Il merluzzo, l’oro delle Lofoten

Pesca merluzzo Lofoten
Dall'epoca vichinga ai giorni nostri, una tradizione divenuta pilastro dell'economia locale

Nelle isole Lofoten, l’oro non si estrae: si pesca. Folkloristica per il visitatore, pilastro dell’economia per il residente, la pesca del merluzzo è una cosa seria e ancor di più lo è la produzione dello stoccafisso (tørrfisk), alimento IGP al pari del Crudo di Parma o dello Champagne. L’originale, il più pregiato, proviene solo da qui.

Lo Skrei: miracolo d’inverno
Nelle acque norvegesi vivono due tipologie di merluzzo: quello costiero e quello artico. Mentre il primo ha un’esistenza stanziale, ben più interessante nonché fulcro dell’industria ittica norvegese, è invece il merluzzo artico, selvaggio e vagabondo. Skrei significa infatti viaggiatore: ogni anno, questo pesce lascia il gelido Mare di Barents alla volta delle Lofoten dove, tra febbraio e aprile, trova le condizioni perfette per riprodursi. E’ dunque in questo periodo che i pescherecci sono particolarmente attivi: per vederli all’opera, puoi prendere parte alle uscite organizzate da svariate imprese ittiche, oppure, come noi, puoi limitarti a osservare l’arrivo delle barche in porto, (ad esempio nella bella cittadina di Henningsvaer che vale senza dubbio una sosta).

Ma torniamo allo skrei: storicamente definito ‘il miracolo norvegese’, in quanto la sua presenza ha reso vivibili anche angoli così estremi della nazione, si tratta di un pesce molto ricercato dagli chef per la raffinatezza delle sue carni. La lunga traversata marittima consente infatti a questa specie di sviluppare non solo dimensioni notevoli (fino a 2 metri per 55 kg), ma anche e soprattutto una carne più soda, magra e bianca rispetto al merluzzo tradizionale. Sottoposto a rigidi controlli di qualità – solo il 5-10% del pescato sarà certificato col marchio ufficiale – lo skrei andrà poi consumato freschissimo.

L’odore dei soldi
Gustare questo piatto è sicuramente un buon motivo per visitare le Lofoten in inverno, ma non il solo: in questa stagione, avrai anche modo di vedere le caratteristiche hjell cariche di pesce. Presenti praticamente in ogni villaggio, le hjell sono grosse rastrelliere in legno su cui il merluzzo viene appeso ad essiccare. Le più scenografiche sono quelle che trovi a Svolvær: triangolari, alte come i tetti di una casa, puoi anche camminarci all’interno se riesci a reggere le esalazioni del pesce. Ma non storcere il naso: quello che senti è, secondo un adagio locale, l’odore dei soldi.

Di primo acchito fanno un po’ impressione, le hjell. Negli occhi spenti delle creature appese, nel mare che ruggisce alle loro spalle fomentato dal vento, c’è qualcosa di primitivo, di ancestrale. Non a caso, si dice che l’odierno metodo di essicazione si discosti ben poco da quello utilizzato dai Vichinghi che, di stoccafisso, erano grandi consumatori.

Il merluzzo artico viene eviscerato immediatamente dopo la pesca: il corpo, tagliato a metà, si lega in coppia dalle code, mentre le teste vengono appese a mazzi. L’aria di mare farà poi il resto e, in un paio di settimane, garantirà al pesce una salagione completamente naturale. E’ importante non lasciare i merluzzi all’aperto più del dovuto: temperature troppo basse potrebbero portare al congelamento, troppo alte alla proliferazione di batteri. Una volta pronto, il tørrfisk verrà vagliato dal naso di un vrakere, ‘sniffatore’ professionista che lo classificherà in base ai sentori (le tipologie di stoccafisso sono almeno 20!).

In tavola
Estremamente nutriente, ricco di vitamine, proteine e sali di ferro, il merluzzo arriva finalmente in tavola e, alle Lofoten, non c’è ristorante che ne sia sprovvisto. Ho assaggiato un ottimo skrei al burro accompagnato da alghe artiche (altro alimento onnipresente nella dieta isolana) e, sempre di skrei, un sushi freschissimo, seduta sotto un enorme lampadario di – indovina un po’ – stoccafissi (roba da far concorrenza al famigerato arbol de bacalau angolano che, ogni Natale, faceva la sua comparsa nei centri commerciali).

Ho anche provato le prelibatezze locali: le torsketunger, ossia le lingue di merluzzo (foto grande sotto). Molto pregiate, si cucinano impanate e fritte e, sì, sono effettivamente buonissime! Alquanto curiosa è l’arte del tungeskjæring, letteralmente dello strappare la lingua. Affidato a bambini e ragazzi, questo compito è in realtà molto remunerativo: a suon di lingue di pesce, c’è chi si è messo da parte addirittura i soldi per l’università!

E la lingua non è l’unica parte ‘non convenzionale’ a comparire in tavola: uova e fegato vengono impiegati per preparare il mølje, tipica pietanza invernale norvegese; per realizzare caviale e produrre il tanto detestato olio di fegato, celebre ricostituente a base di omega 3. Delle teste è grande acquirente la Nigeria, che le utilizza per la preparazione del piatto nazionale; mentre il ‘latte’ (ossia lo sperma) viene venduto in Asia. Le parti più dure diventano infine snack per cani, croccanti (e puzzolenti) al punto giusto: il Nama ha ovviamente apprezzato!

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