le tasche ed esigenze: localini minuscoli nascosti in un mew, pomposi saloni all’interno di hotel cinque stelle o mall di lusso, salotti della nonna con porcellane e pareti confetto, spazi di design ai piani alti di un grattacielo e persino afternoon tea-bus che, ai sedili, aggiungono i tavolini e abbinano al the un tour della città. Personalmente però, il top resta sempre il Diamond Jubilee Salon di Fortnum&Mason, raffinato mall al 181 di Piccadilly Street, dove il rituale, a cui ha preso parte anche la Regina Elisabetta, si consuma sin dal 1926. Durante la mia ultima visita a Londra ho però scoperto un posto altrettanto carino: the Library at County Hall (foto sotto). Situata, proprio di fronte a Westminster, si tratta dell’antica libreria (ci sono ancora i volumi sugli scaffali!) di quello che fu il London County Council, sciolto negli anni ’80 dalla Thatcher. Il marchio di fabbrica di questa sala da the sono le mini mousse al cioccolato a forma di Big Ben: l’originale, invece, lo puoi vedere affacciandoti a una delle finestre della sala.
Fish&Chips in un pub storico
Confesso che era questa la risposta che mi aspettavo da Russell. E confesso anche che, sedermi davanti a un gran filetto di merluzzo dorato, mi riempie sempre di pura gioia (sono una persona semplice)! Dunque, dicevamo: si prende questo filetto di merluzzo atlantico, lo si immerge in una pastella arricchita con la birra (beer-battered!) e lo si tuffa nell’olio bollente finchè non diventa biondo e croccante. Lo si serve poi con un contorno di salsa tartara, piselli sgranati o mushy (ossia in purè) e chips. Una curiosità: le patate vanno fritte almeno due volte, se non tre! Una prima frittura a temperatura non troppo elevata serve infatti per ammorbidirle all’interno, mentre una seconda donerà loro la necessaria croccantezza. Una pint di birra (o cider se preferisci) e basta, non chiedo altro.
Anzi sì. Anche l’ambiente fa la sua parte. Il Fish&Chips va gustato in un vecchio pub dai sedili in legno, di quelli un po’ bui, col pavimento scricchiolante e, magari, una storia da raccontare. Una storia di fantasmi, come The Grenadier, in zona Belgravia, o di avventori illustri come The Goat Tavern, su Kensigton High Street (foto sotto). Amen!
E poi potrei parlarti di sheperd’s pie e cornish pasty, della bontà del Christmas e dello sticky toffee pudding, di formaggi ingiustamente snobbati come il Cheddar, di comfort food come il bangers and mash, della Marmite… Insomma, la cucina inglese non è quella che racconta lo studente in Erasmus o il turista che ha passato i suoi quattro giorni a Londra a cercare una pasta al dente: ha una storia e un’identità ben definita e, a saperla apprezzare, regala grandi sorprese. Dalle una chance! 😉
grazie Chris per sposare anche tu la nostra idea di cucina britannica. Giusto appunto per le feste anche noi siamo tornati oltre Manica e, se pur in territorio Irlandese, abbiamo potuto constatare quanto poi così pessima non sia… anzi!
Esatto, è luogo comune che non ci si preoccupa di smentire! 🙂