Avvolta nel sonno più lungo che la storia ricordi, una donna dal fianco generoso, il braccio ripiegato sotto la testa, dorme da oltre 5000 anni. Un’altra è vigile: due piedini minuscoli reggono un corpo dalle forme esagerate, steatopigie. Una terza e una quarta siedono vicine, le gonne plissettate nulla fanno per celare l’ennesima taglia forte. Sono le cosiddette ‘donne grasse’, idoli di pietra rinvenuti tra i resti dei monumentali complessi neolitici eretti nell’arcipelago maltese.
Neolitico? Malta?
Proprio così. Perché sebbene sia decisamente più antica, tutti conoscono la Venere di Willendorf ma quasi nessuno la Sleeping Lady. Tutti conoscono Stonehenge o i megaliti di Carnac, quasi nessuno i templi di Ġgantija o di Ħaġar Qim. Di Malta si raccontano le spiagge, la movida; qualcuno cita il Caravaggio. Del suo passato più remoto si parla invece poco.
Eppure, in meno di 350 km² di terre emerse, si contano oltre 30 siti archeologici – sei dei quali divenuti patrimonio UNESCO – classificati tra i più antichi del mondo. Ciascun complesso è stato infatti costruito tra i 5600 e i 4500 anni fa quando, nella regione mediterranea, il tardo Neolitico cominciava a sfumare nell’Età del Bronzo. E’ in questo periodo che fiorisce una civiltà megalitica di stampo matriarcale, egualitaria e pacifica, caratterizzata da una profonda spiritualità. Il culto della Dea Madre, simbolo di fertilità, nutrimento e vita, è molto sentito e la Sleeping Lady – dormiente e dunque destinata al risveglio – è una vivida rappresentazione dell’eterno ciclo di nascita, morte e rigenerazione che accomuna uomo e natura.
Entrare in questi templi significa varcare una soglia temporale non indifferente ma è un viaggio che, se ti trovi a Malta, vale assolutamente la pena compiere!
Ħaġar Qim e Mnajdra
Puoi cominciare la tua visita dai complessi di Ħaġar Qim e Mnajdra. Entrambi risalgono al IV millennio a.C. e quindi, a occhio e croce, hanno almeno mille anni in più delle Piramidi. All’esterno si presentano come una cerchia di blocchi in pietra dalle dimensioni ciclopiche; il più imponente sfiora le 60 tonnellate (per fare un raffronto, la Heel Stone, il monolite più grande di Stonehenge, pesa la metà).
L’interno è invece organizzato in stanze circolari, alcune delle quali dotate di altari rudimentali. Al pari di altre civiltà megalitiche (e non solo), gli antichi maltesi attribuivano grande importanza agli eventi astronomici: perfettamente allineati ai raggi del sole, gli ingressi ai templi lasciavano filtrare la luce in modo che, durante solstizi ed equinozi, essa andasse a illuminare una precisa lastra di pietra, spesso situata in corrispondenza dell’altare maggiore. Nel tempio di Mnajdra, inoltre, sono visibili alcune rocce perforate con criterio, probabilmente una mappa della volta celeste, i buchi a indicare stelle e costellazioni.
Ħaġar Qim e Mnajdra si trovano a sud-ovest dell’isola di Malta; sono collegati da un breve sentiero (circa 500mt) che, in estate, troverai punteggiato dall’arancio dei fichi d’india. Entrambi si affacciano sul mare: un’apertura tra i megaliti di Ħaġar Qim incornicia perfettamente Fifla, un isolotto disabitato da sempre protagonista del folklore locale.
Tarxien
Spostiamoci ora nel complesso di Tarxien, un sito più recente (si fa per dire: siamo pur sempre tra il 3000 e il 2500 a.C.), situato non lontano da La Valletta. In questo tempio si nota bene la singolare ripartizione degli ambienti interni: nello specifico, sono ben quattro le camere semicircolari che lo compongono e la loro disposizione scatena da sempre la fantasia di studiosi e visitatori. Se potessimo guadare Tarxien dall’alto, noteremmo che le sale sembrano formare un trifoglio, una farfalla, secondo alcuni addirittura una figura umana, ogni camera un arto. Diverse le destinazioni d’uso di ciascun ambiente: un altare in pietra reca ancora i segni anneriti del fuoco (!) e i bassorilievi – disegni raffiguranti per lo più capi di bestiame e motivi vegetali – fanno pensare ad uno spazio adibito al sacrificio animale. In una seconda sala troneggiano un ampio braciere e una lunga panca in pietra; in un’altra ancora torna il culto del femminile: pesanti cosce parzialmente coperte da un gonnellino a pieghe sono quel che resta di una statua che, intatta, avrebbe superato i due metri di altezza.
Forse – o forse no – guardando le foto di questo post, avrai fatto caso alla tensostruttura che ricopre i templi. Quello che sembra un dettaglio insignificante, in realtà non lo è. La funzione di questo telo è infatti duplice: da un lato, serve a proteggere gli scavi dagli agenti atmosferici (ti ricordo che i siti sono stati riportati in superficie solo a inizio ‘900); dall’altro, tenta di ricreare l’atmosfera che, al tempo, caratterizzava questi luoghi. Se specialmente in estate, l’incontro con il Neolitico maltese è attualmente un bagno di luce, un’immersione nei suoni e nei profumi della macchia mediterranea, cinquemila anni fa l’esperienza era ben diversa. Provvisti di una copertura andata perduta nel corso dei millenni, i luoghi di culto erano infatti ambienti bui, ovattati, privi di rumore; varcarne la soglia equivaleva a scendere nelle tenebre. Alla luce di questa informazione, l’immagine di un raggio di sole che penetra durante il solstizio si carica di tutt’altra suggestione, non è vero?
Ġgantija
Da Malta, ci spostiamo ora su di un’altra isola dell’arcipelago, Gozo. Nei pressi del paese di Xagħra sorge Ġgantija, letteralmente ‘la grotta del gigante’. Il perché del nome è presto detto: solo una stirpe di uomini fuori misura avrebbe potuto maneggiare massi così pesanti. Secondo la leggenda, il tempio venne infatti eretto in un giorno e una notte dalla gigantessa Sunsuna che, mentre lavorava, non smise mai di nutrire il figlio al seno. Come sia stato possibile assembrare e innalzare blocchi tanto grandi è ancora un punto di domanda, per cui… non ci resta che prendere per buona questa ipotesi! 😉
Anche a Ġgantija tornano le stanze a trifoglio e le Veneri steatopigie, ma a sorprendere è il cosiddetto Cerchio di Xagħra, un luogo di sepoltura situato a circa 400mt dal sito principale, in cui sono state ritrovate migliaia di ossa umane, insieme a ceramiche, gioielli, cosmetici e statuette sia animali che antropomorfe.
…e poi accade: intorno al 2500 a.C., la civiltà megalitica maltese scompare. Non si sa come né perché; forse, è soltanto il naturale progredire degli eventi. L’età della pietra lascia il posto a quella dei metalli e, con essa, a popolazioni completamente diverse dalle precedenti per usi, costumi e spiritualità. Accantonato il culto della Terra e del Femminile, con le invasioni indoeuropee l’uomo conoscerà a poco a poco la brama di potere, le armi e la guerra (è significativo che durante tutto il Neolitico – non solo maltese – non siano mai stati rinvenuti insediamenti dotati di fortificazioni nè incisioni raffiguranti scontri tra tribù). Il punto di non ritorno sarà l’anno zero, con l’avvento del cristianesimo. Abbandonati, i templi megalitici si sbricioleranno sotto il peso del tempo. Per fortuna, non tutti.
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Oltre a quelli citati, sull’isola di Malta ci sono altri tre siti neolitici patrimonio UNESCO. Io non ho avuto modo di visitarli ma te li annoto qui: si tratta del tempio di Ta’ Ħaġrat, il tempio di Skorba e l’ipogeo di Ħal Saflieni. Quest’ultimo, in particolare, è ritenuto un vero e proprio capolavoro dell’architettura preistorica, in quanto si sviluppa su tre piani di camere sotterranee messe in comunicazione tra loro da un sistema di cunicoli e gallerie sorprendenti per l’epoca. I biglietti d’ingresso ai templi possono essere acquistati sul sito ufficiale o direttamente in loco (fa eccezione l’ipogeo, la cui visita va prenotata con largo anticipo). A completamento del tuo viaggio nel tempo, ti consiglio di fare un salto anche al Museo Archeologico di La Valletta, dove, tra le altre cose, potrai anche vegliare il sonno della Sleeping Lady.