Se ami l’architettura, il buon cibo e quelle atmosfere calde e accoglienti che solo i paesi scandinavi riescono a ricreare alla perfezione, allora Copenhagen è il posto che fa per te. Aggiungici un pizzico di magia, un debole per le favole, et voilà, avrai la tua nuova città preferita. Nel mio caso non è stato proprio così: il colpo di fulmine non è scattato, ma della capitale danese ho comunque apprezzato diversi aspetti. In questo post, sei cose che mi sono piaciute tanto e una che, invece, proprio no.
#1. Nyhavn (perchè colora l’inverno)
Un luogo pieno di vita, dove l’atmosfera dei bar, i colori caldi delle case, i dondolii delle vecchie barche in legno hanno il potere di trasformare i lunghi inverni danesi in qualcosa di estremamente piacevole, confortevole. O, come si dice qui, hygge. Nyhavn (foto sopra) significa porto nuovo ma in realtà si tratta del porto vecchio di Copenhagen. Costruito verso la fine del 1600, è sempre stato una delle zone più vive e caratteristiche della città, anche se per motivi diversi; in passato, al pari di tante altre zone portuali, era infatti un luogo piuttosto malfamato, dove i marinai andavano in cerca di alcool e donne. L’area è stata riqualificata solo a partire dagli anni ’80 del secolo scorso.
Proprio a Nyhavn, nel 1800 visse uno dei danesi più illustri della storia, Hans Christian Andersen, che prese casa al civico 20, poi al 67 e infine al 18. A questo numero, trovi oggi un negozio che, insieme ai soliti souvenir, propone svariati articoli dedicati alle sue favole: ci sono libri illustrati davvero carini, se ti piace il genere! Oltre alla Sirenetta, ti ricordo che Andersen è stato anche il papà della Piccola Fiammiferaia, del Brutto Anatroccolo, di Elisa e dei suoi Cigni Selvatici, del Baule Volante, di Pollicina, del Soldatino di Stagno e molti altri!
#2. Il parco di Superkilen (per i valori che trasmette)
Tutte le città hanno il classico ‘brutto’ quartiere. Quello che figura regolarmente sui giornali nelle pagine di cronaca, quello delle case popolari, quello in cui spesso si trovano a convivere – e non sempre pacificamente – più culture diverse. Quel quartiere, a Copenhagen si chiama(va) Nørrebro e somali, bosniaci, pakistani e turchi sono solo alcune delle oltre cinquanta etnie che lo animano. A lungo ghettizzato, Nørrebro è attualmente una meta giovane, ricca di bar e locali, trendy tanto per i danesi quanto per i turisti. E il merito è anche un po’ di Superkilen.
La bellezza di Superkilen risiede in primis nell’idea che ha portato alla sua realizzazione: il fatto che la multiculturalità sia qualcosa da celebrare, non da stigmatizzare. Era il 2008 e, attraverso i media, tre gruppi artistici – i danesi BIG e Superflex e i tedeschi di Topotek1 – hanno domandato agli abitanti di Nørrebro cosa avrebbero voluto trovare in un nuovo spazio urbano. Le risposte sono state le più varie: panchine brasiliane, ciliegi giapponesi, porta bici finlandesi, insegne al neon cinesi, una fontana a forma di stella di David e così via.
Detto fatto! Inaugurato nel 2012, Superkilen è oggi un ampio parco collettivo, strutturato in tre zone: la Piazza Rossa, coperta da un asfalto rosa, rosso e arancio; il Mercato Nero, solcato da linee bianche su manto scuro, sinuose e dinamiche; e infine il Parco Verde, un’area caratterizzata da prati, aiuole e… un grosso toro spagnolo identico a quello che vedi qui. In questo contesto, tutte le richieste sono state esaudite: ciascun residente ha trovato il proprio riferimento etnico.
Il quartiere di Nørrebro è relativamente periferico ma ben servito dalla metro. Lo puoi raggiungere in pochi minuti scendendo alla fermata Nørrebros Runddel.
#3. Gli smørrebrød (per la loro accessibilità)
La Danimarca offre uno scenario gastronomico estremamente interessante. Nella sola Copenhagen, oltre a numerosi locali stellati, si trovano infatti alcuni tra i più famosi ristoranti del mondo: Noma, Geranium e The Alchemist, tanto per fare qualche nome. Ma se prenotare in questi ultimi risulta un’impresa – non solo per i prezzi esorbitanti, ma perché i tavoli disponibili sono solitamente sold-out in pochi minuti – non disperare: gli smørrebrød sono accessibili a tutti!
Piatto nazionale per eccellenza, smørrebrød significa letteralmente pane imburrato e, di base, non è altro che questo: una scura fetta di pane di segale, solitamente ricoperta da uno strato di burro. Il bello è quello che ci sta sopra! Aringhe in salamoia, salmone, avocado, insalata di pollo, gamberi freschissimi, roastbeef, chutney di barbabietole, hummus, cipolle fritte, uova, curry, maionese, formaggi, anguilla, patè… insomma, pensa a qualcosa di commestibile e probabilmente starà facendo bella mostra di sé su di uno smørrebrød! Ah, non dimenticare di gustare questo piatto alla maniera danese, ossia accompagnato da uno shot di Snap, una sorta di acquavite alle erbe o fruttata. Sulla scelta di quest’ultima fatti consigliare: ogni smørrebrød (o quasi) ha una Snap che meglio gli si addice.
A Copenhagen troverai gli smørrebrød praticamente ovunque. Io li ho provati al mercato coperto di Torvehallerne (un luogo splendido per gli amanti del food che ti consiglio di visitare a prescindere!) e al ristorante Selma, che offre proposte un po’ più ricercate, nonchè un percorso di degustazione. Sia Torvehallerne sia Selma sono a due passi dalla fermata metro di Nørreport.
#4. Lo skyline di design (perché anche le città vanno arredate)
Da ormai diversi anni la Scandinavia si è affermata per la qualità del suo design, tanto da dare vita a uno stile tutto suo che, per l’appunto, viene definito ‘scandinavo’: semplice, pulito e funzionale. ‘Arredata’ da architetti e urbanisti di grido, Copenahagen vanta una serie di edifici iconici che, nelle loro linee moderne e minimal, fanno da contraltare a costruzioni più classiche e pompose come la Marmorkirken, la chiesa intitolata a San Federico, o al Palazzo di Amalienborg, sede della famiglia reale.
L’Opera House, il centro polifunzionale BLOX, il Black Diamond (quest’ultimo – foto sotto – è il nome dato alla Biblioteca Reale per via della sua struttura spigolosa e delle lastre affumicate che la rivestono) sono solo alcuni degli edifici più celebri ma ti invito a trovarne tanti altri: girando per la città scoprirai palazzi meno noti ma altrettanto singolari, come le vorticanti Axel Towers, ad esempio.
Per avere una prospettiva diversa dello skyline di Copenhagen, fai un giro in barca lungo i suoi canali: puoi salpare dal Porto di Nyhavn.
#5. La Sirenetta (per la sua delicatezza)
Di tutti i pareri che ho letto/ sentito, ce ne fosse stato uno positivo. No! Sulla povera sirenetta bronzea il turista riversa tutto il suo astio: piccola, insignificante, ha uno sfondo orrendo e – la mia preferita – “per vederla bisogna camminare troppo” (e sia mai!). Ma in fondo, al viaggiatore non attribuisco troppe colpe. Perché il responsabile di cotanta delusione è lui, il creatore di false aspettative per eccellenza: Walt Disney. La Sirenetta di Andersen – che manco si chiama Ariel ma semplicemente ‘Sirenetta’ (Den Lille Havfrue) – non è una vivace fanciulla dai capelli rossi che usa la forchetta per pettinarsi. E’ una creatura struggente e delicata e la sua è una delle favole più tristi di sempre. Stretto un patto con la strega dei mari, la giovane cede la sua voce in cambio di un paio di gambe, condannandosi però a una vita di silenzio e dolore: per lei, abituata a essere trasportata dalle onde, ogni passo è un martirio. Ah, ma c’è l’amore! E no, perché Andersen non è Disney e il bel principe, alla fine, sposerà un’altra.
La scultura di Copenhagen, relegata in un’area portuale lontana dal chiasso e dai colori di Nyhavn, esprime però tanta dolcezza. Vicina alla terra ma rivolta al mare, è una figura malinconica e solitaria, proprio come doveva essere la muta vita in superficie immaginata dal suo creatore. Degna di nota la scelta di scolpire la fanciulla nel momento di massima sofferenza, quello in cui la coda sta per trasformarsi in gambe, le forme di entrambi gli arti visibili nel bronzo. E’ vero che l’opera è piccola (qualcosa come un metro e 20) ma è proprio questa sua discrezione ad essermi piaciuta: un gran sirenone, raggiante e sorridente, l’avrei trovato sicuramente appropriato in un parco divertimenti americano, molto meno sulla promenade di Langelinie.
Il fatto che la maggior parte dei turisti a Copenhagen sembri avere problemi di deambulazione mi fa impazzire! Dalla fermata della metropolitana di Østerport la Sirenetta dista appena quindici minuti a piedi, mentre dal porto di Nyhavn la si raggiunge con una passeggiata di neanche mezz’ora.
#6. Copenhill (perché è un’idea pazza ma green)
Alle piste da sci artificiali, il mondo non è nuovo: l’esempio più eclatante è forse lo Ski Dubai, che vede una discesa innevata srotolarsi nel cuore del deserto. Ancor più stravagante, e soprattutto sostenibile, ho trovato quella di Copenhagen. Inaugurata nel 2019, Copenhill è una collina artificiale costruita sopra un moderno centro di gestione dei rifiuti: alle spalle delle piste, svetta infatti un fumoso inceneritore (!). Efficientissimo, il termovalorizzatore non solo ha un rendimento energetico del 107%, ma è divenuto un polo sportivo a tutti gli effetti: oltre a tre piste da sci di diversa difficoltà – tutte in plastica riciclabile -, ci sono anche la parete di arrampicata più alta del mondo (85metri) e un sentiero escursionistico che si snoda lungo la collina. Non mancano poi negozi per il noleggio di sci e snowboard, né una caffetteria per l’afterski. Se vuoi metterti alla prova, qui trovi prezzi e foto delle piste (quelle scattate coi droni sono spettacolari e danno l’idea della grandezza del progetto!)
Copenhill si trova nel quartiere periferico di Amager Bakke. Non ci sono metropolitane nei pressi, ma la puoi raggiungere con il bus 2A: scendi alla fermata Lynetten, prosegui a piedi per poco meno di un quarto d’ora ed eccoti a destinazione! Se non hai tempo o voglia di spingerti fin qui, avrai sicuramente modo di osservare Copenhill da lontano: divenuta un punto di riferimento nello skyline di Copenhagen, la puoi vedere ad esempio anche dal molo di Ofelia Beach o dalla cima della Rundetårn, la torre tonda che si erge nel centro storico.
… e non mi è piaciuta Christiania
Città dentro la città, Freetown Christiania è stata creata da una piccola comunità di persone – hippie, squatter e anarchici – che, nel 1971, decisero di occupare il territorio su cui sorgeva una base miliare caduta in disuso dopo la seconda guerra mondiale. Abbattuti i vecchi edifici, ne costruirono di nuovi e diedero vita a un esperimento sociale che perdura tutt’ora. Christiania, che attualmente conta circa 1000 abitanti, è uno stato autoproclamato a tutti gli effetti e, tolte le spese di acqua, luce e gas, è completamente indipendente dal regno di Danimarca (e dall’Unione Europea: uscendo dal quartiere, un’arcata in legno avvisa “you are now entering the EU”). La città ha una cassa comune, una propria assemblea governativa, scuole, poste, cinema, bar e… regole. Poteva forse quella che (almeno agli inizi) era una comunità hippie, non legalizzare la droga leggera? Se in tutta la Danimarca la compravendita di hashish e marijuana è proibita, a Christiania troverai invece un’intera strada dedicata: lungo Pusher Street (il cosiddetto quartiere a luci verdi), si allinea una fila di chioschetti stupefacenti, nel vero senso della parola.
Un luogo perfetto dunque? Forse una volta. Ormai gli anni ’70 e gli ideali che li hanno caratterizzati sono tramontati da un pezzo e quella dimensione bohémienne è divenuta tutt’altro. Le case alla stregua di baracche non trasmettono il messaggio di una vita semplice, ma trasandata. Nelle aree verdi incolte, nella ferraglia abbandonata nei giardini o nell’immondizia per strada, non c’è alcuna espressione di libertà ma solo di incuria. I murales, le bancarelle di bigiotteria o di manufatti artigianali non hanno nulla di artistico, nulla che invogli a fermarsi. Cosa resta allora? Restano famigliole in vacanza che osservano pezzi di fumo al pari di magneti per il frigorifero (‘mamma cosa sono?’); restano manichini calvi a cui qualcuno ha infilato un fiore dietro l’orecchio e una canna tra le dita; resta un cartonato in cui inserire la propria faccia sotto l’hashtag #pusheroftheday nel tentativo di fare i simpatici. Prima di partire mi ero immaginata Christiania come un posto turistico, ma la verità è che non è nemmeno questo: è solo un luogo squallido. Utopia divenuta distopia, si dice che il governo stia cercando ormai da tempo di disfarsene e la cosa non stupisce. Qualcuno ne sentirà la mancanza?
La città libera di Christiania si trova a pochi passi dalla fermata metropolitana di Christianshavn. Lungo la via principale del quartiere, Pusher Street, è proibito fare fotografie (ed è facile immaginare il perché). A Christiania, non è inoltre consentito circolare in automobile, parlare al cellulare e… correre (!).
E tu sei mai stata a Copenhagen? Cosa ne pensi?