C’è un detto che dice che nel Sud Est Asiatico tutto quello che si muove si mangia: bhè, non siamo troppo lontani dalla realtà. Discutibili, ripugnanti, talvolta immorali, ecco una serie di cibi improponibili, in un’escalation dal meno peggio al non classificabile.
A te che hai lo stomaco forte, buona lettura.
#1: Durian
Originario della Malesia ma diffuso in tutto il Sud Est Asiatico, il suo nome significa ‘frutto spinoso’ ed è famoso per essere il frutto più puzzolente del mondo. Così tanto che, in alcuni Paesi, vige il divieto di portarlo in hotel, in taxi e sui mezzi pubblici. Difficile descriverne l’odore; tra le immagini più calzanti opterei per un mix di cipolla fritta, formaggio stagionato e frutta eccessivamente matura, praticamente marcia. Ma c’è anche chi lo accosta ai calzini sporchi. Una volta superata la questione olfattiva, la polpa si rivela però morbida e pastosa, quasi burrosa. C’è gente che ne va completamente pazza! Io l’ho acquistato in una bancarella in Cambogia (qui sotto insieme ai tamarindi) e me lo sono fatta tagliare a pezzi: l’ho mangiato senza problemi, ma c’è da dire che esistono diversi tipi di durian (alcuni più puzzolenti degli altri) e che l’odore cambia molto a seconda della fase di maturazione. La prossima volta, cercherò di fare di peggio, promesso.
#2: Kopi Luwak
In qualità di secondo esportatore di caffè al mondo, il Vietnam ha sviluppato nei secoli una cultura della tazzina tutta sua, dando vita a varie sperimentazioni. Ti ho già parlato qui del delizioso caffè all’uovo; ora ti invito invece a gustare il kopi luwak, il caffè più pregiato del Paese. Prodotto in quantità limitate, il kopi luwak si ottiene con una tecnica molto, ehm, singolare. Si prepara infatti utilizzando bacche di caffè precedentemente ingerite e poi defecate dallo zibetto, un piccolo mammifero simile alla donnola. Questo procedimento pare regalare al caffè un apprezzatissimo gusto dolciastro. L’avrei provato senza remore ma il prezzo è esorbitante: offerto come presente a dignitari e capi di stato, il kopi luwak autentico è costosissimo (fino a 1300$ al kg)!
In tante caffetterie vietnamite troverai però il cà phê chồn, tradotto in inglese come weasel coffe (caffè donnola). E’ decisamente più accessibile ma, stando alla nostra guida, poco ha a che fare con l’originale, dunque ho lasciato perdere. Anche perchè un caffè di simile fattura l’avevo già assaggiato, omaggio di mio marito a seguito di una breve trasferta a Giacarta (i regali, quelli belli).
#3: Vermi
Se capiti ad Hanoi negli ultimi mesi dell’anno, potresti scovare vere e proprie prelibatezze stagionali. Gironzolando per i mercati locali, ci siamo imbattuti in vasche strapiene di vermi brulicanti (che fortunelli eh?). Si tratta dei rươi, larve amanti delle zone umide e sabbiose (le risaie del nord del paese sono dunque perfette), raccolti in tardo autunno quando sono belli grassi. Nonostante l’aspetto non certo invitante, i rươi sono protagonisti di piatti gustosi quali involtini, sughi e le celebri chả rươi, una specie di frittelle preparate unendo ai vermi battuto d’uovo, macinato di maiale, aneto e limone. Cucinate sul momento, le ho assaggiate calde calde: bhè, non sono affatto male se non stai a pensare a cosa c’è dentro!
#4: Insetti
Appena fuori Angkor Wat, mi sono fermata a guardare un quadretto esposto in una bancarella di souvenir. Sotto vetro, una serie di coleotteri, uno scorpione, un ragno gigante. “Quelli li mangiamo tutti!” – dice la guida Saban, “Vi farò assaggiare qualcosa”. Speravo si fosse dimenticato della promessa e invece, prima di andare in aeroporto, la strada già buia, ferma l’auto presso una venditrice ambulante. Davanti a lei grossi vassoi, pieni di un qualcosa di nero, marrone e rosso. Il rosso è presto detto: peperoncino. C’è anche un po’ di verde, qualche erba aromatica sicuramente, e dei pezzetti d’aglio. La massa scura, la puoi indovinare: insetti.
Nello specifico, grilli, bachi da seta e cavallette fritti. Uno snack a poco prezzo, parte del quotidiano cambogiano così come per noi può esserlo un pacchetto di patatine o un pugno di arachidi tostate. Saban si gode la scena: avrà visto le smorfie di centinaia di turisti, ma sono certa che ogni volta la cosa gli strappa un sorriso. Vado? Vado. Prima il grillo. Inaspettatamente croccante, non è male. Poi il baco. Non è malaccio neanche lui, anche se il fatto che scoppi sotto i denti – plop! – fa un po’ impressione. La cavalletta non ce la posso fare: è decisamente troppo grande. Peccato perché era la migliore dei tre, secondo il marito.
Se fossimo rimasti più tempo, avremmo avuto modo di assaggiare altre specialità della casa, come le formiche rosse, saltate con fettine di manzo e aromatizzate con lo zenzero, o le tarantole fritte (dicono che si sentano i peli delle zampette sulla lingua). Che dire, saranno pure gustosi ma, proprio come nel caso dei vermi, è ben difficile superare il blocco mentale dato dal loro aspetto!
NB: La mia audacia culinaria si ferma al baco da seta. Procedere oltre sarebbe stato non solo stomachevole ma, temo, rischioso per la salute. Ti racconto però cos’ho visto!
#5: Nidi di rondine
Niente a che fare con la pasta fresca romagnola: questi sono nidi veri, di rondine vera. O meglio, di salangana vera, un volatile che alla rondine somiglia parecchio. Frequentatore abituale di grotte scure e profonde, è proprio lì che questo uccelletto ama fare il proprio nido con le preziose secrezioni della sua saliva. E preziose è proprio la parola giusta: sembra infatti che abbia grandi proprietà nutritive e antiossidanti ed è forse per questo che i nidi vengono venduti a peso d’oro (fino a 8.000 € – hai letto bene – al kg!). Come si preparano? Intanto vanno sanificati, ripuliti cioè di piume, uova, escrementi etc.; dopodiché vengono fatti bollire con spezie e verdure. Il risultato è una zuppa dalla consistenza gommosa, simile al muco, sostengono gli estimatori. Questa gourmandise è d’origine cinese, ma si è diffusa con successo in tutto il sud est asiatico, dove le salangane vengono anche allevate, onde evitare pericolose scalate sulla roccia. Se la vuoi provare, visti i prezzi, occhio alle truffe!
#6: Spiedini vari
Ah, gli spiedini! Pollo, maiale, un pezzetto di peperone e… no, siamo in Asia, mica alla grigliata di Pasquetta! Nella bella Hoi An, la sera, illuminati dalle romantiche luci delle lanterne, fanno capolino loro: i banchetti di carne alla griglia. Dico ‘carne’ perché c’era un po’ la qualunque, dalle ranocchie (che una volta infilzate assumono le inquietanti sembianze di minuscoli omini con tanto di coscette) a imprecisati uccellini con ali, becco e tutto. Grazie a Dio non ho visto il celebre serpente d’acqua che, cotto allo spiedo, dicono sappia di pollo.
#7: Prahok
Dietro questo nome breve e apparentemente innocuo, si nascondono chili e chili di salsa di pesce. Pesce fermentato. Tipico della Cambogia, il prahok fa bella mostra di sé dentro bidoni, bacinelle, secchi e secchielli in ogni mercato locale, circondato da un odore pungente e un bell’alone di mosche. Viene utilizzato principalmente come condimento di zuppe e riso – secondo Saban è l’equivalente dei nostri dadi – dunque, è probabile che l’abbia assaggiato a mia insaputa. Se oggi lo si fa cuocere, in tempi peggiori veniva mangiato anche così, al naturale: la fermentazione era un modo come un altro per conservare il pesce. La frollatura si considera ultimata dopo appena venti giorni, trascorsi i quali il prahok è pronto all’uso. Tuttavia, per ottenere gusti più decisi, lo si può lasciare macerare fino a tre anni (!). Se nei mercati l’aspetto è tutt’altro che invitante, presumo il gusto non sia poi da disprezzare (insomma, non potrà mica essere peggio dell’hakarl, lo squalo fermentato islandese?).
#8: Vino di serpente
In Cambogia lo chiamano sra poas, in Vietnam rượu rắn. Ne ho visti numerosi esemplari in un villaggio sul delta del Mekong. Fedele al proprio nome, il vino di serpente è esattamente questo: un vino (di riso), in cui viene inserito un serpente vivo e velenoso che terminerà i suoi giorni in infusione. Ma non è tossico? Sì, ma solo all’inizio. Perché poi ci pensa l’etanolo contenuto nel vino a distruggere ogni sostanza nociva. Del serpente non resterà che il corpo: il suo potere si trasferisce alla bevanda che, da velenosa, diventa un toccasana dalle proprietà rinvigorenti e afrodisiache. E se questo elisir d’amore non bastasse, ti propongo due varianti con tanto di booster: 1) il vino di serpente + scorpione (anche lui in bottiglia, un po’ stretti ma ci stanno); 2) il vino di serpente… corretto. Corretto con cosa ti chiederai?
Te lo faccio dire da Anthony Bourdain, noto e compianto cuoco viaggiatore che, per il Vietnam in particolare, aveva una grande passione: “Un assistente si avvicina al domatore di cobra: porta un piatto di metallo, una tazzina bianca, una brocca di vino di riso e un paio di cesoie da giardino. I due uomini afferrano il cobra e lo stendono in tutta la sua lunghezza: il domatore lo tiene appena sotto le mandibole, l’assistente per la coda. Con la mano libera, il domatore prende le forbici, affonda una lama nel petto del serpente ed estrae il cuore che salta fuori accompagnato da un fiotto di sangue rosso scuro che si riversa sul piatto metallico. Sono tutti contenti. I camerieri e gli aiuti si rilassano. Il sangue viene versato in un bicchiere e mescolato con il vino di riso. E il cuore, un organo delle dimensioni di una gomma da masticare, mi viene offerto, palpitante, nella tazzina bianca”.
#9: Budini di sangue
Smuove lo stomaco solo a leggerne il nome e nulla ha a che fare con il black pudding presente nell’English Breakfast. Si tratta infatti di un composto di sangue crudo di anatra o maiale mescolato a spezie e salsa di pesce e, nella sua versione più ricca, a pezzi di interiora. Essendo appunto crudo, porta con sé un notevole rischio batteriologico, al punto che, anche seguito di alcune fatalità, le autorità si sono mosse per impedirne la vendita (con scarsi risultati). Il suo nome vietnamita – così eviti di ordinarlo se lo trovi in menù – è tiêt canh. Qui sotto, eccolo invece in un mercato cambogiano insieme a polli (e mosche).
#10: Topi delle risaie
Oltre a quelle sul web, ho visto una foto – per fortuna solo quella – al Museo Etnografico di Hanoi. C’era una bimba carinissima, il costume tipico, le guanciotte rosse. Reggeva la coda di un ratto abbrustolito. Chung, il ragazzo che ci faceva da guida, ci ha spiegato che si tratta di una piccola del nord, appartenente a uno degli oltre 50 gruppi etnici che compongono il Vietnam. Durante il mio viaggio non mi sono spinta fin lassù, per questioni di tempo ho dovuto a malincuore accantonare il distretto di Sapa, ma è certo che in quella che attualmente è ancora una zona estremamente rurale, caratterizzata da risaie a terrazzamento, i topi abbondino. Si fanno arrostiti e vengono venduti nei mercati, con coda e testolina.
N.C.: Carne di cane (thịt chó)
Quando viaggio, cerco di non giudicare. Cerco di partire dal presupposto che ciascun popolo ha la propria cultura, la propria storia, circostanze che l’hanno portato a vivere e a comportarsi in modi che per noi sono sì impensabili, ma forse solo perché non ci siamo mai trovati nei loro panni. Vietnam e Cambogia hanno alle spalle un passato terribile, decenni di guerra, di dittature sanguinose, di carestie. Ed ecco che il ‘mangiamo tutto quello che si muove’ non è più solo una battuta per far sorridere il turista; è un invito alla riflessione.
Ma se oggi tarantole e budini sanguinolenti fanno parte del colore locale, del bizzarro o dell’aneddotico, il cane (in special modo per chi ne ha uno che dorme spaparanzato sul sofà, come me in questo momento), rientra nel doloroso, nel non classificabile. Senza cenni di condanna alcuna, ho fatto qualche domanda in merito al consumo di carne canina alle nostre guide. Sono stata liquidata con risposte diverse: una battuta per chiudere in fretta la conversazione, un ‘no, non lo mangiamo più’, un ‘sì, in giro lo trovi se sai dove andare’. L’impressione che ho avuto è che non se ne voglia parlare molto. Ma perché poi, se fa parte della propria cultura e non ci sono espressi divieti?
Così, ho fatto un po’ di ricerche. Ho scoperto che l’usanza deriva probabilmente dalla Cina; che la carne di cane è considerata ottima perché magra e ricca di vitamine; che (ci risiamo) pare aumenti la virilità. Su questo business ho letto un articolo un po’ datato, ma non per questo meno crudo e terribile, e un’intervista a un gestore di un ristorante. Fino a non troppo tempo fa, ad Hanoi c’era un’intera strada, tale Au Co Street, in cui si contavano fino a cinquanta locali specializzati. Uno alla volta hanno chiuso tutti, la vera motivazione ancora da stabilire con certezza: alcuni gestori hanno deciso di vendere la proprietà in seguito al boom immobiliare del 2008, altri hanno avuto un improvviso terrore del karma – “We used to slaughter between 100-150 dogs to serve 600-1,000 customers a day” -, altri ancora sono stati stoppati dalle autorità per ragioni di igiene.
Infine, ho trovato un ultimo articolo che dice così (la sottolineatura è mia): “Officials in Vietnam’s capital Hanoi are urging residents to stop eating dog meat as it could hurt the city’s reputation and lead to diseases like rabies. The Hanoi People’s Committee said the practice could tarnish the city’s image as a “civilised and modern capital“. Come a dire, è brutto dire al mondo che mangiamo i cani. Da cui la riluttanza delle mie guide a parlare dell’argomento. Insomma, la questione è nebulosa e, temo, affatto chiusa. Spero però la si accantoni una volta per tutte negli anni a venire, fosse anche solo per una motivazione futile come ‘l’offuscamento della propria immagine’.
ciao. non sono, credo, troppo difficile a tavola. ma quello che hai descritto mi lascia molto, molto, ma molto perplessa.
non credo ce la farei.
in breve, so già però a cosa andrei incontro, nel caso improbabile che io mi spinga fin là. Grazie
A difesa del Sud Est Asiatico ti dico però che ci sono anche tantissime cose buone, soprattutto in Vietnam, che è considerato la stella culinaria della regione! Optando per menù vegetariani non si sbaglia mai (o almeno credo! 😉 ) Un saluto!
perfetto. Ottima alternativa!
Ciaoooo